mercoledì 16 febbraio 2011

URBANISTICA .- .Deroga allo strumento attuativo..

TAR Campania (NA) Sez. II n. 28016 del 23 dicembre 2010
Urbanistica. Deroga allo strumento attuativo

Il principio affermato dalla giurisprudenza prevalente secondo il quale, ai fini del rilascio della concessione edilizia, nelle zone già urbanizzate è consentito derogare all’obbligo dello strumento attuativo (piano particolareggiato o piano di lottizzazione convenzionata), può trovare applicazione solo nell’ipotesi, del tutto eccezionale, che si sia già realizzata una situazione di fatto che da quegli strumenti consenta con sicurezza di prescindere, in quanto risultano oggettivamente non più necessari, essendo stato pienamente raggiunto il risultato (id est: l’adeguata dotazione di infrastrutture, primarie e secondarie previste dal piano regolatore) cui sono finalizzati. Per l’applicazione del principio, insomma, è necessario che lo stato delle urbanizzazioni sia tale da rendere assolutamente superflui gli strumenti attuativi. Tale situazione, del tutto peculiare, deve essere ovviamente accertata in riferimento all’intero contenuto previsto dal piano regolatore generale. La stessa, cioè, deve concernere le urbanizzazioni primarie e quelle secondarie in riferimento all’assetto definitivo dell’intero ambito territoriale di riferimento. La verifica, pertanto, non può essere limitata alle sole aree di contorno dell’edificio progettato, ma deve riguardare l’intero comprensorio che dagli strumenti attuativi dovrebbe essere pianificato. Ogni altra soluzione avrebbe evidentemente il torto di trasformare lo strumento attuativo in un atto sostanzialmente facoltativo, non più necessario ogniqualvolta, a causa di precedenti abusi edilizi sanati, di preesistenti edificazioni ovvero del rilascio di singole concessioni edilizie illegittime, il comprensorio abbia già subito una qualche urbanizzazione, anche se la stessa non soddisfa pienamente le indicazioni del piano regolatore.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



N. 28016/2010 REG.SEN.
N. 04768/2005 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Seconda)


ha pronunciato la presente

SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 4768 del 2005, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Maisto Orazio, rappresentato e difeso dall'avv. Emanuele D'Alterio ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo difensore in Napoli, al viale Gramsci n.19;


contro


Comune di Mugnano di Napoli, in persona del legale rappresentante pro – tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Alfredo Contieri e Giovanni Leone ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo difensore in Napoli, viale A.Gramsci,14;

per l'annullamento

A) quanto al ricorso principale, dell’ordinanza di demolizione n. 11 prot.llo n. 4963 dell’01/04/2005;

B) quanto ai motivi aggiunti,

- dell’ordinanza di demolizione n. 70/2005 del 13.2.2006;

- del provvedimento di diniego comunicato con nota prot.llo 1554 del 22.1.2009;

- della nota prot.llo n. 4744 dell’8.3.2010;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Mugnano di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2010 il dott. Umberto Maiello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO


Con il gravame principale, il ricorrente impugna l’ordinanza n. 11 prot.llo 4963 dell’1.4.2005, con cui il Comune di Mugnano di Napoli ha ingiunto la demolizione di una struttura in ferro ampia mq. 80 ed alta ml. 3,50, realizzata senza alcun titolo abilitativo.

Avverso il precitato atto il ricorrente ha articolato le seguenti censure:

1) il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo perché non indica l’area che verrebbe acquisita di diritto, e gratuitamente, al patrimonio comunale;

2) il Comune intimato avrebbe eluso l’obbligo di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990, omettendo di assicurare effettività alla prescritte garanzie di partecipazione al procedimento;

3) il provvedimento impugnato non risulterebbe, infine, corredato di una pertinente ed esaustiva motivazione.

Con atto depositato il 27.4.2006, il ricorrente ha integrato le originarie doglianze, estendendo la proposta impugnazione anche all’ordinanza n. 2556 del 13.2006, spedita dal Comune di Mugnano a seguito dell’abusiva prosecuzione dei lavori che consentivano, di fatto, il completamento dell’opera (come esplicitato nella relazione istruttoria, la struttura realizzata è oggi ampia mq. 92,50 circa ed alta ml. 3,20, per un volume complessivo di 296 mc. E’ stata accertata la chiusura perimetrale con vetri blindati, nonché la realizzazione di tramezzature interne, impianti tecnologici, pavimentazione, controsoffittatura), salvo che per la pitturazione degli interni.

