sabato 22 gennaio 2011

ARTICOLI DI STAMPA LOCALE.

mercoledì 19 gennaio 2011

URBANISTICA.LEGGE TOGNOLI. AREA PARCHEGGIO.

Cons. Stato SEz. IV n. 8729 del 10 dicembre 2010
Urbanistica. Legge Tognoli

La c.d. legge Tognoli riguarda esclusivamente aree e costruzioni destinate a parcheggio, con esclusione di qualsiasi altra destinazione incompatibile con il vincolo pubblicistico di natura funzionale introdotto dalla stessa legge
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 08729/2010 REG.SEN.
N. 05553/2007 REG.RIC.
Il Consiglio di StatO
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 5553 del 2007, proposto da:
Comune di Altomonte, rappresentato e difeso dall'avv. Silvio Crapolicchio, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Belsiana, 100;
contro
Piragine Anna Maria Carmela, Bruno Vittorio, rappresentati e difesi dagli avv. Paola Salvatore, Mario Sanino, con domicilio eletto presso Studio Legale Sanino in Roma, viale Parioli, 180;
nei confronti di
Biscardi Michele;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA - CATANZARO :SEZIONE II n. 00499/2006, resa tra le parti, concernente ANNULLAMENTO PERMESSO COSTRUZIONE RIGUARDO FABBRICATO ADIBITO A PARCHEGGIO MULTIPIANO E DINIEGO PERMESSO DI COSTRUIRE IN VARIANTE - RIS. DANNO.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 novembre 2010 il Cons. Armando Pozzi e uditi per le parti gli avvocati Crapolicchio e Sanino ;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO


Con due distinti ricorsi al TAR di Catanzaro, iscritti con i nn. R.g. 1101 e 1039 del 2004, l’attuale appellata impugnò, rispettivamente, l’ordinanza n. 42 del 27.07.2004, con cui l’ Ufficio Tecnico del Comune di Altomonte aveva annullato in autotutela il permesso di costruire n. 8 del 1°.10.2003 e, limitatamente al fabbricato adibito a parcheggio multipiano esterno, la concessione edilizia n. 25 del 29.07.2002, con conseguente condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni da liquidarsi in euro 3.585.239,27 per anno, oltre danno morale, all’immagine ed esistenziale da liquidarsi in euro 100.000,00 nonché ulteriore danno per aumento dei costi dei materiali di costruzione; nonché il provvedimento prot. 5280 del 17.06.2004 dello stesso Ufficio Tecnico con cui venne respinta l’istanza di approvazione di un progetto di variante per la realizzazione di un parcheggio multipiano per autoveicoli in prossimità del Castello dei Conti di Altomonte, con conseguente risarcimento dei danni.


Avverso il provvedimento di autotutela, i ricorrenti formulavano una pluralità di censure, affidate a distinti motivi - come riportati nella sentenza del TAR - di violazione di legge ( artt. 10 l. 765/1967, 1 l. n. 10/1977, 10 D.P.R. n. 380/2001, 10 l. n. 241/90, 11 l. n. 241/90 , 9 l. n. 122/1989, 20 D.P.R. 380/2001), di errata applicazione delle norme del Programma di Fabbricazione e del Regolamento Edilizio relative alle zone destinate a verde privato di nonché eccesso di potere in varie figure sintomatiche relative alla violazione dei principi sul contrarius actus, sul buon andamento e sull’affidamento .
Contro il provvedimento di diniego di variante veniva articolata una pluralità di censure in parte analoghe a quelle già proposte con il primo ricorso ed in parte attinenti, specificatamente, ad altri profili di violazione di legge (artt. 1 l. 10/1977, 8 l. 47/1985, 31 l. 457/1978, 23 d. lgv. n. 490/1999 art. 11 l. n. 241/90, 10 e 20 D.P.R. n. 380/2001 ).


Dopo varie vicende processuali di carattere cautelare o inerenti l’ottemperanza, di cui meglio si dirà in prosieguo in punto di diritto, nel corpo della motivazione, con sentenza n. 499/2006 il TAR ha accolto i due ricorsi riuniti.
Avverso la predetta sentenza ha proposto il presente appello il comune di Altomonte, proponendo vari motivi di violazione della 1. n. 1648/1962, artt. 6, 17 e 382, del D.P.R. n. 380/2001, artt. 31, 32 e 34, dell’art. 873 cc., dell’art. 7 della 1. n. 1150/1942, della legge regionale Calabria n. 23/1990, art. 6, comma 1, lett. h), del Programma di Fabbricazione del Comune di Altomonte, degli artt. 20 e 2l-octies della 1. n. 241/1990; nonché di eccesso di potere per omessa, carente e/o errata motivazione, per difetto di istruttoria, per illogicità e contraddittorietà e travisamento dei fatti.


Si è costituita in giudizio la parte appellata privata, la quale ha contestato anzitutto l’ammissibilità dell’appello sotto i seguenti profili : a ) tardività dell’appello in quanto non notificato al difensore costituito in primo grado ; b) difetto di autorizzazione del Sindaco a stare in giudizio; c ) difetto di specifiche censure contro la sentenza di primo grado, essendosi l’appellante limitato a riproporre le censure contro il provvedimento impugnato in primo grado. Nel merito contesta l’appello insistendo, tra l’altro, sulla natura non essenziale della variante al pdc del 2003, rilasciata dal commissario ad acta.
L’appellante amministrazione comunale ha depositato ampia memoria di deduzioni alle eccezioni dell’appellata, richiamando, in particolare, le risultanze del procedimento penale a carico dell’appellata ed altre persone, pendente innanzi alla Magistratura penale calabrese.
Alla pubblica udienza del 5 novembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.


DIRITTO


1 - Preliminarmente vanno disattese, in quanto palesemente infondate, se non addirittura pretestuose, tutte le eccezioni di inammissibilità e tardività sollevate dalla difesa della parte appellata, come meglio si vedrà in prosieguo di motivazione.

2 - Nel merito, ritiene preliminarmente il Collegio di procedere ad una seppur rapida esposizione dei fatti storici che caratterizzano la complessa vicenda all’esame, come pure esposti ( ma solo in parte ) nell’appellata sentenza di primo grado n. 499 del 2006 .

2.1 - L’attuale appellata, proprietaria del Castello dei Conti d’Altomonte sito nell’omonimo Comune e adibito a struttura alberghiera, con istanza del 10 gennaio 2002 chiedeva il rilascio di permesso di costruire presentando un progetto relativo a lavori di “Restauro, consolidamento e ristrutturazione funzionale del Castello”.

2.2 - In particolare, le opere da realizzare consistevano nel consolidamento e nella ristrutturazione funzionale dell’edificio, con l’aggiunta di nuove camere, la realizzazione, all’esterno, di una piscina e di un’area da destinare a parcheggio per far fronte, a detta dell’appellata, ad un notevole afflusso di turisti e alla celebrazione di un gran numero di matrimoni.

2.3 Il Comune - dopo ondivaghe determinazioni della Soprintendenza BBAAAA di Cosenza che prima ( note del 10.1.2002 e del 1.7.2002 ) aveva ritenuto non proponibile l’intervento di realizzazione del terrazzo esterno, nonchè dell’intero corpo di fabbrica adiacente il Castello , in quanto alterante “ totalmente la composizione visiva morfologica del pendio “ ciò che non sembrava “ portare a felice conclusione la sintesi progettuale , mentre con nota del 15.7.2002 La stessa Soprintendenza di Cosenza rilasciava il n.o. con prescrizioni relative soltanto agli interventi sul castello - rilasciava concessione edilizia n. 25 in data 29 luglio 2002, per la realizzazione, appunto, dei lavori di restauro, consolidamento e ristrutturazione funzionale del “Castello dei Conti di Altomonte” , in catasto al fg. n. 13, p.lla n. 101, a condizione che detti lavori venissero eseguiti nel rispetto delle prescrizioni contenute nella citata nota della Soprintendenza prov.le di Cosenza del 15 luglio 2002, prot. 387/m, riguardante, in particolare, la parte dei lavori relativi al Castello. Con la stessa c.e. si autorizzava anche la realizzazione del parcheggio esterno, con prescrizioni di destinazione d’uso a favore dell’amministrazione comunale.

2.4 Con la medesima c. e. n. 25 veniva assentita anche la realizzazione della piscina e del parcheggio esterno, articolati su quattro livelli ( il primo “ non utilizzato “, il secondo utilizzato a servizi, il terzo e quarto a parcheggio, il tutto mediante strutture in c.a.: v. relazione tecnica allegata alla domanda di c.e. ).

3 - Con un secondo titolo abilitativo, n. 8/2003 del 1.10.2003, l’Amministrazione comunale - anche su sollecitazione del Sindaco in data 22.9.2003, manifestamente illegittima per palese violazione del principio costituzionale di separazione fra politica ed amministrazione ( art. 97 Cost., artt. 4 e 14 d. lgs. n. 165/2001, art. 107 TUEELL n. 267/2000, ecc. ) aveva assentito altresì “l’esecuzione di lavori di costruzione del parcheggio con struttura in c.a. che interessano il 1° e il 2° livello”.
Si tratta di un titolo edilizio modificativo rispetto al precedente, in quanto rilasciato su richiesta di apposita variante avente le seguenti caratteristiche, come descritte nella relazione tecnica allegata alla domanda dell’interessata “ … l’esclusione della piscina e la modifica della struttura del parcheggio………………La struttura adibita a parcheggio è prevista a gradinata, allo scopo di seguire l’andamento del terreno di massima pendenza e, di conseguenza, ridurre al minimo i movimenti di terra. Essa è composta di un primo piano, enumerando dal più basso, destinato a deposito, da un secondo, destinato ai servizi della futura piscina, da due ulteriori piani di eguale estensione destinati a parcheggio, e da una terrazza con funzioni, ove occorra, anche di eliporto.
Ciascuno dei piani destinati a parcheggio può ospitare fino a venti posti macchina. In totale il parcheggio può ospitare quindi quaranta autovetture……………… “.


3.1 - Con provvedimento prot. 2974 del 19.11.2003, a lavori del parcheggio già iniziati, la Soprintendenza ai Beni Architettonici ed Ambientali di Cosenza ne ordinava la sospensione, in quanto ricadenti su di un’area da sottoporre - come espressamente e contestualmente richiesto dalla medesima Soprintendenza in pari data - ad estensione del vincolo storico - artistico - ambientale già presente sul complesso monumentale del Castello.
Il comune, a sua volta, con ordinanza n. 51 del 2.12.2003 disponeva la sospensione di ogni attività edilizia connessa al pdc n. 8/2003.

3.2 - Con successiva nota prot. 3026/M del 5.12.2003, la Soprintendenza di Cosenza - dopo avere ( erroneamente ) precisato che il proprio parere del 15.7.2002 aveva riguardato un progetto privo degli allegati relativi al parcheggio ( ma a tal riguardo v. sopra p. 2.3 ) - sollecitava una revisione del progetto del parcheggio, al fine di renderlo compatibile con le caratteristiche del complesso monumentale sottoposto a tutela ed autorizzava, per quanto di propria competenza, la ripresa dei lavori di consolidamento del pendio.
Con ulteriore nota prot. 326 del 9.02.2004, la Soprintendenza di Catanzaro comunicava all’interessata l’avvio del procedimento per l’eventuale imposizione del vincolo sull’area interessata dall’opera, ai sensi dell’art. 2 dell’allora vigente d. lgs. n. 490/1999.
Conseguentemente, il comune adottava ordinanza cautelare n. 13 del 18.02.2004, di sospensione dei lavori di realizzazione del parcheggio multifunzionale autorizzati con il pdc n. 8/2003 , escludendo però quelli di consolidamento del pendio.

