domenica 5 dicembre 2010

URBANISTICA.

TAR Campania (NA) Sez. II n. 21381 del 25 ottobre 2010
Urbanistica. Demolizione e pregiudizio per le opere lecitamente realizzate

Nello schema giuridico delineato dall’art. 31 del d.p.r. 380/2001 non vi è spazio per ulteriori e diversi apprezzamenti, di tipo discrezionale, atteso che l’esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio consistente nell’esecuzione di un’opera in assenza del titolo abilitativo ovvero in totale difformità da esso costituisce atto dovuto, per il quale è "in re ipsa" l’interesse pubblico alla sua rimozione. La possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive, quando ciò sia pregiudizievole per quelle legittime, costituisce solo un'eventualità della fase esecutiva, subordinato alla circostanza dell'impossibilità del ripristino dello stato di luoghi, senza contare che siffatta evenienza resta ammissibile nelle sole ipotesi di cui agli artt. 33 e 34 del d.p.r. 380/2001 (rispettivamente di ristrutturazione abusiva e di difformità parziali), mentre non è predicabile rispetto ai più gravi abusi sanzionati dall’art. 31 del d.p.r. 380/2001.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 21381/2010 REG.SEN.
N. 00099/2007 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 99 del 2007, proposto da:
Ciccarelli Domenico Antonio e Secondulfo Giovanna, rappresentati e difesi dall'avv. Michele Coppola, con domicilio per legge in Napoli, presso la Segreteria del T.A.R.;
contro
Comune di Pomigliano D'Arco, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Cusano, con domicilio per legge in Napoli, presso la Segreteria del T.A.R.;
per l'annullamento
dell’ordinanza n. 115 del 17/10/2006 di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi per le opere eseguite in Via Masseria Ciccarelli in totale difformità dalla concessione edilizia n.98 del 12.9.2001.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pomigliano D'Arco;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 ottobre 2010 il dott. Umberto Maiello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con il ricorso in esame i signori Ciccarelli Domenico Antonio e Secondulfo Giovanna hanno impugnato il provvedimento n. 115 del 17/10/2006, con il quale il Responsabile del Servizio Sportello Unico Urbanistico Edilizio del Comune di Pomigliano D'Arco ha ordinato, nella loro qualità di proprietari, la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi per le opere eseguite in Via Masseria Ciccarelli, riscontrate nel sopralluogo del tecnico comunale effettuato il 13 ottobre 2005, risultate in totale difformità dalla concessione edilizia n. 98 del 12.9.2001.

Originariamente il fabbricato de quo era composto da due stanze al piano terra con parziale cantina e relativa scala d’accesso, nonché da un forno pertinenziale.

Con concessione edilizia n. 98 del 12.9.2001 veniva autorizzata l’esecuzione delle seguenti opere:

a) demolizione della scala di accesso alla cantina e del forno;
b) realizzazione di un’autorimessa e relativa rampa di accesso;
c) diversa distribuzione degli spazi interni ai due vani terranei;
d) opere impiantistiche e di rifinitura.
e) recinzione esterna da realizzare con paletti in calcestruzzo e rete metallica.

Gli abusi in contestazione, analiticamente descritti nella relazione tecnica cui fa rinvio l’ordine di demolizione, consistono, tra l’altro:

- in un incremento complessivo di volume della costruzione - composta dal piano seminterrato e dal piano rialzato - pari a 139 mc;
- nella realizzazione di un ballatoio, a servizio dell’unità abitativa posta al piano rialzato, largo 1,80 mt e lungo 17,80 mt;
- nel cambio di destinazione d’uso del piano seminterrato, diviso in tre ambienti aventi altezza utile di mt. 3, dotati di servizi e disimpegnati da un corridoio;
- nella realizzazione di un nuovo corpo di fabbrica sul lato sud del fabbricato, che ospita un locale seminterrato con servizi e sovrastante terrazzo;
- nella realizzazione di un muro in calcestruzzo;
- nella diversa sistemazione degli accessi dalla strada con realizzazione di muretti in c.a.

Per le opere in questione i signori Ciccarelli Domenico Antonio e Secondulfo Giovanna hanno presentato, in data 11.12.2006, una domanda di permesso di costruire in sanatoria nella quale si prevede l’abbattimento delle murature secondarie al piano interrato, in modo da ripristinare la destinazione d’uso ad autorimessa e cantina; si chiede la sanatoria del muro di cinta, in relazione alla nuova normativa contenuta nel regolamento edilizio, e si chiede, per le altre opere la cui demolizione comporterebbe notevole danneggiamento della parte regolarmente costruita, l’applicazione dell’art. 12 della legge 47 del 1985 (e quindi l’applicazione della sanzione pecuniaria oggi prevista dal comma 2 dell’art. 34 del D.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001, recante il Testo Unico dell’Edilizia).

La Sezione, con decisione interlocutoria n. 451 del 9.6.2010, ha disposto mirati accertamenti onde acquisire documentati chiarimenti in ordine agli esiti del pendente procedimento di sanatoria.