Segnatamente, oltre a riproporre alcune censure già introdotte con il primo mezzo di gravame (mancata indicazione dell’area che verrebbe acquisita di diritto, e gratuitamente, al patrimonio comunale e difetto di motivazione), ha contestato la violazione dell’art. 36 del d.p.r. 380/2001, atteso che, fin dal 22.7.2005, risulterebbe pendente una domanda di sanatoria.

Con ulteriori motivi depositati il 23.6.2009, il ricorrente ha attratto nel fuoco della contestazione anche il provvedimento n. 19936 del 21.11.2005, reiettivo della domanda di sanatoria, deducendo l’assenza di qualsivoglia supporto di ordine argomentativo a sostegno dell’opposto diniego.

Con ordinanza istruttoria n. 690/09 del 10.11.2009 la Sezione ha disposto incombenti istruttori a carico del Comune di Mugnano, rinnovando la suddetta decisione interlocutoria con ordinanza n. 78 del 5.2.2010. Ad essa ha dato riscontro l’Ente intimato con relazione n. 4744 dell’8.3.2010.

Avverso tale relazione, con ulteriori motivi aggiunti depositati il 25.5.2010, il ricorrente deduce che:

1) la struttura realizzata è un’opera precaria, pertinenziale e destinata ad un uso temporaneo;

2) l’area sarebbe già urbanizzata e dotata di tutte le opere di urbanizzazione;

Resiste in giudizio il Comune di Mugnano.

All’udienza del 25.11.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.


DIRITTO


Il ricorso, come integrato dai motivi aggiunti, è infondato e, pertanto, va respinto.

Giusta quanto anticipato nella narrativa in fatto, mette conto evidenziare che il ricorrente ha realizzato senza alcun titolo abilitativo una struttura in ferro ampia mq. 92,50 circa ed alta ml. 3,20, per un volume complessivo di 296 mc, chiusa perimetralmente con vetri blindati, ed oramai già dotata – per effetto dell’abusiva prosecuzione dei lavori pervicacemente effettuata con violazione dei sigilli –di tramezzature interne, impianti tecnologici, pavimentazione e controsoffittatura.

La suddetta vicenda costituisce il punto di riferimento di diversi procedimenti sanzionatori e di diniego di sanatoria, tutti confluiti – per effetto della tempestiva articolazione di motivi aggiunti – nel rapporto controverso sottoposto all’attenzione del Collegio.

In prospettiva metodologia appare utile soffermarsi, anzitutto, sul provvedimento di diniego (determina prot.llo 1554 del 22.1.2009) con cui il Comune di Mugnano ha respinto l’istanza di accertamento di conformità avanzata dal ricorrente.

E ciò anche e soprattutto perché il provvedimento di diniego vale a suggellare, in via definitiva, un contrasto effettivo e di ordine sostanziale delle opere realizzate con il regime urbanistico di riferimento, sì da rendere – ove confermato – dovute le misure sanzionatorie di tipo ripristinatorio adottate dal Comune.

Tanto premesso, mette conto evidenziare che la reiezione dell’istanza di sanatoria – giusta quanto si evince dagli esiti della svolta istruttoria - è dovuta al fatto che l’area oggetto d’intervento è classificata nel vigente P.R.G. come zona D3 (Insediamenti Produttivi P.I.P) ed il relativo regime urbanistico (art. 21 delle n.a.) subordina ogni intervento alla preventiva redazione ed approvazione di p.p.e., giammai approvati.

In ragione di quanto evidenziato, il Comune di Mugnano – registrato il suddetto contrasto con il locale regime urbanistico - ha concluso con un atto di diniego il procedimento di accertamento di conformità attivato dal ricorrente.

Le censure articolate avverso tale provvedimento con motivi aggiunti del 23.6.2009 e del 25.5.2010 sono manifestamente infondate.

Può ritenersi, anzitutto, superata la doglianza con cui parte ricorrente (nei motivi aggiunti del 23.6.2009) lamenta l’insufficienza del corredo motivazionale dell’avversato provvedimento di diniego, le cui ragioni giustificative devono ritenersi ampiamente chiarite anche a seguito della relazione prodotta in giudizio dal Comune di Mugnano, che costituisce un valido supporto argomentativo idoneo ad integrare l’originario corredo motivazionale del provvedimento impugnato.