3.3. - A seguito delle richieste della Soprintendenza, l’appellata presentava, in data 29.03.2004, un progetto di variante per la realizzazione di un parcheggio automobilistico multipiano, a gradinate, costruito lungo il pendio sottostante il complesso monumentale.
Le variazioni contenute nel suddetto progetto di variante, rispetto a quanto assentito con permesso di costruire n. 8/2003, consistevano in una diversa pianta dell’edificio, a forma trapezoidale ( a fronte di quella originaria rettangolare ) , per una maggiore altezza, per una ridotta superficie.
Più in dettaglio, la relazione tecnica allegata alla domanda evidenziava quanto segue :
“ :Nel corso di esecuzione degli scavi di sbancamento, la sorpresa geologica ha determinato non solo un abbassamento delle quote originarie dei tre piani di posa, ma anche una modifica della pianta necessariamente divenuta di forma irregolare. Di tal che la composizione definitiva risulta, sempre enumerando dal più basso, la seguente:
- primo piano, destinato a deposito, esteso mq 84 circa;
- secondo piano, destinato a deposito e/o servizi, esteso mq 190 circa;
- terzo piano, destinato a servizi della futura piscina, esteso mq 190 circa;
- quarto e quinto piano, destinati a parcheggio, estesi ciascuno mq 300 m. circa;
- terrazza estesa mq 300 circa…………”.

3.4 - Con provvedimento prot. 1971/M del 14.04.2004 la Soprintendenza calabrese di Cosenza rilasciava il nulla osta in ordine al menzionato progetto di variante con prescrizioni di carattere semplicemente estetico; con successiva nota prot. 1293/M del 28.05.2004, in risposta a specifica richiesta del Comune di Altomonte del 30.04.2004, precisava che l’avvenuta approvazione ai sensi dell’art. 23 del d. lgs. n. 490/1999 del progetto di variante aveva comportato la revoca della sospensione cautelativa dei lavori precedentemente disposta con provvedimento del 19.11.2003 ( v. sopra sub 3.1 ).

3.5 - Con nota prot. 5215 del 14.06.2004, l’Ufficio Tecnico del Comune di Altomonte comunicava all’appellata l’avvio del procedimento per l’annullamento in autotutela della concessione edilizia n. 25/2002, limitatamente al fabbricato adibito a parcheggio e del permesso di costruire n. 8/2003.
L’ interessata con nota del 21.06.2004 trasmetteva all’Amministrazione comunale le proprie osservazioni.

3.6 - Con decreto n. 41/2004 del 7.07.2004, la medesima Soprintendenza per i Beni e le Attività Culturali per la Calabria di Catanzaro, previa comunicazione di avvio del procedimento in data 9.2.2004, dichiarava, ai sensi del d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, l’area sottostante il Castello di interesse particolarmente importante.

3.7 Il comune, con provvedimento prot. 5280 del 17.06.2004, respingeva definitivamente l’istanza di variante presentata dalla ricorrente e con successivo provvedimento n. 42 del 27.07.2004 annullava d’ufficio la concessione edilizia n. 25 del 29.07.2002, limitatamente al fabbricato adibito a parcheggio, nonché il permesso di costruire n. 8 del 1.10.2003. Con il medesimo provvedimento di annullamento d’ufficio, veniva ingiunta alla parte appellata, in qualità di ditta esecutrice dei lavori, la demolizione delle opere eseguite nonché il ripristino dell’originario stato dei luoghi.

4 - Avverso il predetto provvedimento comunale di autotutela, la ricorrente ha proposto gravame al TAR di Catanzaro, iscritto al R.G. n. 1101/2004.
Autonomo gravame è stato proposto altresì avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di variante del 17.06.2004, iscritto al R.G. n. 1039/2004.
Alla camera di consiglio del 7.10.2004, fissata per la discussione della domanda cautelare proposta dalla ricorrente nell’ambito del ricorso R.G. n. 1039/2004, il Tribunale, con ordinanza n. 558/2004, concedeva la richiesta misura cautelare e disponeva la sospensione del provvedimento prot. 5280 del 17.06.2004, di diniego della domanda di variante.

4.1 - I due ricorsi riuniti nn. 1101 e 1039 del 2004 venivano accolti dal TAR con sentenza n. 499/2006, la quale è stata appellata dal comune di Altomonte con ricorso in appello nrg. 5553 del 2007.

5 - Nell’ambito del medesimo procedimento con successiva ordinanza n. 2/2005 del 17.01.2005, lo stesso Tribunale Amministrativo, pronunciandosi su apposita istanza della ricorrente, attuale appellata, concedeva le richieste misure attuative dell’ordinanza cautelare n. 558/2004, provvedendo alla nomina del commissario ad acta nella persona del Prefetto di Cosenza, il quale, a sua volta, designava il vice prefetto aggiunto dott.ssa Anna Aurora Colosimo, in servizio presso il medesimo Ufficio Territoriale del Governo.

5.1 - Il commissario dapprima chiedeva una proroga del termine per la conclusione del suo mandato; quindi, con distinte note, commissariale e prefettizia, del 4.10.2005 e del 5.10.2005, faceva istanza al Tribunale Amministrativo di concedere la proroga del termine per la conclusione dell’incarico e di valutare l’opportunità di autorizzarlo ad avvalersi dell’ausilio di un tecnico di fiducia per un più approfondito esame dei numerosi e complessi atti del procedimento e conseguente decisione sull’istanza di permesso in variante.
Il Giudice di primo grado , all’esito della camera di consiglio del 3.11.2005, con ordinanza n. 67/2005 del 4.11.2005 concedeva la proroga richiesta ed autorizzava il commissario ad avvalersi di un professionista di fiducia, in particolare <
5.2 - L’ing. Aristodemo, con nota del 15.11.2005 diretta al commissario ad acta, esprimeva le proprie osservazioni sul progetto di rilascio del permesso di costruire, con particolare riguardo ai profili altimetrici e planimetrici dell’opera.
Con il provvedimento n. 28 del 16.11.2005, il commissario ad acta concludeva il procedimento, rilasciando il titolo edilizio richiesto.

5.3 - Avverso il provvedimento commissariale di rilascio del titolo edilizio in variante insorgeva a sua volta il Comune con ricorso al TAR per la Calabria, iscritto al RG n. 54/2006.
Il predetto gravame è stato respinto con sentenza n. 500/2006, fatta oggetto di appello iscritto al nrg. 5552 del 2007.
.
6 - Nel frattempo, l’ente locale, con provvedimento prot. 1979 del 4.03.2005, si ripronunciava negativamente sull’istanza di variante della ricorrente, e ciò prima dell’insediamento del commissario ad acta nominato con ordinanza n. 2/2005, il quale non poteva quindi dare corso all’incarico ricevuto.
Ciò avveniva perché l’Amministrazione locale, dopo la sospensione cautelare del precedente diniego di variante n, 5280 del 17.06.2004 ( supra sub 3.6 ), aveva riattivato il procedimento istruttorio con nota prot. 12279 del 24.11.2004, chiedendo alla ricorrente la produzione di ulteriore documentazione rispetto a quella già versata in atti.
Con il citato provvedimento del 4.03.2005, l’Amministrazione ha respinto l’istanza di variante presentata dalla ricorrente in primo grado, attuale appellante, per non aver prodotto la documentazione richiesta, impedendo di fatto l’istruttoria conclusiva al progetto di variante.

6.1 - Avverso il suddetto provvedimento di rigetto proponeva ulteriore ricorso al TAR l’appellata, iscritto al RG n. 381/2005.
Con ordinanza n. 295/2005 del 5.05.2005, confermata in appello da questa Sezione con ord.za 28.07.2005 n. 3520, il TAR accoglieva la domanda di sospensione cautelare del provvedimento negativo.
Nella perdurante inerzia del comune nel dare esecuzione alla misura cautelare, lo stesso Tribunale, pronunciandosi su apposita istanza della ricorrente, con ordinanza n. 48 dell’8.07.2005 provvedeva alla nomina del commissario ad acta nella persona del Prefetto di Cosenza per l’esecuzione coattiva della predetta misura cautelare. Con successiva ordinanza n. 67 del 4.11.2005, il Collegio concedeva una proroga del termine originariamente concesso al commissario per l’espletamento dell’incarico.

6.2 - Il ricorso nrg 381/2005 è stato definito dal TAR con sentenza di accoglimento n. 498/2006, avverso la quale ha pure propsto appello lo stesso comune di Altomonte, con ricorso nrg 5554 del 2007.

7 - Tutto ciò sinteticamente esposto, preliminarmente il Collegio decide di tenere i tre appelli separati e di non disporne la riunione: ciò in quanto si tratta di vagliare tre distinte sentenze di primo grado, aventi ad oggetto provvedimenti distinti, seppur inerenti la stessa vicenda edilizia.
Si tratta di vicenda, come sopra sinteticamente esposta, caratterizzata da una soverchia mole di atti e di ricorsi giurisdizionali, così che un’eventuale riunione comporterebbe un inutile affastellamento espositivo e motivazionale, in spregio al principio ( seppur tendenziale ) di chiarezza e sinteticità di cui all’articolo 3, comma 2, c.p.a..

8 - Può, pertanto passarsi all’esame dell’appello n. 5553/2008 proposto avverso la sentenza del TAR Calabria n. 499/2006, di accoglimento dei due ricorsi riuniti di cui all’anteriore punto 4.
Con tale gravame il comune di Altomonte formula una serie corposa ( 50 pagine ) di censure alla sentenza, che si andranno ad analizzare con riferimento ai vari passaggi di essa.
Si è costituita l’appellata per contestare, anzitutto, l’ammissibilità dell’appello sotto vari profili, nonché la sua infondatezza nel merito.

9 - Preliminarmente vanno disattese, in quanto palesemente infondate, se non addirittura pretestuose, tutte le eccezioni di inammissibilità - tardività sollevate dalla difesa della parte appellata.
L’appello è rituale e tempestivo, in quanto notificato al procuratore domiciliatario avv. Attinà, indicato espressamente in sentenza di primo grado ( art. 330 c.p.c.; Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2009 , n. 2919 ). In ogni caso, la costituzione dell’appellato sana ogni difetto di notifica, essendosi comunque instaurato il contraddittorio sostanziale (Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2006 , n. 3017; Cass. Civ. , sez. trib., 1 giugno 2004 , n. 10501 ed ivi ulteriori riferimenti ).
L’appello è rituale in quanto contenente specifici e ben individuati motivi di censura ( non contro il provvedimento amministrativo ma ) contro la sentenza di primo grado, come meglio si avrà modo di rilevare nel prosieguo della motivazione inerente i profili di merito del gravame.

10 - Con riguardo al provvedimento comunale di auto annullamento n. 42/2004 ( v. supra sub p. 3.6 ) il TAR , dopo avere richiamato noti e scontati principi in materia di autotutela, ha ritenuto censurabile l’apparato motivazionale del citato provvedimento, dal quale non trasparirebbe né l’indicazione dell’interesse pubblico, connotato da attualità e concretezza, al ritiro dei due titoli edilizi del 2002 e del 2003, né l’esito dell’obbligatorio giudizio di comparazione tra detto interesse e quello dei ricorrenti alla conservazione dei titoli medesimi.
In particolare, la sentenza ha osservato che l’affermazione del provvedimento secondo cui “ visto il breve lasso di tempo intercorso tra il rilascio degli atti concessori e la sospensione dei lavori, nessuna consistente e rilevante attività edificatoria (al di là dei meri interventi di consolidamento del pendio) è stata posta in essere “ dall’appellata, sarebbe palesemente smentita dal decorso di uno e due anni dal rilascio dei titoli originari, nonché dalla documentazione versata in atti, oltre che contraddetta nell’ambito dello stesso provvedimento di autotutela. Difatti, se rispondesse a verità che alla data del 27.07.2004 fossero stati compiuti esclusivamente interventi di consolidamento del pendio, non si capirebbe per quale ragione l’Amministrazione, con il medesimo provvedimento oggetto di gravame, abbia disposto la demolizione delle sole opere in elevazione, verificabili dopo la ricostruzione del pendio originario.

