sabato 11 dicembre 2010

DANNO AMBIENTALE: PRETESA RISARCITORIA :-SPETTA ESCLUSIVAMENTE ALLO STATO RICHIEDERE IL DANNO AMBIENTALE!

Cass. Sez. III n. 41015 del 22 novembre 2010
Danno Ambientale. Legittimazione al risarcimento

Il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell'interesse pubblico e generale all'ambiente, è ora previsto e disciplinato soltanto dall'art. 311 cit., con la conseguenza che il titolare della pretesa risarcitoria per tale danno ambientale è esclusivamente lo Stato, in persona del ministro dell'ambiente. Tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi gli enti pubblici territoriali e le regioni, possono invece agire, in forza dell'art. 2043 cod. civ., per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, che abbiano dato prova di aver subito dalla medesima condotta lesiva dell'ambiente in relazione alla lesione di altri loro diritti patrimoniali, diversi dall'interesse pubblico e generale alla tutela dell'ambiente come diritto fondamentale e valore a rilevanza costituzionale.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

ha pronunciato la seguente



SENTENZA

sul ricorso proposto da M. G., nato a S. M. in L. il (...);

avverso la sentenza emessa il 22 giugno 2009 dal giudice del tribunale di Foggia;

udita nella pubblica udienza del 21 ottobre 2010 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;

udito il Pubblico Ministero in persona Sostituto Procuratore Generale dott.ssa Maria Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;



Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Foggia dichiarò M. G., colpevole del reato di cui all'art. 256 comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per avere effettuato un deposito incontrollato di rifiuti speciali non pericolosi provenienti dalla attività di costruzione e demolizione, su area di proprietà del comune di S. M. in L. in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione e comunicazione, condannandolo alla pena di Euro 3.000,00 di ammenda, oltre al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile Provincia di F.
L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione degli artt. 309 e 311 d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, in relazione all'art. 185 cod. pen. Osserva che il nuovo testo unico ambientale riserva esclusivamente allo Stato la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno ambientale, escludendo quindi la legittimazione degli enti territoriali.
2) violazione dell'art. 256, in relazione all'art. 183, comma 1, lett. a) e p), d lgs. 4/2008. Osserva che i residui da demolizione in questione dovevano essere considerati sottoprodotti, sussistendo i requisiti di legge ed in particolare essendo stata fornita la prova della loro destinazione con certezza ad un utilizzo ulteriore.
3) mancanza di motivazione e violazione dell'art. 192 cod. proc. pen.; omessa valutazione delle deposizioni dei testi della difesa G. G. e B. P., i quali avevano dichiarato che il materiale era depositato solo quando era buono, che aveva un valor di mercato e che non doveva subire un trattamento preliminare, mentre quando il materiale non era buono veniva trasportato in discarica.
Motivi della decisione
Il secondo ed il terzo motivo sono infondati. Il giudice ha invero fatto corretta applicazione dei principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui "In tema di gestione dei rifiuti, ai fini dell'applicabilità del regime in deroga previsto dall'art. 186, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, le terre e rocce da scavo devono essere distinte dai materiali di risulta da demolizione, in quanto mentre lo scavo ha per oggetto il terreno, la demolizione ha per oggetto un edificio o, comunque, un manufatto costruito dall'uomo" (Sez. III, 12.6.2008, n. 37280, m. 241088); "I materiali residuanti dalla attività di demolizione edilizia conservano la natura di rifiuti sino al completamento delle attività di separazione e cernita, in quanto la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle operazioni di recupero, tra le quali l'art. 183 lett. h) D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152 indica la cernita o la selezione" (Sez. III 15.6.2006, n. 33882, Barbati, m. 235114); "In tema di attività di gestione di rifiuti non autorizzata, i residui di attività di demolizione di edifici, annoverati tra i rifiuti speciali dall'art. 7, comma terzo, D.Lgs. n. 22 del 1997, ora art. 184, comma terzo, D.Lgs. n. 152 del 2006, sono sottratti, in quanto rappresentati da una congerie di materiali di vario tipo necessitanti, prima del loro nuovo uso, di preventivi trattamenti e operazioni di recupero previste negli allegati al D.Lgs. n. 22 del 1997, all'ambito di applicabilità delle deroghe di cui all'art. 14 D.L. n. 138 del 2002, conv. con L. n. 178 del 2002" (Sez. III, 15.1.2008, n. 7465, Baruzzi, m. 239012); "In tema di gestione dei rifiuti, tra le condizioni previste ai fini dell'applicabilità del regime autorizzatorio in deroga alla disciplina dei rifiuti contemplato per i sottoprodotti, è richiesto che le sostanze o i materiali non siano sottoposti ad operazioni di trasformazione preliminare (art. 183, comma primo, lett. p), D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, come mod. dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4), in quanto tali operazioni fanno perdere al sottoprodotto la sua identità e sono necessarie per il successivo impiego in un processo produttivo o per il consumo" (Sez. III, 4.12.2007, n. 14323, Coppa, m. 239657).
Esattamente quindi il giudice non ha applicato la disciplina relativa alle rocce e terre da scavo e quella relativa ai sottoprodotti. E difatti, ai sensi dell'art. 183, comma 1, lett. p), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per aversi sottoprodotto occorre che i materiali di cui il produttore non intende disfarsi soddisfino tutti i requisiti e condizioni ivi previsti, ossia che "1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito; 3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l'impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione; 5) abbiano un valore economico di mercato". Tutte queste condizioni devono sussistere contestualmente (Sez. III, 28.1.2009, n. 19711, Precetti, m. 243107) e la prova della loro presenza deve essere fornita dall'imputato.
Nella specie, si trattava di residui di demolizione, rappresentati da una congerie di materiali di vario tipo che necessitavano, prima del loro novo uso, di preventivi trattamenti ed operazioni di recupero quali la cernita e la separazione. Dalla sentenza impugnata si ricava infatti che gli stessi testi della difesa avevano dichiarato che il materiale era costituito da pietrami grezzi, semi-lavorati derivanti dalle cave dismesse, calcinacci, mattoni, blocchi e tegole, e che mentre i cotti e le tegole venivano separati per essere riutilizzati nel ciclo produttivo, tutti gli altri materiali erano stoccati sul terreno per poi venire in parte inviati alla discarica ed in parte utilizzati per riempimenti. Il materiale depositato necessitava quindi, per essere riutilizzato, di una attività di cernita e di separazione, sicché non ricorreva la condizione, necessaria per aversi sottoprodotto, che il materiale non sia sottoposto a trattamenti preventivi per il riutilizzo.
Inoltre, il giudice del merito, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, ha anche ritenuto che non era stata fornita una prova sufficiente per poter affermare che il reimpiego del materiale fosse certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenisse direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito. Del resto, lo stesso ricorrente ammette che il reimpiego in ogni caso non era integrale, ma parziale, perché solo alcuni materiali (come i cotti) potevano essere riutilizzati, mentre altri materiali che, a seguito di una cernita, venivano ritenuti non riutilizzabili, erano inviati alla discarica.
Deriva da quanto osservato anche l'infondatezza del reclamo sulla omessa valutazione delle dichiarazioni dei testi della difesa, perché proprio da tali dichiarazioni, per come riportate nello stesso ricorso, emerge che non sussistevano le condizioni per potersi parlare di sottoprodotto.