Tanto in aderenza al nuovo schema normativo recepito all’art. 21 octies della legge 241/1990, quale risultante dalla recente novella, che, com’è noto, ha introdotto, in via di eccezione, una deroga al regime di annullabilità dell’atto per vizi formali, inibendo la pronuncia di decisioni a contenuto demolitorio qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Prive di pregio si rivelano, poi, le residue doglianze articolate con i motivi aggiunti del 25.5.2010.

Segnatamente, rispetto alle nuove argomentazioni difensive con cui la ricorrente rivendica la natura precaria e pertinenziale dell’opera realizzata, va, anzitutto, rilevata la tardività della censura, introdotta ben oltre i termini di cui all’art. 21 della legge n. 1034/1971 (l’originario ordine di demolizione - n. 11 prot.llo 4963 – è, infatti, stato spedito in data 1.4.2005).

Ad ogni buon conto, tale doglianza è priva di pregio.

La piana lettura del provvedimento impugnato riflette con evidenza la rilevanza edilizia del contestato abuso, fatta palese dalle apprezzabili dimensioni della nuova struttura (struttura in ferro ampia mq. 92,50 circa ed alta ml. 3,20, per un volume complessivo di 296 mc, chiusa perimetralmente con vetri blindati, ed oramai già dotata – per effetto dell’abusiva prosecuzione dei lavori pervicacemente effettuata con violazione dei sigilli –di tramezzature interne, impianti tecnologici, pavimentazione e controsoffittatura), cui si riconnette una significativa trasformazione del manufatto preesistente e che, pertanto, non può non essere ricondotta alla tipologia delle nuove costruzioni.

Del resto, è noto che la nozione di costruzione, ai fini del rilascio del permesso di costruire, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie, essendo irrilevante che le opere siano state realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, ove si sia in presenza di un’evidente trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio e le opere siano preordinate a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale (cfr. ex multis C.d.S., Sez. IV, N. 2705/2008 in tal senso anche Consiglio Stato, V, 13.6.2006, n.3490).

Le divisate risultanze istruttorie – segnatamente quelle relative alle caratteristiche costruttive che rendono evidente la natura non precaria dell’opera – fanno propendere per la sussumibilità della fattispecie in esame nelle categorie di illecito di cui all’art. 31 del d.p.r. 380/2001, rispetto alle quali resta predicabile un’unica sanzione, giustappunto quella ripristinatoria della demolizione.

Analogamente, rispetto alla pretesa natura pertinenziale dell’opera, è sufficiente obiettare che la nozione edilizia di pertinenzialità ha connotati diversi da quelli civilistici: la res deve essere preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede.

Le suddette caratteristiche non risultano in alcun modo comprovate dalla parte ricorrente, che non si è nemmeno peritata di enunciarle nel proprio mezzo di impugnazione.

Parimenti infondata è l’ulteriore censura fondata sull’osservazione diretta di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, oltre che sulla riscontrata esistenza di vasti insediamenti abitativi nella zona omogenea di riferimento.

Di contro, la Sezione, richiamando un orientamento già ripetutamente espresso, osserva che il principio affermato dalla giurisprudenza prevalente secondo il quale, ai fini del rilascio della concessione edilizia, nelle zone già urbanizzate è consentito derogare all’obbligo dello strumento attuativo (piano particolareggiato o piano di lottizzazione convenzionata), può trovare applicazione solo nell’ipotesi, del tutto eccezionale, che si sia già realizzata una situazione di fatto che da quegli strumenti consenta con sicurezza di prescindere, in quanto risultano oggettivamente non più necessari, essendo stato pienamente raggiunto il risultato (id est: l’adeguata dotazione di infrastrutture, primarie e secondarie previste dal piano regolatore) cui sono finalizzati.

Per l’applicazione del principio, insomma, è necessario che lo stato delle urbanizzazioni sia tale da rendere assolutamente superflui gli strumenti attuativi.

Tale situazione, del tutto peculiare, deve essere ovviamente accertata in riferimento all’intero contenuto previsto dal piano regolatore generale.

La stessa, cioè, deve concernere le urbanizzazioni primarie e quelle secondarie in riferimento all’assetto definitivo dell’intero ambito territoriale di riferimento.

La verifica, pertanto, non può essere limitata alle sole aree di contorno dell’edificio progettato, ma deve riguardare l’intero comprensorio che dagli strumenti attuativi dovrebbe essere pianificato.