10.1 - Al riguardo, l’appello censura specificatamente tale punto della sentenza ( pag. 39 e seg.: di qui l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità sollevata dall’appellata ) osservando che : a) uno o due anni, sono un periodo piuttosto breve, come rilevato pure dalla giurisprudenza amministrativa e tenuto conto del complesso iter che ha caratterizzato la vicenda ; b ) l’interesse pubblico attuale è evidente nella compromissione dei valori ambientali connessi alla zona circostante il Castello di Altomonte , come pure ( ma non solo ) accertati con il provvedimento di vincolo della Soprintendenza calabrese ( v, supra p. 3.6) ; c) nessun affidamento o mancata comparazione con gli interessi privati poteva ravvisarsi, anzitutto per la preminenza dei rilevantissimi interessi pubblici sottesi all’autoannullamento di carattere paesistico ed urbanistico ; poi, perché l’esborso di 100.000 euro per i lavori intrapresi non poteva considerarsi un danno grave, come pure ritenuto dal TAR nel respingere la richiesta di risarcimento ; infine, perché nessun affidamento poteva essere ingenerato dalla “ lettera di intenti “ in data 28.7.2002, a firma del sindaco di Altomonte e sottoscritta anche dall’appellata, con cui il primo manifestava la “ disponibilità “ dell’amministrazione comunale ad accogliere la domanda di concessione edilizia della attuale appellata con talune prescrizioni. .

11 Tutte le censure come sopra sinteticamente esposte sono fondate, risultando, nella specie, rispettati tutti i criteri per il legittimo esercizio del potere di autotutela come indicati nell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 e come elaborati dalla giurisprudenza amministrativa : illegittimità iniziale del provvedimento annullando, interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione dell’atto illegittimo, adozione dell’annullamento d’ufficio entro un “ ragionevole “ lasso di tempo , valutazione degli interessi dei destinatari del provvedimento di secondo grado e degli eventuali contro interessati ed insussistenza di qualsiasi legittimo affidamento.

11-1 - Quanto ai singoli presupposti sopra elencati, è da osservare quanto segue.
Riguardo ai profili di illegittimità iniziale, l’annullamento della concessione edilizia n. 25 del 29 luglio 2002 , limitatamente al fabbricato adibito a parcheggio multipiano esterno al Castello e del successivo permesso di costruire n. 8 del 10 ottobre 2003, riguardante specificatamente quest’ultimo attraverso una apposita variante ( v. sopra punto 3 ), è stato disposto poiché: “ a) l’area su cui ricade il progettato intervento, nel vigente P.d.F. è classificata come Zona a verde privato; b) non trovano applicazione le deroghe di cui alla legge Tognoli, in quanto i relativi benefici derogatori alla disciplina urbanistica possono essere applicati per le costruzioni da realizzarsi nel sottosuolo, ovvero ai piani terra od interrati di fabbricati già esistenti; c) la destinazione d’uso attribuita ad una parte dell’immobile (deposito servizi) non risulta compatibile con quanto disposto dall’art. 9 della Legge 24 marzo 1989 n. 122.
Si tratta di argomentazioni del tutto corrette e ciascuna di esse sufficiente, di per sé, a far ritenere manifestamente illegittimi gli originari permessi edificatori riguardanti il rilevante manufatto di cinque piani adiacente al Castello di Altomonte.
Come pure riconosciuto da parte appellata ( pag. 20 memoria difensiva ) , le disposizioni del Piano di Fabbricazione riguardanti il pendio a ridosso del Castello dove è collocato il manufatto multipiano classificano la zona come “ verde privato “ e prevedono soltanto la posa in opera di attrezzature per il gioco e lo sport, di “ percorsi verde vita “ per la ginnastica psicomotoria all’aperto, la costruzione di piscine di piccole e medie dimensioni, anche ad uso promiscuo privato e pubblico e la posa in opera di piccole casette in legno prefabbricate, ad un solo livello, a servizio delle eventuali attività ricreative della zona.
Si tratta, con tutta evidenza, di interventi edilizi di minimo impatto urbanistico e rispettosi delle caratteristiche storico-monumentali dell’adiacente Castello, che nulla hanno in comune con la creazione di una struttura addirittura di cinque piani sovrapposti e ben visibile da lontano. La violazione della normativa urbanistica locale è, dunque, evidente e non necessita di ulteriore dimostrazione.

11.2 - Quanto all’altro profilo di illegittimità, costituito dalla violazione della legge c.d. Tognoli, n. 122/1989, anch’essa appare evidente già dalle stesse parole della parte appellata, la quale ammette ( pag. 20 memoria ) che l’opera contestata non è adibita soltanto a parcheggio, ma è di natura mista, prevedendosi , da un lato, la costruzione di una piscina ( seppure poi non realizzata ), con relativi ambienti di deposito e servizi, di un’ampia terrazza di 300 mq., mentre soltanto due piani sono destinati a parcheggio.
Ciò rende, con immediata evidenza, corretta la ritenuta non applicabilità, al caso di specie, delle deroghe e dei benefici previsti dalla legge Tognoli, la quale riguarda esclusivamente aree e costruzioni destinate a parcheggio, con esclusione di qualsiasi altra destinazione incompatibile con il vincolo pubblicistico di natura funzionale introdotto dalla stessa legge ( Cons. Stato, sez. V, 24 aprile 2009 , n. 2609; Cass., sez. II, 22 agosto 2006 n. 18255 ).
Oltretutto, la legge n. 122 del 1989 era comunque inapplicabile al manufatto multipiano in contestazione, atteso che l’articolo 9 della medesima legge prevede la realizzazione dei parcheggi in aree pertinenziali esterne soltanto se realizzati nel sottosuolo, per contemperare le esigenze di decongestionamento del traffico urbano, dichiaratamente perseguite dalla normativa di settore, con le esigenze di tutela del paesaggio, che, anzi, la stessa legge Tognoli prefigura in termini di prevalenza, lasciando “ in ogni caso fermi i vincoli previsti dalla legislazione in materia paesaggistica ed ambientale ed i poteri attribuiti dalla medesima legislazione “ alle amministrazioni regionali e statali ( art. 9, comma 1, l. n. 122 cit. ).

12 - Con riguardo alla ( pretesa, mancata ) considerazione delle posizioni ed interessi maturati dai privati per effetto degli originari titoli edilizi, il provvedimento comunale di autotutela ha giustamente ritenuto che “ visto il breve lasso di tempo intercorso tra il rilascio degli atti concessori e la sospensione dei lavori, nessuna consistente e rilevante attività edificatoria (al di là dei meri interventi di consolidamento del pendio) è stata posta in essere” dall’appellata “tale da far maturare in suo favore una consolidata posizione soggettiva scaturente dagli atti amministrativi in corso di annullamento “.
Sul punto dell’elemento temporale che deve distanziare l’adozione dell’atto annullando e di quello di annullamento, secondo il criterio della ragionevolezza richiesto dall’art. 21 nonies l. n. 241 cit., osserva, condivisibilmente, l’appellante che esso è stato ben rispettato, tenuto conto che il decorso di uno e due anni dai due titoli abilitativi del 2002 e del 2003, oltre a non essere irragionevole di per sé e in assoluto, era comunque giustificato dalla complessità della vicenda inerente il parcheggio ( ma non solo ) multipiano.
Anche tali censure colgono nel segno, tenuto anche conto che manca, nella sentenza appellata, ogni valutazione della congruità o meno del lasso temporale intercorso fra atto originario e atto di autotutela, limitandosi la sentenza a riportarne solo il dato numerico.

12.1 - Sotto un profilo di puro diritto, va ricordato il consolidato orientamento di questo Consiglio secondo il quale al potere di autotutela , esercitato dopo un “ considerevole lasso di tempo “ (in applicazione dell'art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990), deve comunque essere applicato il già ricordato criterio di ragionevolezza, secondo cui in presenza di posizioni oramai consolidate e a fronte di vizi di legittimità meramente formali, occorre procedere ad un puntuale apprezzamento del ragionevole affidamento suscitato nell'amministrato sulla regolarità della sua posizione. ( cfr. : Cons. St., sez. VI, 18 agosto 2009 , n. 4958 ; sez. VI, 2 ottobre 2007, n. 5074 )
Pur tuttavia - continua lo stesso indirizzo - allorché vengano in rilievo contrastanti interessi di terzi, o superiori interessi pubblici, tali principi devono contemperarsi con quello, secondo cui per gli atti che esplicano effetti giuridici permanenti o ripetuti nel tempo il principio di legalità impone all'amministrazione il loro adeguamento in ogni momento al quadro normativo di riferimento.
In questi casi l'interesse pubblico all'esercizio dell' autotutela è "in re ipsa" e si identifica nella cessazione di ulteriori effetti "contra legem" (Cons. St. , sez. VI, 17 gennaio 2008, n. 106; v. anche sez. VI n. 4958/2009, cit. ).

12.2 - Sussiste, dunque, un dato temporale assoluto - secondo il quale un lasso di tempo oggettivamente “ non considerevole “ non comporta alcun insorgere di legittimi e tutelabili affidamenti - e un dato relativo, per il quale gli affidamenti, pur in astratto configurabili per il decorso di un tempo “ considerevole “, in concreto non lo siano per non essere essi “ ragionevoli “: la ragionevolezza che l’articolo 21 nonies della legge n. 241 riferisce al tempo è, in realtà, qualificazione maggiormente attinente alle posizioni individuali dei soggetti coinvolti nel procedimento di revisione delle decisioni iniziali.
In questa secondo accezione relativistica, la ragionevolezza comporta che l’affidamento ( ed il decorso del tempo che quello avrebbe ingenerato ) vada valutato con riguardo sia ai valori complessivamente in gioco nella rivalutazione delle determinazioni originarie, sia al concreto svilupparsi ed atteggiarsi del procedimento.
Quanto agli interessi pubblici coinvolti con il rilascio delle due concessioni edilizie del 2002 e del 2003, essi hanno la valenza, di rango costituzionale, della tutela del territorio sotto il profilo paesaggistico, storico ed artistico ( art. 9, co. 2, Cost. ).

12.3 - Quanto alle caratteristiche del procedimento in esame, esso si è atteggiato, in concreto, secondo innumerevoli scansioni provvedimentali non univoche, non chiare né coerenti, peraltro ben riportate anche alle pagine 4 e 5 della memoria dell’appellata e solo in minima parte riportate nei punti 3 e 4 che precedono.
In particolare, già si è visto, nell’esposizione del succedersi dei numerosi provvedimenti che sono stati adottati dai vari enti ed organi istituzionali, l’evidenziarsi di una serie di problemi urbanistici e paesistici connessi alla realizzazione della struttura multipiano, nonché l’indebito intervento sollecitatorio di organi assolutamente privi di ogni competenza e potere al riguardo, come subito si vedrà.
Ai precedenti punti 3.1 e 3.2 già si è detto che con provvedimento prot. 2974 del 19.11.2003 ( il permesso di costruire n. 8 è del 1 ottobre 2003 ) , a lavori del parcheggio ( ma non solo ) già iniziati, la Soprintendenza ai Beni Architettonici ed Ambientali di Cosenza ne aveva disposto la sospensione, in relazione alle caratteristiche dell’area relativa alla realizzazione della struttura multipiano, da sottoporre ad estensione del vincolo già presente sul complesso monumentale del Castello: proprio per provvedere a tale estensione del vincolo l’organo periferico cosentino - il cui comportamento, peraltro, come già detto, era stato improntato ad atteggiamenti ondivaghi ( v. sopra, punti 2.3.e 3.3 ) trasmetteva la documentazione alla Soprintendenza regionale calabrese.
Si è, altresì, evidenziato come la stessa Soprintendenza, con successiva nota del 5.12.2003 avesse sollecitato una revisione del progetto del parcheggio, al fine di renderlo compatibile con le caratteristiche del complesso monumentale sottoposto a tutela ed avesse - al contempo e contraddittoriamente o, almeno, non perspicuamente - autorizzato, per quanto di propria competenza, la ripresa dei lavori di consolidamento del pendio.
E’ stato, altresì, già rilevato come la stessa Soprintendenza, con ulteriore nota prot. 326 del 9.02.2004, avesse comunicato l’avvio del procedimento per l’imposizione del vincolo sull’area interessata dall’opera, ai sensi dell’art. 2 del d. lgs. n. 490/1999, all’epoca ancora vigente e che, per l’effetto, il comune avesse adottato l’ordinanza cautelare di sospensione dei lavori, n. 13 del 18.02.2004, seppur escludendo quelli di consolidamento del pendio.