Il Comune di Pomigliano d’Arco, in vista dell’udienza di discussione, ha depositato in giudizio copia del provvedimento (n. 6511 del 26 luglio 2010) con il quale il Responsabile del Servizio Sportello Unico Urbanistico Edilizio ha comunicato il rigetto dell’istanza.

All’udienza del 7.10.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.

Giusta quanto evidenziato in premessa, oggetto del presente giudizio è la verifica di legittimità – alla stregua delle censure attoree - dell’ordine di demolizione n. 115 del 17/10/2006, spedito dal Comune di Pomigliano d’Arco a fronte dell’esecuzione di opere edili in difformità rispetto ad un pregresso titolo abilitativo (concessione n. 98/2001).

In ossequio ad un indirizzo già più volte espresso dalla Sezione, assume priorità logica, nel procedimento delibativo da svolgere, l’esame delle censure che investono la legalità estrinseca dell’atto impugnato, vale a dire l’osservanza degli obblighi procedurali, nonchè la ricorrenza di quei requisiti di affidabilità formale, la cui esistenza condiziona, in via pregiudiziale, il corretto approccio – in sede di sindacato giurisdizionale - ai profili di contenuto delle determinazioni assunte dall’Amministrazione.

Nella suddetta prospettiva, mette conto evidenziare che, contrariamente a quanto dedotto, non può essere revocata in dubbio la completezza delle risultanze istruttorie acquisite dal Comune attraverso i propri organi ispettivi ed idonee a suffragare, in ragione di una congrua descrizione delle difformità registrate, il contestato abuso.

Ed, invero, la puntuale individuazione degli interventi eseguiti in assenza di un valido titolo di legittimazione riflette con assoluta evidenza la consistenza degli stessi e, dunque, la coerenza della misura ripristinatoria comminata rispetto alla normativa di settore.

Tali interventi consistono:

- in un incremento complessivo di volume della costruzione - composta dal piano seminterrato e dal piano rialzato - pari a 139 mc;

- nella realizzazione di un ballatoio, a servizio dell’unità abitativa posta al piano rialzato, largo 1,80 mt e lungo 17,80 mt;

- nel cambio di destinazione d’uso del piano seminterrato, diviso in tre ambienti aventi altezza utile di mt. 3, dotati di servizi e disimpegnati da un corridoio;

- nella realizzazione di un nuovo corpo di fabbrica sul lato sud del fabbricato, che ospita un locale seminterrato con servizi e sovrastante terrazzo;

- nella realizzazione di un muro in calcestruzzo;

- nella diversa sistemazione degli accessi dalla strada con realizzazione di muretti in c.a.

A fronte delle divisate emergenze fattuali la sanzione repressiva comminata dal Comune resistente appare coerente con la disciplina di settore ed assurge ad atto dovuto.

Non è, infatti, possibile dubitare della rilevanza edilizia di tali interventi ai quali è conseguito un quid novi che, contrariamente a quanto dedotto dalla parte ricorrente, ha sensibilmente alterato la struttura originaria della preesistente struttura, comportando incrementi planovolumetrici della struttura preesistente, accompagnati dal mutamento della destinazione d’uso.

L’attività abusiva è valsa ad es: ad attribuire una diversa ed autonoma caratterizzazione funzionale al piano seminterrato, com’è fatto palese dalla potenziale varietà delle forme di utilizzo cui può essere destinato e che il bene precedentemente non assicurava.

Di qui la corretta qualificazione giuridica dell’intervento in contestazione, opportunamente sussunto nella categoria tipologia degli illeciti per “difformità essenziali”, e la conseguente spedizione della misura ripristinatoria.

Ed, invero, nello schema giuridico delineato dall’art. 31 del d.p.r. 380/2001 non vi è spazio per ulteriori e diversi apprezzamenti, di tipo discrezionale, atteso che l’esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio consistente nell’esecuzione di un’opera in assenza del titolo abilitativo ovvero in totale difformità da esso costituisce atto dovuto, per il quale è "in re ipsa" l’interesse pubblico alla sua rimozione (cfr. T.A.R. Campania, Sez. IV, 24 settembre 2002, n. 5556; 4 luglio 2001, n. 3071; Consiglio Stato, sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2529).

Vale poi aggiungere che la rilevata abusività dell’opera imponeva l’adozione della disposta misura repressiva senza che il Comune dovesse farsi carico di verificare la possibilità di dare concreta esecuzione al provvedimento: è infatti diffuso in giurisprudenza il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui la possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive, quando ciò sia pregiudizievole per quelle legittime, costituisce solo un'eventualità della fase esecutiva, subordinato alla circostanza dell'impossibilità del ripristino dello stato di luoghi (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 21 maggio 1999, n. 587).