Ogni altra soluzione avrebbe evidentemente il torto di trasformare lo strumento attuativo in un atto sostanzialmente facoltativo, non più necessario ogniqualvolta, a causa di precedenti abusi edilizi sanati, di preesistenti edificazioni ovvero del rilascio di singole concessioni edilizie illegittime, il comprensorio abbia già subito una qualche urbanizzazione, anche se la stessa non soddisfa pienamente le indicazioni del piano regolatore (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, II, 15 marzo 2004 n. 2925; n°11664/2004).

Orbene, nella divisata prospettiva, mette conto evidenziare che nessun elemento versato in atti a corredo delle generiche prospettazioni di parte consente di accreditare la sussistenza di una situazione simile a quella sopra descritta, non essendosi la parte ricorrente peritata di produrre contributi tecnici ovvero descrittivi che valessero, anche come mero principio di prova, a supportare (anche nei soli termini di verosimiglianza) le proprie deduzioni.

Acclarata, dunque, la legittimità del provvedimento di diniego a cagione dell’evidenziato contrasto del manufatto realizzato rispetto alla disciplina urbanistica di riferimento, anche le doglianze che investono l’ordine di demolizione si rivelano prive di pregio.

Anzitutto, priva di pregio si rivela la doglianza con cui parte ricorrente lamenta la violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento, la cui cura è imposta all’Autorità procedente dall’art. 7 della legge 241/1990.

Dirimente in senso ostativo alle pretese attoree appaiono le previsioni di cui all’art. 21 octies della legge 241/1990, secondo cui non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

L’inconferenza della censura in esame discende, invero, dalla ineluttabilità della sanzione repressiva comminata dal Comune di Mugnano, anche a cagione dell’assenza di specifici e rilevanti profili di contestazione in ordine ai presupposti di fatto e di diritto che ne costituiscono il fondamento giustificativo, sicchè alcuna alternativa sul piano decisionale si poneva all’Amministrazione procedente.

Né può essere revocata in dubbio la completezza dell’ordito motivazionale, pienamente idoneo a suffragare il contestato abuso.

A tal riguardo, mette conto evidenziare che la tipologia costruttiva e le dimensioni del contestato manufatto, che integra una nuova costruzione, riflettono con assoluta evidenza la sussistenza del contestato abuso che, in ragione della innegabile trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio che ad esso si riconnette, imponeva il previo rilascio di uno specifico permesso di costruire che valesse ad autorizzarne l’esecuzione.

Di contro, la realizzazione dell’opera in contestazione, in mancanza del suddetto titolo abilitativo, di per se stessa, fondava la reazione repressiva dell’organo di vigilanza, che, nell’ambito della disciplina di settore, assurge ad atto dovuto.

In altri termini, nello schema giuridico delineato dall’art. 31 del d.p.r. 380/2001 non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo di un abuso edilizio consistente nell’esecuzione di un’opera in assenza del titolo abilitativo costituisce atto dovuto, per il quale è "in re ipsa" l’interesse pubblico alla sua rimozione ( cfr. T.A.R. Campania, Sez. IV, 24 settembre 2002, n. 5556; 4 luglio 2001, n. 3071; Consiglio Stato, sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2529).

Una volta accertata l'esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità totale dal titolo abilitativo, non costituisce, dunque, onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull'attività edilizia (T.A.R. Campania, Sez. IV, 24 settembre 2002, n. 5556; T.A.R. Lazio, sez. II ter, 21 giugno 1999, n. 1540).

In definitiva, l’atto può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria.

Né può ritenersi rilavante, in questa fase, la mancanza di una perimetrazione dell’area da acquisire.

Il contenuto essenziale dell'ingiunzione di demolizione deve essere, infatti, individuato in relazione alla funzione tipica del provvedimento, che è quella di prescrivere la rimozione delle opere abusive. Pertanto, ai fini della legittimità dell'atto è necessaria e sufficiente l'analitica indicazione delle opere abusivamente realizzate in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente; l'indicazione dell'area di sedime, quindi, non deve essere necessariamente presente nell'ordinanza di demolizione ma può essere contenuta nel successivo atto dichiarativo dell'acquisizione (cfr. ex multis T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 09 febbraio 2010 , n. 1785).