12.4 - Si tratta, a ben vedere, di provvedimenti tutti di pochissimo tempo - e per questo già il lasso temporale per giustificare il potere di auto annullamento senza eccessivi oneri valutativi e motivazionali appare congruo in senso assoluto - successivi al permesso di costruire n. 8 del 1 ottobre 2003, il quale, come pure riconosciuto dalla parte appellata, riguardava appositamente “l’esecuzione dei lavori di costruzione del parcheggio con struttura in c.a. che interessano il 1° e il 2° livello” e, quindi, rappresentava il vero titolo edilizio cui rapportarsi per determinare la ( dichiarata ma non motivata dal TAR ) tardività e l’incongruenza dell’esercizio del potere di autotutela, trattandosi, come ancora riconosce la parte privata, di titolo rilasciato proprio sulla base non solo del nulla-osta della Soprintendenza ma, anche, dell’originario progetto assentito con la concessione n. 25 del 2002 ( v. pag. 3 memoria appellata ).

12.5 - Ma, al di là del dato temporale, l’esistenza di legittimi e ragionevoli affidamenti indotti nella parte privata, che la sentenza appellata vorrebbe radicati per effetto di un ragionamento formalisticamente sillogistico - secondo il quale “ se rispondesse a verità che alla data del 27.07.2004 fossero stati compiuti esclusivamente interventi di consolidamento del pendio, non si capirebbe per quale ragione l’Amministrazione, con il medesimo provvedimento oggetto di gravame, abbia ritenuto di disporre <Sul punto, la sentenza appellata rileva che “ alla data dell’ordinanza n. 42/2004, la ricorrente - come si evince dalla perizia di parte prodotta in giudizio - aveva eseguito lavori per l’importo complessivo di euro 65.000 ed aveva affrontato spese tecniche, geologiche e di progettazione pari ad euro 41.336,30 e generali pari ad euro 2.067,00, per un totale complessivo pari ad euro 108.403,30 “.
Quindi, alla predetta data del provvedimento di annullamento d’ufficio, la parte appellata aveva eseguito lavori per un importo di 65.000,00 euro, il quale, tenuto conto della vastità, complessità e caratteristica dell’opera ( cinque piani, struttura in cemento armato, ecc. ) costituisce, per fatto notorio, cifra sostanzialmente irrisoria, in quanto corrispondente alla ristrutturazione di un semplice appartamento di civile abitazione di medie dimensioni ed altrettanto notoriamente incongrua per far ritenere ad uno stato avanzato lavori di costruzione di una mega struttura a cinque piani in cemento armato.

12.6 - Meno che mai appare idonea a radicare legittimi affidamenti nel privato destinatario dell’autoannullamento la lettera d’intenti a firma del Sindaco di Altomonte in data 28.7.2002, trattandosi di atto nullo - perciò improduttivo di qualsiasi effetto, ivi compreso l’affidamento a terzi - per difetto assoluto di attribuzione, ai sensi dell’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990, non potendo l’organo di governo sostituirsi ed intromettersi nell’attività riservata in via esclusiva agli organi di gestione, in base al fondamentale principio si separazione tra politica ed amministrazione, di diretta derivazione del principio di imparzialità di cui all’art. 97 Cost. e sancito espressamente dagli artt. 4 e 14 d. lgs. n. 165 e dall’ art. 107 TUEELL n. 267/2000.
Che si tratti di illecita e consapevole ingerenza, da parte dell’organo di governo, nelle attribuzioni proprie ed esclusive dell’apparto amministrativo lo si ricava, vieppiù, dai successivi interventi dello stesso Sindaco, espressi, tra l’altro :
a ) con la nota di prescrizioni al pdc n. 8/2003 in data 10.11.2003 e la successiva nota integrativa del 14.11.2003;
b ) l’autorizzazione rilasciata in data 11.11.2003 alla attuale appellata, signora Piragine, ad usufruire del suolo pubblico sottostante al loggiato del castello confinante, con l’area interessata alla costruzione del parcheggio, con le ovvie prescrizioni che fosse salvaguardato il decoro dei luoghi ed adottati tutti gli accorgimenti necessari per prevenire eventuali pericoli di qualsiasi natura;
c ) con la richiesta di documenti all’interessata ed alle due Soprintendenze calabresi in data 27 gennaio 2004.

13 - Resta da esaminare l’ulteriore elemento legittimante l’esercizio del potere di autotutela, costituito dall’interesse pubblico concreto ed attuale al ritiro dei due titoli edilizi , che, secondo la sentenza appellata, non trasparirebbe né sotto il profilo dell’indicazione, né sotto quello dell’ attualità e della concretezza.
L’appellante comune contesta anche tale punto di sentenza, il quale sarebbe contrario a quanto disposto dagli artt. 6, 17 e 38 del d. lgs. n. 42/2004.

13.1 - Anche questo motivo d’appello è fondato.
Al riguardo, come già osservato, il provvedimento di auto annullamento, come anche riportato a pag. 10 della memoria dell’appellata, ha posto a proprio fondamento, la “ sussistenza di un palese interesse pubblico al ripristino, in via di autotutela della legalità anche in considerazione del rilevante pregio storico-artistico attribuito di recente (Decreto n. 41 del 7 luglio 2004) alla zona dalla Soprintendenza Regionale della Calabria………..” ( vedi primo “ Ritenuto “ del provvedimento ).
Si tratta di motivazione non solo congrua e sufficiente, ma avente oggettivo riscontro negli atti di causa, come ripetutamente riportati nei precedenti punti della presente motivazione e legittimanti l’adozione dell’atto di autotutela, anche sotto il profilo dell’affidamento dei terzi, trattandosi, come già sopra rilevato, di valori costituzionalmente rilevanti, come tali prevalenti sulle aspettative dei privati, peraltro inesistenti, per quanto sopra detto.
Al riguardo, parte appellata - come già esposto nel giudizio di primo grado - assume che solo gli organi periferici del Ministero possono addurre motivazioni di ordine ambientale, paesistico e storico.
L’assunto è però privo di ogni supporto normativo e, quindi, di ogni pregio.

13.2 - In via generale, va ricordato che - secondo un consolidato orientamento della Corte Costituzionale - lo svolgimento delle funzioni in materia di tutela ambientale e paesistica avviene in ambiti oggettivi caratterizzati da un complesso intreccio di competenze concorrenti dello Stato, delle regioni (o delle province autonome) e degli enti locali, in ragione del quale si impongono fra i predetti soggetti adeguate forme di collaborazione, in ossequio al generale principio di leale cooperazione (v., ad esempio, sentt. nn. 378 del 2000; 366 del 1992, 1029 del 1988, 337 del 1989).
La tutela dell’ambiente e del paesaggio è affidata ad un regime soggettivo di cogestione fra Stato, Regioni ed enti locali, come già magistralmente ricostruito dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio ( Ad. pl., 14 dicembre 2001, n. 9; cfr. anche Cons. St., sez. VI, 20 gennaio 2003, n. 204).
Questo orientamento - che trova(va) puntuale riscontro nelle disposizioni del T. U. n. 490/1999 - all’epoca dei fatti ancora vigente , come l’articolo 150, il cui comma 3 dispone(va) che le regioni e i comuni possono concordare con il Ministero speciali forme di collaborazione delle competenti soprintendenze alla formazione dei piani, o come l’articolo 151, che affida(va) alle Regioni ed enti subdelegati , in prima battuta, la tutela dei beni ambientali - riceve oggi definitivo riconoscimento nel nuovo regime di controllo e gestione dei beni sottoposti a tutela, introdotto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e, particolare, dall’articolo 146 per quanto attiene alla tutela diretta e dall’articolo 145 relativamente alla tutela di carattere pianificatorio.

13.3 - Sotto quest’ultimo aspetto, va altresì rilevato che il principio di distribuzione delle competenze dei beni ambientali secondo livelli istituzionali differenziati è espressamente ribadito dalla legge urbanistica n. 1150 del 1942, come successivamente novellata, il cui art. 10, comma 1, dispone che in sede di approvazione degli strumenti urbanistici ben possono essere apportate quelle varianti riconosciute indispensabili per assicurare, tra l’altro, ( lett. c) la tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici, la quale pertanto rappresenta una delle finalità fondamentali del potere di pianificazione territoriale.
Peraltro, la stessa legge urbanistica attribuisce direttamente anche agli enti locali, già in sede di adozione dello strumento urbanistico, la custodia, la preservazione e la tutela dei beni ambientali, individuando tra i contenuti necessari del piano regolatore i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico ( art. 7. co. 1, n. 5 ).
D’altra parte, che lo strumento urbanistico comunale non solo possa, ma debba perseguire finalità anche di tutela ambientale in senso lato è dato acquisito nell’esperienza giurisprudenziale di questo Consiglio ( fra le tante sentenze v. : sez. IV, 13 ottobre 2010 , n. 7478 ; sez. IV, n. 5478 del 2008; sez. IV, n. 1226 del 1998 ).
Tanto ciò è vero, che il rispetto delle autonomie comunali deve armonizzarsi con la verifica e la protezione di concorrenti interessi generali, collegati ad una valutazione più ampia delle esigenze diffuse nel territorio, con conseguente possibilità e legittimità dell'eventuale emanazione di disposizioni legislative, statali e regionali, le quali intersechino le ordinarie funzioni pianificatorie attribuite agli enti locali ( Corte cost., 27 luglio 2000 , n. 378; cfr. anche sentenza n. 286 del 1997).
Conseguentemente e necessariamente, anche in sede di rilascio ovvero di controllo successivo del titolo edilizio e del controllo dell’attività edilizia spettano all’autorità comunale poteri di verifica e controllo finalizzati al medesimo tipo di tutela ( cfr. artt. 12, co.1,, 14, co.1, 27, co. 2, T.U. n. 380 del 2001 ).

13.4 - Alla luce delle esposte considerazioni merita accoglimento il motivo d’appello con cui si censura l’addebito contenuto nella sentenza del TAR circa una mancata valutazione, da parte del comune, del rilevante interesse pubblico di natura storico - paesistica che l’atto di auto annullamento intendeva perseguire.
In particolare, merita particolare considerazione la doglianza per cui sarebbe proprio il Giudice di primo grado a non aver colto l’avvenuta comparazione effettuata dal comune in sede di autotutela, “ tra interesse pubblico al ripristino della situazione paesaggistica (impedendo la realizzazione del deturpante mostro di cemento) e interesse del privato meramente economico “ ( pag. 42 atto d’appello ).
Tale comparazione, la quale non poteva che comportare la prevalenza dell’interesse pubblico, come si legge nel provvedimento originariamente impugnato, era stata bene effettuata dal Comune, che aveva evidenziato ulteriori argomentazioni, in merito proprio alla necessità di tutelare la zona in ragione del rilevante pregio storico — architettonico della medesima.
D’altro canto, osserva ancora l’appellante amministrazione con lo stesso motivo, la giurisprudenza ha chiarito la possibilità di tutelare terreni e altri beni immobili anche adiacenti ad una zona vincolata per insistenza di bene monumentale, in considerazione della necessità di salvaguardare, in una visione armonica e non parcellizzata, “l’habitat circostante in considerazione del carattere d’insieme inscindibile che assume la struttura nel rapporto con i terreni circostanti, i quali nel tempo ne hanno rappresentato cornice e pertinenza “.