E' invece fondato il primo motivo. L'art. 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, al comma 3 attribuiva allo Stato e agli enti territoriali sui quali incidono i beni oggetto del fatto lesivo la legittimazione a promuovere la relativa azione per il risarcimento del danno, anche se esercitata in sede penale. Il suddetto art. 18 è stato però abrogato dall'art. 318, comma 2, lett. a), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (ad eccezione del comma 5, che riconosce alle associazioni ambientaliste il diritto di intervenire nei giudizi per danno ambientale). Ora, l'art. 311 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, riserva allo Stato, ed in particolare al ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, il potere di agire per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, anche esercitando l'azione civile in sede penale. Le regioni e gli enti territoriali minori, in forza dell'art. 309, comma 1, possono ora presentare denunce ed osservazioni nell'ambito di procedimenti finalizzati all'adozione di misure di prevenzione, precauzione e ripristino oppure possono sollecitare l'intervento statale a tutela dell'ambiente, mentre non hanno più il potere di agire iure proprio per il risarcimento del danno ambientale.
La giurisprudenza di questa Corte, successiva all'appena ricordato mutamento legislativo, ha rilevato che la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali spetta non soltanto al ministro dell'ambiente, ai sensi dell'art. 311, comma 1, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ma anche all'ente pubblico territoriale (come la provincia) che per effetto della condotta illecita abbia subito un danno patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. (Sez. III, 28.10.2009, n. 755/10, Ciarloni, m. 246015). La sentenza della Sez. III, 3.10.2006, n. 36514, Censi, n. 235059, ha più dettagliatamente precisato che, a seguito della abrogazione dell'art. 18 della legge 349/1986 ed ai sensi dell'art. 311 d.lgs. 152/2006, "titolare esclusivo della pretesa risarcitoria in materia di danno ambientale è lo Stato nella persona del Ministro dell'ambiente" (punto 3 della motivazione) relativamente al danno all'ambiente come interesse pubblico, anche se ad ogni persona singola od associata spetta il diritto di costituirsi parte civile per il risarcimento degli ulteriori danni subiti. Anche la più recente sentenza della Sez. III, 11.2.2010, n. 14828, De Flammineis, m. 246812, ha affermato che il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 "ha attribuito in via esclusiva la richiesta risarcitoria per danno ambientale al Ministero dell'Ambiente" (sicché le associazioni ecologiste sono legittimate a costituirsi parte civile al solo fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali patiti a causa del degrado ambientale, "mentre non possono agire in giudizio per il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica").
Questo orientamento merita di essere seguito, con le precisazioni che seguono. Non sussiste innanzitutto alcuna antinomia reale fra la norma generale di cui all'art. 2043 cod. civ. (che attribuisce a tutti il diritto di ottenere il risarcimento del danno per la lesione di un diritto) e la norma speciale di cui all'art. 311, comma 1, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (che riserva esclusivamente allo Stato la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno da lesione all'ambiente, inteso come diritto pubblico generale a fondamento costituzionale). E difatti, come sempre accade nei rapporti tra norma generale e norma speciale, l'entrata in vigore di quest'ultima ha determinato che la precedente norma generale deve essere ora interpretata nel senso che l'estensione della norma generale stessa si è ristretta, perché il suo ambito di applicazione non comprende più la fattispecie ora disciplinata dalla norma speciale. In altri termini, il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell'interesse pubblico e generale all'ambiente, è ora previsto e disciplinato soltanto dall'art. 311 cit., con la conseguenza che il titolare della pretesa risarcitoria per tale danno ambientale è esclusivamente lo Stato, in persona del ministro dell'ambiente. Tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi gli enti pubblici territoriali e le regioni, possono invece agire, in forza dell'art. 2043 cod. civ., per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, che abbiano dato prova di aver subito dalla medesima condotta lesiva dell'ambiente in relazione alla lesione di altri loro diritti patrimoniali, diversi dall'interesse pubblico e generale alla tutela dell'ambiente come diritto fondamentale e valore a rilevanza costituzionale.
Nella specie, quindi, la provincia di F. era legittimata a chiedere il risarcimento del danno, anche sotto forma di una condanna generica, qualora avesse allegato che la condotta dell'imputato le aveva arrecato un danno patrimoniale diretto e specifico, ulteriore e diverso rispetto a quello, generico di natura pubblica, della lesione dell'ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale. Risulta invece dalla stessa sentenza impugnata che la provincia si era limitata a chiedere il generico danno ambientale quale lesione del bene pubblico, tanto che il giudice ha erroneamente ammesso la costituzione di parte civile non già perché la provincia avesse allegato di aver subito in via diretta un proprio ulteriore danno patrimoniale, bensì perché la provincia stessa era indicata come parte offesa nel capo di imputazione e perché regione e provincia sono individuate nel testo unico ambientale quali titolari dell'amministrazione e della tutela del territorio. Si tratta di considerazioni entrambe erronee perché l'indicazione nel capo di imputazione della provincia come persona offesa è irrilevante al fine del riconoscimento della legittimazione a costituirsi parte civile e comunque si spiega col fatto che la provincia avrebbe potuto eventualmente assumere tale qualità qualora avesse in concreto subito in via diretta un danno patrimoniale diverso dal danno ambientale di natura pubblica. Il fatto poi che il testo unico dell'ambiente attribuisce a regioni e province l'amministrazione e la tutela del territorio non fa venir meno l'efficacia dell'art. 311 dello stesso testo unico che affida unicamente allo Stato l'azione per il risarcimento del danno ambientale.
La costituzione della provincia di F. quale parte civile è dunque, nella specie, nulla per carenza di legittimazione della provincia stessa a chiedere il risarcimento del danno ambientale. Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alle statuizioni civili. Nel resto il ricorso deve essere rigettato.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili.
Rigetta il ricorso nel resto.
Deposita in cancelleria
Il 22 novembre 2010

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