Senza contare che siffatta evenienza resta ammissibile nelle sole ipotesi di cui agli artt. 33 e 34 del d.p.r. 380/2001 (rispettivamente di ristrutturazione abusiva e di difformità parziali), mentre non è predicabile rispetto ai più gravi abusi sanzionati dall’art. 31 del d.p.r. 380/2001, cui va ricondotta – quali opere realizzate in difformità totale dal pregresso titolo abilitativo – la fattispecie in esame.

Del pari, anche le ulteriori argomentazioni difensive incentrate sull’attivazione del procedimento di sanatoria non appaiono suscettive di una positiva delibazione.

Ed, invero, alcuna negativa interferenza esplica – nel caso in esame - sul procedimento sanzionatorio posto in essere dal Comune di Pomigliano d’Arco la successiva presentazione, in data 11.12.2006 (prot.llo 22468), di un’istanza di concessione in sanatoria ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 36 del d.p.r. 380/2001.

E ciò in ragione del fatto che il Comune resistente ha formalmente respinto la suddetta istanza con atto di diniego n. 6511 del 26 luglio 2010, avverso il quale non risulta proposto ricorso.

Pur non ignorando l’esistenza di un indirizzo ermeneutico di segno contrario, la Sezione condivide l’orientamento giurisprudenziale – già ripetutamente applicato (cfr. Tar Campania Sez. II n. 9757 del 19.10.2007, n. 8345/2007, n.10128/2004, n.816/2005) – secondo cui la validità ovvero l’efficacia dell’ordine di demolizione non risultano pregiudicate, con la pretesa automaticità, dalla successiva presentazione di un’istanza ex art. 36 del d.p.r. 380/2001.

Sul punto, mette conto evidenziare che nel sistema non è rinvenibile una previsione dalla quale possa desumersi un tale effetto, sicchè, se, da un lato, la presentazione dell’istanza ex art. 36 D.P.R. 380/2001 determina inevitabilmente un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione, all’evidente fine di evitare, in caso di accoglimento dell’istanza, la demolizione di un’opera che, pur realizzata in assenza o difformità dal permesso di costruire, è conforme alla strumentazione urbanistica vigente, dall’altro, occorre ritenere che l’efficacia dell’atto sanzionatorio sia soltanto sospesa, cioè che l’atto sia posto in uno stato di temporanea quiescenza.

All’esito del procedimento di sanatoria, in caso di accoglimento dell’istanza, l’ordine di demolizione rimarrà privo di effetti in ragione dell’accertata conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda, con conseguente venir meno dell’originario carattere abusivo dell’opera realizzata.

Di contro, in caso di rigetto dell’istanza, l’ordine di demolizione a suo tempo adottato riacquista la sua efficacia, che non era definitivamente cessata, bensì era rimasta solo sospesa in attesa della conclusione del nuovo iter procedimentale, con la sola precisazione che il termine concesso per l’esecuzione spontanea della demolizione deve decorrere dal momento in cui il diniego di sanatoria perviene a conoscenza dell’interessato, che non può rimanere pregiudicato dall’avere esercitato una facoltà di legge, quale quella di chiedere l’accertamento di conformità urbanistica, e deve pertanto poter fruire dell’intero termine a lui assegnato per adeguarsi all’ordine, evitando così le conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso.

In sostanza, considerato che il procedimento di verifica della compatibilità urbanistica dell’opera avviato ad istanza di parte è un procedimento del tutto autonomo e differente dal precedente procedimento sanzionatorio avviato d’ufficio e conclusosi con l’ordinanza di demolizione dell’opera eseguita in assenza o difformità del titolo abilitativo, il Collegio ritiene che non sussista motivo per imporre all’amministrazione comunale il riesercizio del potere sanzionatorio a seguito dell’esito negativo del procedimento di accertamento di conformità urbanistica, atteso che il provvedimento di demolizione costituisce un atto vincolato a suo tempo adottato in esito ad un procedimento amministrativo sul quale non interferisce l’eventuale conclusione negativa del procedimento ad istanza di parte ex art. 36 D.P.R. 380/2001.

Un nuovo procedimento sanzionatorio, infatti, si rivelerebbe, in assenza di un’espressa previsione legislativa, un’inutile ed antieconomica duplicazione dell’agere amministrativo (cfr. anche Tar Campania, Sezione III, n. 10369/06).

In applicazione dei suddetti principi, deve concludersi, avuto riguardo al caso in esame, che la validità e l’efficacia del titolo ingiuntivo spedito dal Comune di Pomigliano d’Arco restano tuttora predicabili; e ciò in ragione della reiezione dell’istanza di accertamento di conformità presentata dalla parte ricorrente.

Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va respinto siccome infondato.

Le spese seguono la soccombenza e, per l’effetto, il ricorrente va condannato al pagamento, in favore del costituito Comune di Pomigliano d’Arco, delle spese processuali, liquidate in € 1.000 (mille).


P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali nella misura di € 1.000 (mille).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2010 con l'intervento dei magistrati:

Carlo D'Alessandro, Presidente
Anna Pappalardo, Consigliere
Umberto Maiello, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/10/2010

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