14 - Le esposte considerazione rivelano, al contempo, la fragilità della tesi difensiva dell’appellata, secondo cui: a) il comune non poteva sovrapporsi o sostituirsi ai poteri di tutela dei beni ambientali riservati alla Soprintendenza statale ; b ) conseguentemente, lo stesso comune non poteva obliterare l’avvenuta approvazione della variante ampliativa da parte della competente Soprintendenza di Cosenza.
Sul primo punto, relativo al riparto di competenze in materia di tutela dei beni storico - paesistici già si è ampiamente riferito sopra.

14.1 - Quanto all’intervenuta approvazione, essa è irrilevante o comunque non significativa ai fini del corretto esercizio del potere di autotutela perché :
a) inerisce al diverso, seppur connesso, procedimento di permesso di costruire in variante ;
b ) al momento dell’autoannullamento ( 27.7.2004 ) era stata superata dall’avvenuta ( in data 7.7.2004 ) imposizione del vincolo, preceduta da comunicazione di avvio del procedimento in data 14.6.2004, di cui al provvedimento n. 41/2004 , il quale non opera come atto endoprocedimentale presupposto del procedimento di auto annullamento ( come erroneamente prospettato nella memoria dell’appellata ), ma come dato oggettivo di formale e definitiva emersione di un rilevante interesse pubblico alla conservazione dello stato dei luoghi circostanti il Castello, autonomamente perseguito dal comune nell’ambito delle proprie competenze in materia di governo del territorio ;
c ) la stessa Soprintendenza di Cosenza aveva assunto, nella complessiva vicenda, un atteggiamento ambiguo e contraddittorio con la successiva autorizzazione della variante, laddove, ad esempio, con la nota del 3 dicembre 2003 aveva invocato, per i lavori della struttura multipiano, criteri di “ compatibilità e sobrietà “ invero inconciliabili con le caratteristiche oggettive - apprezzabili anche dal profano e non implicanti specifiche conoscenze tecniche, né, tanto meno, apprezzamenti tecnico - discrezionali o di merito estetico - la struttura medesima.
d ) alla data ( 27.7.2004 ) di adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio già era stata data ( 14.6.2004 ) dalla Soprintendenza - come sopra detto - la comunicazione di avvio del procedimento per la tutela indiretta del Castello, di cui all’articolo 46 del Codice dei beni culturali di cui al D.Lgs. 22-1-2004, n. 42, la quale a sua volta comportava, in via cautelare, ai sensi del comma 4 della stessa norma, la temporanea immodificabilità dell'immobile.

15 - Può passarsi all’esame della restante parte della motivazione della sentenza del TAR qui appellata, relativa al distinto ricorso proposto dalla medesima appellata avverso il provvedimento prot. 5280 del 17.06.2004 ( di poco più di un mese anteriore all’atto di annullamento d’ufficio ) , di rigetto dell’istanza di variante presentata il 29.03.2004, sempre per la realizzazione dello stesso parcheggio multipiano per autoveicoli , ma non solo, come già detto. Anche tale ricorso è stato ritenuto fondato dal Giudice di primo grado.
Premesso che l’istanza di variante riguardava modifiche al progetto originario di realizzazione del parcheggio multipiano già assentito con la concessione edilizia n. 25/2002 e, segnatamente, con il permesso di costruire n. 8/2003, modifiche, a detta della relazione tecnica allegata alla domanda e recepita dallo stesso TAR, indotte dalla sorpresa geologica e consistenti, rispetto alle opere di cui al citato permesso a costruire n. 8/2003, nell’abbassamento delle quote originarie dei tre piani di posa, nella modifica della pianta, da rettangolare a trapezoidale , nell’ aumento di un piano, rispetto ai quattro originariamente previsti (con esclusione della terrazza), la sentenza ha ritenuto di fare applicazione dei principi in materia di varianti al permesso di costruire.

15.1 - In particolare, sulla corta del principio secondo cui l’Amministrazione, nell’istruire e pronunciarsi sull’istanza di variante, non avrebbe potuto rivalutare profili urbanistici ( nella specie: Programma di Fabbricazione - zona a verde privato - nonché l’inapplicabilità delle deroghe della legge c.d Tognoli n. 122/1989 ) inerenti il progetto iniziale, già definiti con il rilascio dei titoli edilizi originari, “ salvi gli effetti conseguenti al legittimo esercizio del potere di autotutela “, il TAR ha ritenuto che l’Amministrazione, se avesse inteso rivedere le precedenti determinazioni, avrebbe dovuto fare, preventivamente, legittimo uso dei poteri di autotutela e non usare il diniego della richiesta procedura di variante quale irrituale procedimento di secondo grado, con l’intento di dissimulare il ritiro dei precedenti provvedimenti ampliativi ormai rilasciati.
Vero è che - aggiunge subito dopo la sentenza ( punto 3.4 della motivazione ) l’Amministrazione ha provveduto all’annullamento d’ufficio dei titoli edilizi iniziali, proprio richiamando i predetti profili di illegittimità, ma ciò ha fatto soltanto dopo aver definito il procedimento di variante con l’impugnato provvedimento di diniego, in tal modo invertendo l’ordine naturale del corretto agire amministrativo.

15.2 - Il percorso argomentativo del TAR - fatto oggetto di apposito motivo di censura ( pag. 23 appello ) - non può condividersi.
Se, infatti, da un lato sarebbe stato opportuno, in via astratta, procedere prima all’annullamento dei titoli edilizi del 2002 e del 2003 relativi alla struttura multipiano e dichiarare, quindi, improcedibile la domanda di variante, non avere rispettato questo criterio di mera opportunità e non aver seguito tale ordine procedimentale non può risolversi in motivo di illegittimità del diniego opposto alla parte appellata.
Ciò, per l’evidente considerazione - la quale fa emergere l’inutile formalismo del ragionamento dei Giudici di primo grado - che i due procedimenti erano sostanzialmente coevi e reciprocamente interferenti: alla data della pronuncia sulla domanda di variante ( 17.6.2004 ) il comune aveva già inviato ( 14.6.2004 ) all’interessata comunicazione di avvio del procedimento di autotutela. Sicché, il presunto vizio dedotto dalla parte ricorrente in primo grado e condiviso dal TAR sarebbe stato comunque ininfluente - e perciò se ne sarebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità per difetto di interesse - sul concreto assetto delle pretese edificatorie del privato, le quali, qualunque fosse stata la strada intrapresa , non avrebbe comunque potuto ricevere riconoscimento, stante la piena legittimità dell’autoannullamento che avesse preceduto il rigetto dell’istanza del privato.
V’è altresì da aggiungere che il mancato rispetto dell’ordine procedimentale erroneamente preteso dal TAR è in parte imputabile anche alla diversa natura dei due procedimenti, l’uno ad iniziativa d’ufficio e l’altro di parte: ciò che non consentiva un’agevole e preventivabile coordinamento dei tempi dei procedimenti medesimi. .
.
15.3 - La sentenza del TAR appare, sul punto del diniego di variante, ulteriormente viziata sotto i profili dedotti a pag. 24 e seg. dell’appello comunale.
Merita, infatti, accoglimento il dedotto motivo di violazione dell’articolo 46 del Codice dei Beni ambientali ( d. lgs. n. 42/2004 ) .
La citata norma statale - formalmente inapplicabile ratione temporis ma espressiva di un principio di cautela e prevenzione doverosa, già espresso dalle analoghe disposizioni contenute negli artt. 7 e 50 del d. lgs. n. 490/1999 - dispone, al comma 4, che la comunicazione di avvio del procedimento per l’adozione delle misure di tutela indiretta previste dal precedente articolo 45 comporta, in via cautelare, la temporanea immodificabilità dell'immobile, limitatamente agli aspetti cui si riferiscono le prescrizioni contenute nella comunicazione stessa.
Nella specie, la Soprintendenza di Catanzaro - come già detto - aveva inviato all’appellata comunicazione di avvio del procedimento di apposizione del vincolo sull’area sottostante il Castello ove sorgeva la struttura multipiano in data 9.2.2004, preavvertendo esplicitamente la destinataria che la stessa comunicazione comportava l’adozione delle misure cautelari impeditive di attività edilizia sul pendio a ridosso del castello.
La richiesta di variante, inoltrata dall’appellata il successivo 23 febbraio, è ben consapevole dell’esistenza di misure di salvaguardia, ma, curiosamente, intende aggirarle proponendo una modifica addirittura peggiorativa rispetto al progetto iniziale, che da quattro passaa cinque piani sovrapposti.

15.4 - Tanto basta a far ritenere legittimo il diniego impugnato in primo gfrado ed annullato dal TAR, Anche la legge regionale n. 23 del 1990, invocata dall’appellante amministrazione risulta non considerata - e perciò violata - dalla sentenza del TAR, senza dover spendere troppe parole con riguardo agli altri pur fondato motivi d’appello quali:
A) La natura di variante essenziale posseduta dal progetto del 24 febbraio 2004, in relazione alla quale risulta errata - trattandosi sostanzialmente di un nuovo titolo edilizio - l’affermazione del TAR, secondo la quale i profili argomentativi di ordine urbanistico ( PdF e Legge Tognoli ) indicati nel provvedimento amministrativo di rigetto dell’istanza di variante , inerendo al progetto originario dell’intervento edilizio (parcheggio multipiano), erano entrati nel fuoco dei provvedimenti ampliativi n. 25/2002 e n. 8/2003. Trattandosi infatti di interventi tesi all' innalzamento dell'altezza della struttura originaria, che passava da quattro a cinque piani e che avrebbero dato origine ad un organismo edilizio che poteva avere un suo utilizzo autonomo, riportabile cometale alla nozione di variant essenziale di cui all’articolo 32 del TUED n. 380/2001 ( cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10 dicembre 2007 , n. 6344.
B ) La mancata considerazione della normativa regionale sulle distanze. Al riguardo, l’articolo 6 della L.R. Calabria n. 23 del 12-4-1990 ( recante norme in materia di pianificazione regionale ), nell’individuare le componenti territoriali assoggettate a misure minime di salvaguardia - tra le quali la lettera h) dello stesso articolo colloca “ le torri costiere, i castelli e le cinte murarie di cui alla legge regionale 26 gennaio 1987, n. 3, ed all'elenco allegato alla presente legge sotto la lettera a), nonché una fascia di protezione di 10 metri dal loro perimetro esterno per le zone A e B …..”, dispone che, salvi i maggiori vincoli statali e fino all'adozione di uno strumento di pianificazione regionale, alle predette componenti territoriali si applicano le misure di salvaguardia di cui al successivo articolo 7, il quale a sua volta limita gli interventi edilizi consentiti solo a quelli di minore consistenza ( manutenzione, conservazione, consolidamento e ripristino ambientale, sejnza alterazione dell'assetto idrogeologico ed ambientale, interventi di realizzazione di sentieri e di percorsi di accesso e di altri servizi minimi complementari, finalizzata alla fruizione turistica, ecc. ).

15.5 - Nella specie, non risulta rispettata la fascia di dieci metri, secondo quanto emerge dalle perizie redatte in corso di processo penale e, soprattutto, come emerge direttamente ed agevolmente dalla planimetria catastale allegata alla relazione datata 19.11.2003 e firmata dal Soprintendente di Cosenza Francesco Cecati, in scala 1:1000, dalla quale emerge con assoluta evidenza che le distanze fra la particella 85 e il perimetro murale del castello.
Ancora più evidente il mancato rispetto delle predette distanze minime dal prospetto allegato alla domanda di variante, avente ad oggetto “ integrazione con il Castello “. da cui emerge, secondo la scala 1:100 ivi utilizzata, una distanza fra i due manufatti di poco superiore ai cinque metri ( cfr, doc. versati in atti nel fascicolo di primo grado di parte ricorrente, attuale appellata ).