Giova, inoltre, osservare per mera completezza, rispetto alle censure articolate avverso il secondo ordine di demolizione (n. 70/2005 del 13.2.2006), che il valido esercizio del potere di repressione dell’abuso in argomento non era impedito dalle condizioni ostative indicate nell’atto di gravame. La parte ricorrente aveva, invero, eccepito la pendenza di una domanda di accertamento di conformità che, però, risulta presentata in data 22.7.2005.

Il Comune di Mugnano non si è pronunciato sulla menzionata istanza nel termine di 60 gg., favorendo in tal modo la formazione del cd. silenzio – rigetto, di talchè alla scadenza del suddetto termine (e dunque ben prima dell’adozione del precitato ordine demolitorio n. 70/2005 del 13.2.2006) il procedimento era già concluso.

Sul punto è, poi, sufficiente aggiungere che tale arresto provvedimentale (intervenuto per silentium) è stato fatto oggetto di esplicita conferma con il provvedimento di diniego prot.llo n. 1554 del 22.1.2009, la cui validità è stata già sopra scrutinata.

Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va respinto.

Sussistono ciò nondimeno giusti motivi per compensare le spese di giudizio, anche perché il Comune di Mugnano si è costituito con memoria di stile, sì da rendere necessaria l’acquisizione di chiarimenti mediante la spedizione di ben due ordinanze istruttorie. Restano, comunque, definitivamente a carico della soccombente parte ricorrente gli oneri per il contributo unificato.



P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese come da motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 25 novembre 2010 con l'intervento dei magistrati:

Carlo D'Alessandro, Presidente
Anna Pappalardo, Consigliere
Umberto Maiello, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/12/2010

martedì 8 febbraio 2011

UN PENSIERO PER TUTTE LE DONNE.

URBANISTICA.CALCOLO DELLA VOLUMETRIA.

TAR Campania (NA) Sez. II n. 28013 del 23 dicembre 2010
Urbanistica. Calcolo della volumetria per lotto edificabile

Il calcolo della volumetria che può essere realizzata su un lotto edificabile deve essere effettuato tenendo conto della situazione determinata anche dalla parziale utilizzazione, da parte dell’originario proprietario, della volumetria globalmente disponibile e, quindi, eventualmente detraendo dalla cubatura richiesta quella già realizzata per il precedente edificio, a nulla rilevando che questo possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



N. 28013/2010 REG.SEN.
N. 05668/2007 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Seconda)


ha pronunciato la presente

SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 5668 del 2007, proposto da:
Manzolillo Franco, rappresentato e difeso dall'avv. Innocenzo Calabrese, con domicilio eletto, unitamente al predetto difensore, presso lo studio legale dell’Avv. E. Caruso, in Napoli, via P. Castellino, 141;


contro


Comune di S. Vitaliano, rappresentato e difeso dall'avv. Geremia Biancardi, con domicilio eletto, unitamente al predetto difensore, in Napoli, via S.Lucia n.107 c/o Studio Actis;

per l'annullamento

del provvedimento di diniego del permesso di costruire (nota prot. n.8292 del 3.8.2007).


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di S. Vitaliano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2010 il dott. Umberto Maiello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO


Il ricorrente è proprietario di un lotto sito nel Comune di San Vitaliano, censito in catasto al fol. 4, p.lle 707 e 708, con destinazione urbanistica di “zona B4” (parti del territorio parzialmente o totalmente edificate).

Con istanza del 17.11.2006 (prot.llo 10679) ha chiesto il rilascio di un permesso di costruire un fabbricato con destinazione d’uso alberghiera.

Il Comune di San Vitaliano, con atto prot.llo 4004 del 12.4.2007, ha comunicato il preavviso di rigetto ed, all’esito del procedimento, acquisite le controdeduzioni del ricorrente, ha confermato il diniego, opponendo il precedente asservimento dell’area.

Avverso tale provvedimento (prot.llo 8292 del 3.8.2007), con il gravame in epigrafe, il ricorrente deduce:

1) la violazione dell’art. 10 bis, l’insufficienza dell’istruttoria condotta dal Comune di San Vitaliano ed il difetto di motivazione;

2) l’insussistenza del ritenuto asservimento, non risultando esso attestato da alcun registro pubblico; inoltre, il Comune non avrebbe accertato – nemmeno in fatto – l’esistenza delle costruzioni cui si riferirebbero le concessioni edilizie menzionate nell’atto di donazione.

Con ordinanza n. 456/2010 del 9.6.2010 questa Sezione ha disposto incombenti istruttori cui il Comune di S. Vitaliano – all’uopo onerato - ha fornito puntuale riscontro.