16 - Conclusivamente, l’appello del comune di Altomonte iscritto al nrg. 200705553 va accolto e per l’effetto va annullata la sentenza del TAR Calabria, sede di Catanzaro, n. 499 del 2006 e respinti i due ricorsi riuniti proposti in primo grado dall’attuale appellata, con conseguente conferma dei provvedimento di auto annullamento e di diniego di variante del comune di Altomonte, meglio indicati in epigrafe.


Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
accoglie l 'appello e, per l'effetto, annulla la sentenza del TAR Calabria, sede di Catanzaro, n. 499 del 2006, respinge i due ricorsi riuniti proposti in primo grado dall’attuale appellata, con conseguente conferma dei provvedimento di autoannullamento e di diniego di variante del comune di Altomonte, meglio indicati in epigrafe.


Spese in solido a carico delle parti appellate, liquidate in euro seimila,00, oltre spese generali, IVA e CPA.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Armando Pozzi, Consigliere, Estensore
Salvatore Cacace, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/12/2010

venerdì 7 gennaio 2011

L'ON. BUONASORTE NUOVO SEGRETARIO "LA DESTRA" ZAGAROLO

AUGURI DI BUON LAVORO ON. DAL SUO AMICO EX CONSIGLIERE COMUNALE - MEMBRO DIR. NAZ. COMITATO ETICO "LA DESTRA" CAV. MARIO PROCACCINI.

D:P:R. 160/2010 INCENTIVAZIONE DELLO SVILUPPO SOCIO ECONOMICO DEL TERRITORIO.

Aprire un impresa in un solo giorno: è l'ultima sfida raccolta dalla Comunità Montana Castelli Romani e Prenestini, che ancora una volta si fa promotore di un servizio associato nell'area, in collaborazione con le Pubbliche Amministrazioni Locali a beneficio dei cittadini del comprensorio. Si tratta della creazione del S.U.A.P. - Sportello Unico per le Attività Produttive - promosso dal Ministero per snellire in modo sensibile l'iter procedurale connesso all'apertura di un'attività, concentrando in un unico ufficio tutte le pratiche di legge da espletare, con l'utilizzo esclusivo dell'invio telematico dei documenti.
L'impresa in un giorno è lo slogan efficace che sintetizza bene l'obiettivo di una iniziativa da sempre avvertita come necessità dagli imprenditori, che in un momento così difficile per l'occupazione, assume anche un rilievo di tipo sociale, incentivando la capacità imprenditoriale come forma di lavoro alternativo." Motivazioni più che valide - commenta il Presidente Giuseppe De Righi - per spingere la Comunità Montana dei Castelli Romani e Prenestini a impegnarsi su questo obiettivo, che coincide con la missione del nostro Ente, sempre mirata all''incentivazione dello sviluppo socio-economico del territorio."

In aderenza al DPR 160/ 2010, che invita i Comuni a dotarsi di questo sportello in forma propria o associata, la Comunità Montana si è fatta promotrice della creazione di un unico soggetto pubblico di riferimento territoriale, nell'ottica dell'efficienza coniugata al risparmio di risorse. I criteri e le modalità stabilite dal DPR in questione, infatti, impongono il possesso di molti requisiti tecnici e specifiche competenze per l'attuazione del Suap, su cui la maggioranza dei Comuni, non essendo dotata, dovrebbe effettuare investimenti ad hoc.

Tra queste, una casella di Pec istituzionale -Posta Elettronica Certificata- per ricevere la documentazione delle imprese, trasmettere gli atti, inviare le ricevute e qualsiasi documento connesso al procedimento. Altri requisiti fondamentali sono la presenza di un Responsabile qualificato dell'ufficio, l'uso della Firma Digitale del responsabile da apporre agli atti elettronici, l'applicazione di un software gestionale adeguato al servizio, comprensivo di protocollazione informatica della documentazione in entrata e in uscita e la creazione di un sito web dedicato, contenente le informazioni sul servizio.

Tutti questi punti sono stati illustrati ai Comuni in un incontro organizzato in Comunità Montana poco prima della pausa natalizia, in cui il Presidente e il Direttore generale, coadiuvati dai tecnici dell'area sviluppo dell'Ente montano, hanno esposto alle Amministrazioni locali il progetto di Suap Territoriale, che peraltro si avvarrebbe della rete wireless istituzionale realizzata solo due anni fa con buona perspicacia dalla Comunità Montana, per l'ammodernamento tecnologico della Pubblica Amministrazione locale.

Mentre si avvicina la scadenza del 28 gennaio prossimo,data ultima utile per presentare la domanda di gestione dello sportello, stanno arrivando in Comunità Montana le prime delibere di adesione dei Comuni. Va detto che in assenza di una specifica richiesta singola o associata delle Amministrazioni Comunali, la competenza del Suap passerebbe d'ufficio alla Camera di Commercio di Roma. Sarebbe un peccato - sottolinea il Direttore generale Rodolfo Salvatori -se perdessimo un' occasione così interessante di autonomia per il nostro territorio, che aggiunge un tassello importante alla governance locale che pian piano stiamo costruendo e che rappresenta la nostra forza contrattuale per il prossimo futuro, verso altre istituzioni esterne".

IMPUGNAZIONI P R G E VARIANTI

TAR Veneto Sez. II n. 6376 dek 7 dicembre 2010
Urbanistica. Impugnazioni PRG e varianti

L'atto d’approvazione dei piani regolatori generali, o loro varianti di contenuto generale o riguardanti ampie zone e comparti territoriali, “deve essere impugnato nel termine di decadenza decorrente dalla data di pubblicazione, non essendo richiesta la notificazione individuale agli interessati. Solo quando la variante è particolare - il che si verifica quando le previsioni urbanistiche costituiscano atti di pianificazione a contenuto singolo, e i vincoli espropriativi vengano a incidere in modo diretto e immediato sui soggetti destinatari del vincolo reiterato - il termine di impugnazione deve farsi decorrere dalla notifica individuale


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



N. 06376/2010 REG.SEN.
N. 01202/2008 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto


(Sezione Seconda)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


nel giudizio, introdotto con il ricorso 1202/08, proposto da Bastian Beton S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti Codognato e Pasetto, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Venezia Mestre, Calle del Sale 33;


contro


la Provincia di Verona, in persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti Curato e Zumerle, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Venezia, S. Croce 468/B;
il Comune di Villafranca di Verona, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. ti Sala e Zambelli, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Venezia Mestre, via Cavallotti 22;
la Regione Veneto, in persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti Munari e Zanon, con domicilio eletto presso l’Avvocatura regionale in Venezia, Cannaregio 23;

per l'annullamento

a) della deliberazione del consiglio comunale di Villafranca di Verona 14 ottobre 2003 n. 65 relativa all’approvazione della variante parziale al P.R.G. comunale di Villafranca per l'adeguamento del piano regolatore generale al titolo IV — ecosistema — delle N.T.A. del P.A.Q.E. (Piano di area quadrante Europa);

b) della deliberazione del consiglio comunale di Villafranca di Verona 13 giugno 2006, n. 50;

c) della deliberazione del consiglio comunale di Villafranca di Verona 14 aprile 2003, n. 27;

d) del parere favorevole 26 agosto 2003 della Regione Veneto;

e) del parere 12 marzo 2008, reso dalla commissione tecnica provinciale per l’attività di cava (C.T.P.A.C.), sulla domanda di ampliamento della cava di sabbia e ghiaia denominata “Quaderni”, sita in Villafranca di Verona.

2 per il risarcimento del danno.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Verona, del Comune di Villafranca di Verona e della Regione Veneto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 novembre 2010 il cons. avv. A. Gabbricci e uditi l’avv. Pace, in sostituzione dell’avv. Pasetto, per la parte ricorrente, l’avv. Curato per la Provincia di Verona, l’avv. Gortenuti, in sostituzione dell’avv. Sala, per il Comune di Villafranca e l’avv. Munari per la Regione Veneto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue


FATTO e DIRITTO


1. Il giorno 8 giugno 2006 Bastian Beton S.p.A. chiese alla Regione Veneto l'autorizzazione all’ampliamento della cava di ghiaia e sabbia "Quaderni” in Villafranca di Verona, frazione di Quaderni, già autorizzata con d.g.r. 29 ottobre 2002, n. 3086.

Il seguente 12 marzo 2008 la Commissione tecnica provinciale per l'attività di cava esprimeva parere negativo sulla domanda, ritenendola inammissibile perché in contrasto con le finalità e gli obiettivi di cui all'art. 27 delle norme tecniche d’attuazione del P.R.G. comunale, il quale recepisce il P.A.Q.E. (Piano Ambientale Quadrante Europa).

2. L’interessata ha allora proposto il ricorso in esame, avverso tale parere e le disposizioni di piano in esso richiamate e comunque presupposte: si sono costituiti in giudizio la Provincia di Verona, il Comune di Villafranca e la Regione Veneto, concludendo, oltre che per l’infondatezza del ricorso, anche per l’irricevibilità per tardività, quanto agli atti urbanistici, ed all’inammissibilità quanto al parere, poiché privo di contenuto provvedimentale.

3. La fattispecie è pressoché analoga ad altra su cui già si è pronunciato questa Sezione (T.A.R. Veneto, 4268/2005), accogliendo le medesime eccezioni preliminari; anche le parti resistenti sono le stesse, e così gli atti di pianificazione; il parere in questo caso è stato reso dalla Provincia, anziché dalla Regione, ma svolge la stessa funzione di quello emesso nell’altro procedimento.

4.1. Il giudice d’appello ha confermato la ricordata decisione del T.A.R. Veneto con la sentenza C.d.S., VI, 15 dicembre 2009, n. 7963.

Nella relativa motivazione si è così rammentato che, secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, l'atto d’approvazione dei piani regolatori generali, o loro varianti di contenuto generale o riguardanti ampie zone e comparti territoriali, “deve essere impugnato nel termine di decadenza decorrente dalla data di pubblicazione, non essendo richiesta la notificazione individuale agli interessati. (Consiglio Stato, sez. IV, 19 luglio 2004, n. 5225, ma si veda anche Sez. IV, 8 luglio 2003, n. 4040; 23 novembre 2002, n. 6436; 30 luglio 2002, n. 4075, e Sez. VI, 15 maggio 2002, n. 2646)” ed ancora C.d.S., IV, 27 luglio 2007, n. 4198; solo quando la variante è particolare - il che si verifica quando le previsioni urbanistiche costituiscano atti di pianificazione a contenuto singolo, e i vincoli espropriativi vengano a incidere in modo diretto e immediato sui soggetti destinatari del vincolo reiterato (così C.d.S., IV, 23 dicembre 1998, n. 1904) - il termine di impugnazione deve farsi decorrere dalla notifica individuale (C.d.S., IV, 14 giugno 2001, n. 3149).

4.2. Nel caso di specie, peraltro, la variante impugnata è da qualificarsi come generale, considerato che essa “non si limitava a dettare un assetto incidente su un singolo bene, ovvero, al limite, su una pluralità contenuta ed individuata di beni, ma dettava un assetto territoriale valido per una molteplicità indistinta di soggetti (id est: tutti coloro che, a qualsiasi titolo, vantavano diritti sull’area normata)” (così ancora C.d.S., 7963/09 cit.).

4.3. Ciò posto, non è dubbio che il ricorso è tardivo per quanto concerne tutti gli atti impugnati, emessi e pubblicati tra il 2003 ed il 2006.

5. Per quanto poi riguarda il parere provinciale 12 marzo 2008, il ricorso è inammissibile, costituendo lo stesso un mero atto endoprocedimentale, cui non è ancora seguita la decisione conclusiva sulla domanda di ampliamento: l’eventuale ricorso avverso la stessa consentirà di formulare censure derivate da atti del procedimento, come il parere de quo (atti i quali sono altro, evidentemente, dalle previsioni di piano immediatamente lesive).