All’udienza del 25.11.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.


DIRITTO


Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.

Giusta quanto anticipato in premessa, l’oggetto del presente giudizio verte sulla predicabilità della pretesa edificatoria azionata dal ricorrente in relazione ad un’area, censita in catasto al fol. 4, p.lle 707 e 708 ed avente destinazione urbanistica di zona B4 (“ parti del territorio parzialmente o totalmente edificate”).

Il Comune assume, infatti, con il provvedimento oggetto del presente gravame, che tale area è stata già utilizzata a fini edificatori per effetto di atti di concessione precedentemente rilasciati e di cui non si sarebbe tenuto conto nel nuovo progetto edilizio.

Da parte sua, il ricorrente deduce, con il gravame in epigrafe, che l’intervento in questione (volto alla realizzazione di un fabbricato con destinazione d’uso alberghiera) è stato progettato nel pieno rispetto degli indici e dei parametri urbanistici vigenti e che il lotto utilizzato non sarebbe asservito ad altre costruzioni; tanto anche in ragione dell’assenza di qualsivoglia provvedimento o registro che attesti l’esistenza del suddetto vincolo.

Il costrutto giuridico attoreo è privo di fondamento.

Anzitutto, mette conto evidenziare che l’area di sedime dell’erigendo fabbricato, formata dalle particelle n. 707 e 708 del fol. 4, ha un’estensione complessiva di 1077 mq (877 mq + 200 mq).

Il programmato intervento edilizio – ove attuato – esaurirebbe, di per se solo, le possibilità di edificazione: invero, secondo quanto si evince dalla stessa relazione tecnica descrittiva allegata alla domanda di rilascio del permesso di costruire, su mq. 1077 di superficie edificabile verrebbero coperti 322,92 mq a fronte dei 323,10 disponibili (l’indice di fabbricabilità è di 3.00 mc/mq) con un volume fuori terra di mc. 2922,97 rispetto al volume max realizzabile di mc. 3231.

In ragione di quanto fin qui detto è, dunque, di tutta evidenza il rilievo dirimente che si riconnette all’esame della questione pregiudiziale opposta dal Comune resistente: il pregresso sfruttamento della cubatura della medesima area precluderebbe, in radice, la predicabilità del nuovo progetto edificatorio coltivato dal ricorrente.

La suddetta circostanza ostativa, contestata dal ricorrente, trova una decisa conferma negli esiti dell’istruttoria svolta dal Comune di S. Vitaliano su ordine del Tribunale.

Sul punto, con relazione (prot.llo n. 8117 del 20.7.2010) prodotta in data 28.7.2010, il predetto Comune ha chiarito che sull’area in argomento insistono altri fabbricati precedentemente assentiti. Ciò, peraltro, trova riscontro nello stesso titolo di proprietà presentato dal ricorrente a corredo della pratica edilizia in questione.

In particolare, in riferimento alle particelle 431 e 32 risultano rilasciati i seguenti titoli abilitativi:

• Concessione Edilizia n 67 del 27/04/1978 per la “Ristrutturazione di una casa colonica e copertura aia in via nazionale delle Puglie”;

• CE. n. 554 del 21/12/1976 per la “Costruzione di un fabbricato per civile abitazione;”

• CE. n. 152 del 19/04/1980 per la “Soprelevazione di un piano terra esistente a negozi”;

• CE n. 213 de 01/07/1981 per la “Soprelevazione di un fabbricato per civile abitazione”;

• CE. N. 485 del 24/04/1986 per la ‘Soprelevazione di un fabbricato per civile abitazione”;

Tale area (p.lla 431) è stata oggetto di successivo frazionamento in virtù di un progetto depositato in data 20/01/2005 prot.n. 544.

In ragione di quanto detto, è emerso che il fabbricato oggetto del provvedimento comunale risulta posizionato sulle particelle 707 e 708, corrispondenti alle particelle 431/b e 431/c del predetto frazionamento.

Di tutto ciò non si è, invece, tenuto conto nella redazione del progetto edificatorio che, pertanto, è stato giustamente ritenuto irricevibile.

Le divisate risultanze istruttorie – rispetto alle quali il ricorrente non ha formulato pertinenti controdeduzioni – rendono, dunque, il provvedimento impugnato immune rispetto alle censure attoree.

Sul punto, è sufficiente fare rinvio ad un diffuso orientamento giurisprudenziale, fatto proprio anche da questa Sezione (cfr. T.A.R. Campania, II Sezione, 30 aprile 2009 n. 2262, 8 giugno 2006, n.6816; IV Sezione, 17 giugno 2002, n.3614; Consiglio di Stato, V Sezione, 12 luglio 2005, n.3777, e 23 agosto 2005, n.4385), secondo cui il calcolo della volumetria che può essere realizzata su un lotto edificabile deve essere effettuato tenendo conto della situazione determinata anche dalla parziale utilizzazione, da parte dell’originario proprietario, della volumetria globalmente disponibile e, quindi, eventualmente detraendo dalla cubatura richiesta quella già realizzata per il precedente edificio, a nulla rilevando che questo possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa.

D’altro canto, in subiecta materia, il vincolo d’asservimento si costituisce solo per effetto del rilascio del permesso di costruire (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 28 giugno 2000, n.3637; Cassazione civile, Sezione II, 12 settembre 1998, n.9081), per cui, proprio perché recepito in un provvedimento amministrativo, è opponibile anche ai terzi acquirenti, fatti salvi i rimedi giurisdizionali e amministrativi azionabili nei confronti degli atti eventualmente illegittimi.

Le considerazioni suesposte hanno un’immediata ricaduta anche sulle residue censure articolate dalla parte ricorrente che impingono nel difetto di motivazione ovvero nella violazione delle garanzie procedimentali.

La ineluttabilità – per le ragioni suesposte - della soluzione reiettiva privilegiata dal Comune resistente comporta, invero, la dequotazione delle suddette violazioni in mere irregolarità secondo lo schema di cui all’art. 21 octies della legge n. 241/1990.

D’altro canto, le dedotte carenze di ordine formale sono infondate, essendo l’atto compiutamente argomentato anche rispetto alle conclusioni rassegnate dal ricorrente nel corso del procedimento. Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va respinto siccome infondato.

Sussistono nondimeno giusti motivi per compensare le spese di giudizio, eccezion fatta per il contributo unificato, i cui oneri restano definitivamente a carico della soccombente parte ricorrente.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese come da motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 25 novembre 2010 con l'intervento dei magistrati:

Carlo D'Alessandro, Presidente
Anna Pappalardo, Consigliere
Umberto Maiello, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA

giovedì 3 febbraio 2011

URBANISTICA .- COSTRUZIONE PIANO INTERRATO.

Cass. Sez. III n. 1522 del 19 gennaio 2011 (Ud. 17 nov. 2010)
Pres. Ferrua Est. Rosi Ric. Greco ed altri
Urbanistica. Costruzione piano interrato

La realizzazione di un piano interrato rientra tra gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio per i quali è necessario li permesso dl costruire, trattandosi pur sempre di intervento in relazione al quale l’autorità amministrativa deve svolgere il proprio controllo sul rispetto delle norme urbanistiche ed edilizie, anche tecniche, finalizzato ad assicurare il regolare assetto e sviluppo del territorio

Cassazione: non è annullabile un matrimonio durato quasi 20 anni

Non possono essere annullati dallo Stato i matrimoni di lungo corso neppure se questi siano stati già in precedenza annullati dalla Chiesa. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (Sentenza n. 1343/2010 della prima sezione civile) spiegando che non c'è alcun automatismo che consenta di riconoscere valore ad una sentenza ecclesiastica che abbia annullato un matrimonio per esclusione della prole. La Corte ha così accolto il ricorso di una signora il cui matrimonio era stato annullato dalla Chiesa sul presuppostoo che la donna avrebbe volontariamente eslcuso di voler procreare. A quel punto il marito aveva chiesto e ottenuto (dalla Corte d'Appello di Venezia) che quella sentenza venisse delibata dallo stato Italiano. Contro la decisione la donna si è rivolta alla Suprema Corte affermando che tra i coniugi vi era stata una convivenza molto lunga e che per questo non era possibile ipotizzare che lei avesse potuto per tutto questo tempo simulare l'esclusione di uno dei 'bona matrimonii'. Accogliendo il ricorso la Cassazione ha affermato che la sentenza impugnata ha erroneamente considerato "in linea di principio non ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullita' del matrimonio, pronunciata a motivo del rifiuto della procreazione, sottaciuto da un coniuge all'altro, la loro particolarmente prolungata convivenza oltre il matrimonio''. La Corte fa notare che la convivenza tra la coppia ''si era protratta per quasi un ventennio''.