6. Le spese, compensate per metà, attesa la relativa novità della questione, seguono per il resto la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo dichiara in parte inammissibile ed in parte irricevibile.

Compensa le spese di lite tra le parti in ragione di metà, e condanna la ricorrente alla rifusione del residuo, liquidandole, per ciascuno dei tre Enti resistenti in € 200,00 quanto alle spese anticipate, nonché in € 2.800,00, per diritti, onorari e spese generali, oltre ad i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio addì 5 novembre 2010 con l'intervento dei signori magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente
Italo Franco, Consigliere
Angelo Gabbricci, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/12/2010

LA CASA CONIUGALE.

Con la sentenza n. 26197 depositata il 28 dicembre 2010 la Corte di Cassazione ha stabilito che incide, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento, l’avere in godimento la casa coniugale. Non valutando questo elemento, si altererebbe “l’equilibrio delle posizioni patrimoniali dei due coniugi”. Dalla parte motiva della sentenza si legge che nel concetto di reddito è necessario ricomprendervi anche la consistenza patrimoniale che ciascun coniuge ha in godimento e che occorre tener presente, non solo gli introiti in denaro ma anche le utilità suscettibili di valutazione economica. Sulla base di questo assunto, l’utilizzo dell’abitazione coniugale, costituirebbe utilità valutabile in misura pari alla spesa che occorrerebbe sostenere per godere di quel tipo di immobile a titolo di locazione.
(Data: 08/01/2011 10.00.00 - Autore: Luisa Foti)

REQUISITI PER IL CONFERIMENTO DI INCARICHI DI DIREZIONE DEL PERSONALE NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI.

Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della funzione pubblica 6 agosto 2010, n. 11
Requisiti per il conferimento di incarichi di direzione del personale nelle pubbliche amministrazioni.
(G.U. n. 305 del 31 dicembre 2010)
Alle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001
1. Premessa.
L'art. 52 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, ha modificato l'art. 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,
inserendo nel testo il comma 1-bis. Questo prevede che «Non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni». La disposizione e' stata approvata ai sensi dell'art. 6, comma 2, lettera m), della legge 4 marzo 2009, n. 15, nell'esercizio della delega al Governo a «rivedere la disciplina delle incompatibilita' per i dirigenti pubblici e rafforzarne l'autonomia rispetto alle organizzazioni rappresentative dei lavoratori e all'autorita' politica».
Considerati i numerosi quesiti pervenuti sulla portata della norma, si ritiene opportuno fornire alcune indicazioni generali ai fini di un'omogenea applicazione della disposizione.
2. Finalita' della norma.
La norma introduce un impedimento ovvero una condizione ostativa relativa al conferimento di incarichi di direzione nelle amministrazioni con riferimento alla preposizione a strutture che gestiscono il personale.
La finalita' della disposizione e' quella di perseguire un'azione amministrativa imparziale e uno svolgimento della funzione dirigenziale scevro da possibili condizionamenti mediante il ricorso a strumenti organizzativi formali. La norma pertanto si riconduce ai principi di imparzialita' e buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione, che, a prescindere dalla natura dell'attivita' e anche in presenza di un rapporto di lavoro contrattualizzato, debbonoessere osservati dalla pubblica amministrazione, la quale e' tenuta «al rispetto dei principi costituzionali di legalita', imparzialita' e buon andamento cui e' estranea ogni logica speculativa» (Corte costituzionale, sentenze n. 146 del 2008 e 82 del 2003).
Cio' che si vuole evitare e' un'eventuale influenza sulla gestione che puo' derivare dal coinvolgimento attuale o passato del
responsabile della struttura in particolari e significative attivita' sindacali o politiche o dall'aver avuto con tali organizzazioni
particolari rapporti. In quest'ottica, la disposizione pone una norma precettiva che non prevede alternative, volta ad evitare un
potenziale conflitto di interessi tra due uffici o tra l'interesse personale e l'interesse pubblico. La situazione di «incompatibilita'»
dovuta alla circostanza di rivestire una carica in organizzazioni sindacali o in partiti politici o di avere collaborazioni continuative con tali organizzazioni non e' rimovibile, a nulla valendo il fatto che l'incaricato possa eventualmente dimettersi.
Solo il decorso del tempo previsto puo' rendere possibile il conferimento dell'incarico nell'amministrazione.
La disposizione si colloca nel quadro piu' generale delle misure introdotte con la riforma finalizzate a rafforzare il ruolo del dirigente e, soprattutto, l'autonomia della sua gestione rispetto a possibili ingerenze della politica e del sindacato. Si pensi alla nuova formulazione dell'art. 5 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (novellato dall'art. 34 del decreto legislativo n. 150 del 2009), nel quale chiaramente si ribadisce che «... le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione
dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacita' e i poteri del privato datore
di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati, ove prevista nei contratti di cui all'art. 9. Rientrano, in particolare,
nell'esercizio dei poteri dirigenziali le misure inerenti la gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari opportunita',
nonche' la direzione, l'organizzazione del lavoro nell'ambito degli uffici». In questo contesto rientra anche la revisione della
disciplina del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali operata mediante la novella all'art. 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001 da parte dell'art. 40 del decreto legislativo n. 150 del 2009, li' dove, in aderenza all'orientamento della Corte costituzionale (Corte costituzionale, sentenze n. 161 del 2008, numeri 103 e 104 del 2007), e' stata eliminata la previsione
della cessazione automatica dell'incarico, decorsi 90 giorni dal voto sulla fiducia al Governo, in precedenza prevista per gli incarichi
conferiti ai sensi dei commi 5-bis e 6 del medesimo articolo, con conseguente limitazione della caducazione automatica agli incarichi di vertice.
3. Ambito soggettivo.
3.1. Le amministrazioni interessate.
Come detto, la norma concerne le modalita' di conferimento degli incarichi di responsabilita' sulle strutture; essa pertanto riguarda direttamente le amministrazioni dello Stato. Tenuto conto del fatto che la norma persegue i valori costituzionali dell'imparzialita' e del buon andamento, per le altre amministrazioni la norma vale comunque come principio. Le amministrazioni non statali, quindi, devono adeguare il proprio ordinamento al principio enunciato nella disposizione operando secondo quanto previsto dall'art. 27 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e, per gli enti locali, dall'art. 111 del decreto legislativo n. 267 del 2000.
3.2. I soggetti interessati.
Per quanto riguarda le amministrazioni dello Stato, l'impedimento concerne innanzi tutto gli incarichi dirigenziali conferiti ai sensi dell'art. 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Il vincolo di incompatibilita' sussiste anche nei confronti di tutti i dirigenti che vengono preposti in base al comma 5-bis e ai soggetti incaricati ai sensi del comma 6 del citato articolo. Stante l'ampia dizione utilizzata nella disposizione e la finalita' perseguita, la norma si applica inoltre a tutte le ipotesi in cui sia conferito con atto formale un incarico sulle strutture deputate alla gestione del personale. Sono comprese nel campo di applicazione anche le strutture prive di rilevanza esterna e, quindi, la disposizione riguarda pure l'attribuzione di posizioni organizzative e di competenza mediante delega.
4. Ambito oggettivo.
4.1. Individuazione delle «strutture deputate alla gestione del personale».
La norma in esame pone il regime di vincolo in riferimento agli incarichi di direzione di «strutture deputate alla gestione del personale». Il termine «deputate» individua in modo chiaro la «missione», ossia la competenza specifica in materia di gestione «del» personale. Pertanto, la locuzione e' da riferirsi propriamente ai soli uffici cui istituzionalmente, in base agli atti di organizzazione, e' attribuita la competenza sulla gestione del personale in ciascuna amministrazione. Dunque, non e' compresa nella previsione la preposizione ad uffici che, tra le altre competenze, svolgono anche l'attivita' di gestione del personale (ad esempio, i Capi Dipartimento e i Segretari generali preposti a strutture organizzative complesse nel cui ambito sono collocati gli uffici dirigenziali generali competenti in materia di affari generali e personale, mentre rientrano nel regime restrittivo i Capi Dipartimento degli affari generali e personale) e, in generale, la preposizione alle strutture alle quali, specie in amministrazioni di dimensioni ridotte, fanno capo tutte le competenze generali di gestione, tra cui quella relativa al personale interno (ad esempio, i dirigenti scolastici e, comunque, tutti i dirigenti cui viene attribuito un incarico di funzione su un ufficio, i quali, come noto, hanno competenza sulla gestione del personale assegnato alla propria struttura). In tali ipotesi, sara' cura di ciascun responsabile evitare la ricorrenza di situazioni di conflitto di interesse, soprattutto in occasione di trattative negoziali, adottando, se del caso, le iniziative e gli atti organizzativi necessari. Si richiama in proposito l'osservanza del codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni approvato con decreto ministeriale 28 novembre 2000.
In sostanza, la prescrizione riguarda la preposizione alle strutture del personale, siano esse di livello generale o non generale, competenti in materia di reclutamento, trattamento, gestione e sviluppo del personale, relazioni sindacali, secondo le scelte e l'individuazione che ogni amministrazione effettuera' in base alle competenze attribuite dallo specifico ordinamento a ciascuna struttura. Nella valutazione, fra gli altri aspetti, saranno considerati anche il potere di rappresentanza quale delegazione trattante per l'amministrazione attribuito all'ufficio ed il grado di discrezionalita' insito nell'esercizio di ciascuna competenza.
Al fine di un'applicazione quanto piu' oggettiva della norma, sarebbe opportuno che ciascuna amministrazione individuasse, per mezzo del regolamento di organizzazione o mediante altro atto ministeriale generale, le strutture per le quali sussiste il regime di limitazione in base alla norma. Cio' si rivela tanto piu' utile in quanto le nuove norme sul conferimento degli incarichi ai dirigenti, in osservanza ad un principio di trasparenza, prevedono che il conferimento dell'incarico sia preceduto dalla pubblicizzazione dei posti vacanti e dalla valutazione delle disponibilita' dei candidati (art. 19, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001, introdotto dal decreto legislativo n. 150 del 2009). L'individuazione a priori e in generale delle posizioni la cui copertura richiede la sussistenza di particolari requisiti contribuisce ad evitare che soggetti che non rispondono alle condizioni di legge possano manifestare all'amministrazione la propria disponibilita' verso posti per i quali vige la preclusione.
4.2. Concetto di carica in organizzazione sindacale e in partiti politici ai fini dell'applicazione della norma.
La norma, come detto, introduce una condizione ostativa per il conferimento di incarichi rispetto allo svolgimento attuale o passato di certe attivita'. Trattandosi di disposizione che interferisce con liberta' costituzionalmente tutelate (articoli 18, 39 e 49 Cost.), la sua portata va interpretata in maniera strettamente attinente alla finalita' perseguita.
4.2.1. Il concetto di carica in organizzazioni sindacali.
Premesso che la mera iscrizione quale associato ad un sindacato o ad un partito politico non ha alcun rilievo ai fini dell'applicazione della disposizione, per il concetto di carica sindacale si ritiene coerente con le predette finalita' attribuire rilievo all'aspetto del ruolo che il soggetto assume e svolge nell'ambito dell'organizzazione sindacale. Tale ruolo non puo' essere quello di semplice partecipazione priva di funzione direzionale. Sono richiesti invece la partecipazione alle scelte dell'organizzazione e lo svolgimento, come da statuto o da atto costitutivo, di compiti di reale impulso all'attivita' mediante la decisione, l'adozione e l'esternazione di atti gestionali secondo quanto previsto negli atti costitutivi e negli statuti delle organizzazioni o quanto risultante dalle eventuali comunicazioni dei sindacati. Nell'ottica dell'introduzione in via legislativa di precauzioni formali finalizzate ad assicurare un esercizio della funzione scevro da possibili condizionamenti, la circostanza che il dipendente ricopra o abbia ricoperto nel biennio precedente questo tipo di carica e' un fattore di interferenza che si intende escludere a priori poiche' il soggetto, in quanto organo che e' stato recentemente munito di mandato per realizzare i fini del sindacato, potrebbe essere coinvolto anche nell'espletamento dell'incarico di gestione all'interno dell'amministrazione.
Coerentemente con l'intento sopra enunciato di interpretare la norma in senso stretto ed in linea con la finalita', non si ritiene rientri nel concetto di carica sindacale la circostanza di svolgere attivita' nell'associazione in mancanza della titolarita' delle funzioni sopra indicate, poiche' in tal caso risulta assente il potere di assumere decisioni autonomamente rilevanti nell'organizzazione e per l'organizzazione.
In sostanza, ai fini della norma in esame e' rilevante la circostanza di essere o di essere stato dirigente sindacale, nonche' di agire - in virtu' di un atto formale - in nome e per conto dell'associazione quale funzionario delegato.
Un conforto normativo all'utilizzo di questi criteri puo' essere rintracciato nell'art. 3, comma 2, del decreto legislativo n. 564 del 1996, che, nell'ambito di una disciplina relativa alla contribuzione figurativa per le posizioni di aspettativa sindacale e politica, definisce cariche sindacali «quelle previste dalle norme statutarie e formalmente attribuite per lo svolgimento di funzioni rappresentative e dirigenziali a livello nazionale, regionale e provinciale o di comprensorio, anche in qualita' di componenti di organi collegiali dell'organizzazione sindacale».
La rilevanza della carica nel senso sopra indicato si verifica in qualsiasi tipo di organizzazione sia essa una confederazione, una federazione o un'organizzazione di categoria.
Inoltre, la rilevanza della carica si realizza a qualsiasi livello dell'organizzazione, sia esso nazionale, locale o aziendale. Quindi, rientra nel concetto di carica anche la funzione di dirigente sindacale nell'ambito delle R.S.A., operanti per i dirigenti delle aree, le quali, nel settore del lavoro pubblico, sono costituite dalle organizzazioni sindacali rappresentative e si presentano come articolazioni periferiche del sindacato (art. 42, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001).
Ai fini della norma si deve ritenere compreso nel regime di impedimento anche l'essere componente della R.S.U.. Infatti, la R.S.U. e' costituita a seguito di elezione di candidati in liste presentate dalle organizzazioni sindacali (art. 42, comma 4, del decreto legislativo n. 165 del 2001), i suoi componenti sono equiparati ai dirigenti delle R.S.A. (art. 42, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001) e l'organismo subentra «alle RSA o alle analoghe strutture sindacali esistenti comunque denominate ed ai loro dirigenti nella titolarita' dei diritti sindacali e dei poteri riguardanti l'esercizio delle competenze contrattuali ad esse spettanti» (art. 5, CCNQ 7 agosto 1998).
Si segnala che un repertorio delle organizzazioni sindacali presenti nei vari comparti di contrattazione e' elaborato e
pubblicato periodicamente dall'ARAN (www.aranagenzia.it), che cura l'accertamento della rappresentativita' sindacale ai sensi dell'art. 43 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Tale documento non ha carattere esaustivo, ma puo' essere un utile punto di riferimento per conoscere i sindacati che operano nell'ambito dei diversi comparti ed aree.
4.2.2. Il concetto di carica in partiti politici.
Anche per l'individuazione del concetto di carica in partito politico e' necessario utilizzare criteri rispettosi e non eccedenti
la finalita' della legge. Il riferimento al criterio direttivo, utilizzato per l'individuazione delle cariche sindacali rilevanti, e'
utile anche per delimitare le cariche in partito politico. Infatti, attraverso la condizione ostativa posta dalla norma si elimina a
priori il rischio del conflitto di interesse che si puo' creare tra il soggetto che opera nell'amministrazione come dirigente preposto
alla direzione del personale e il soggetto che opera o ha operato nell'organizzazione politica con poteri direttivi.
Pertanto, l'impedimento al conferimento dell'incarico sulle strutture del personale sussiste ogni qual volta nei confronti
dell'interessato ricorrono le condizioni dell'attribuzione di un incarico formale su posizioni direttive dell'organizzazione partito,
nelle sue varie articolazioni, che comportano compiti di reale impulso all'attivita' mediante l'adozione di decisioni, anche con la
loro esternazione al di fuori dell'organizzazione, di atti di gestione, come da statuto, da atto costitutivo, delibera
dell'assemblea o di altro organo del partito.
La considerazione del potere direttivo quale elemento necessario per la configurazione della carica politica trova il conforto
nell'orientamento formatosi nell'ambito della giurisprudenza amministrativa in tema di commissioni di concorso, disciplinate
dall'art. 35, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che, al pari della disposizione in esame, prevede quale causa ostativa
alla nomina nelle commissioni l'essere titolare di «carica politica» (Cons. Stato, Sez. V, 27 luglio 2002, n. 4056; Tar Lazio, Roma, Sez. II-quater, 22 aprile 2008, n. 3367). In particolare, il Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che «per carica politica deve
intendersi solo l'ufficio che postula la rappresentanza, in via organica e professionale, di interessi e valori direttamente
riferibili ad una parte politica, e cioe', ad un partito, con la conseguenza che il divieto in esame va circoscritto ai soli titolari
di cariche direttive all'interno dei partiti» (Cons. Stato, Sez. V, 27 luglio 2002, n. 4056).
Occorre precisare che la circostanza che l'interessato sia risultato vincitore in competizioni elettorali non e' di per se'
significativa della ricorrenza del presupposto richiesto dalla norma.
Infatti, da un lato le cariche in partiti politici possono essere attribuite anche a soggetti che non sono risultati eletti,
dall'altro, dal fatto di essere risultato eletto non consegue automaticamente l'attribuzione di una carica nel senso indicato.
Emerge quindi la differenza tra il concetto di carica in partito politico, che comporta un'investitura formale nell'organizzazione dell'associazione, e carica pubblica, consistente nel conferimento di un incarico organico nell'organizzazione pubblica. E' chiaro che, a prescindere dalla norma in esame, rimane in ogni caso salvo il principio generale della distinzione tra attivita' di indirizzo e controllo e attivita' di gestione amministrativa, con la conseguente preclusione della possibilita' di attribuire la responsabilita' di strutture amministrative di gestione ad organi facenti parte dell'autorita' politica (salvo precise eccezioni, come per gli enti locali previsto dall'art. 53, comma 23, della legge n. 388 del 2000).
Anche per questo caso vale il richiamo all'osservanza del codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
Per quanto riguarda l'individuazione dei partiti politici, non esiste nel nostro ordinamento un albo ufficiale dei partiti politici, che, come detto, si configurano come associazioni non riconosciute dalla piu' varia articolazione. Non si intende in questa sede fornire specifici criteri di individuazione, ma soltanto rammentare elaborazioni gia' compiute. Richiamando l'orientamento della dottrina prevalente, il partito politico e' definito come «"parte totale", propria di una formazione sociale che, pur adottando una visione del mondo necessariamente caratterizzata da uno specifico indirizzo politico ideologico, e' in grado di proporre una sintesi politica dei particolari interessi espressi dalla societa'» (G. Rizzoni, in commentario alla Costituzione a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, sub art. 49, UTET, 2006, 985 ss., con citazione di Mortati e Crisafulli).
Tale dottrina ha pure evidenziato i caratteri tipici del partito politico alla luce del dettato costituzionale, che vengono individuati nella partecipazione a competizioni elettorali e nell'essere munito di un'organizzazione stabile e di un'articolazione organizzativa permanente, con il che si individuerebbe anche la differenziazione rispetto ad altre formazioni, come i gruppi di pressione e i gruppi politici organizzati (idem).
4.2.3. Le collaborazioni e le consulenze rilevanti ai fini dell'applicazione della disposizione.
Analogo impedimento e' stabilito dalla disposizione anche nei confronti di chi abbia o abbia avuto nei due anni precedenti «rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza» con le organizzazioni politiche o sindacali.
Al fine di indicare i limiti di operativita' della norma ed evitare un'applicazione fumosa e ambigua del disposto in un contesto che, come si e' visto, e' caratterizzato dalla rilevanza di valori costituzionali, si ritiene che la sua portata possa essere limitata alle collaborazioni oggetto di un rapporto di lavoro e professionale qualificate dalla pattuizione di un compenso. L'esistenza del rapporto di lavoro e professionale, infatti, consente di ancorare a dati oggettivi accertabili la verifica della sussistenza del vincolo con l'associazione, evitando nei fatti che anche un rapporto di cortesia od «amicale» di interessamento possa far scattare l'incompatibilita'. D'altra parte, e' con la pattuizione e la corresponsione del compenso che si rafforzano il vincolo e l'interesse del soggetto nei confronti dell'organizzazione. Pertanto, non si ritengono rilevanti per la configurazione della causa ostativa eventuali collaborazioni a titolo gratuito, che, d'altra parte, rappresentano un'eccezione rispetto alla regola dell'onerosita' delle prestazioni lavorative e professionali.
La legge menziona i rapporti di collaborazione e di consulenza.
Quest'ultima si configura come una collaborazione avente un particolare oggetto, quella dell'assistenza con il consiglio, realizzando la fattispecie della prestazione d'opera intellettuale.
In base alla norma, non rilevano rapporti di tipo occasionale o saltuario, mentre l'incompatibilita' sussiste nel caso di ripetuti rapporti aventi carattere occasionale tali da concretarsi in attivita' continuativa.
La terminologia utilizzata nel testo, nell'ottica dell'esigenza di interpretare la disposizione in senso coerente con le finalita' perseguite, induce a ritenere che nel concetto di collaborazione rilevante rientri anche la fattispecie del rapporto di lavoro subordinato, il quale certamente implica una collaborazione continuativa con il datore caratterizzata dal particolare vincolo della subordinazione.
Pertanto, le collaborazioni rilevanti sono quelle oggetto di lavoro autonomo, che si traducono in rapporti continuativi o di lavoro a progetto, e oggetto di lavoro subordinato, per la cui prestazione e' stabilito un compenso. Si precisa, inoltre, che la norma non richiede che la collaborazione sia coordinata oltre che continuativa; in sostanza, la disposizione prescinde dalla concreta configurazione del rapporto quale collaborazione a progetto.
5. Ambito temporale di applicazione.
In base alla norma, l'impedimento si manifesta nel caso in cui l'incarico o la collaborazione sia in corso al momento della preposizione alla struttura o si siano verificati negli ultimi due anni. Gli estremi del periodo di incompatibilita' sono costituiti da un lato dalla scadenza del mandato o dal termine del rapporto di collaborazione o di lavoro subordinato e, dall'altro, dal termine iniziale di efficacia del provvedimento di incarico dirigenziale.
In mancanza di una piu' specifica indicazione della norma, per individuare il dies a quo dell'operativita' della disposizione e' necessario fare riferimento al generale principio secondo cui la legge non dispone che per l'avvenire. Conseguentemente, la norma in esame riguarda soltanto gli incarichi di direzione conferiti a decorrere dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 150 del 2009 (15 novembre 2009). In assenza di diversa disposizione, per tali incarichi dovra' essere verificata l'insussistenza della causa ostativa con riferimento al momento del conferimento e con riferimento al pregresso biennio.
6. Dichiarazione di notorieta' dell'interessato.
Ai fini dell'osservanza della norma, le amministrazioni che intendono conferire un incarico su strutture deputate alla gestione del personale debbono acquisire apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorieta' da parte dell'interessato resa ai sensi dell'art. 47 del D.P.R. n. 445 del 2000.
7. Inosservanza della norma.
Nel caso in cui dovesse emergere la situazione di incompatibilita',a parte l'applicazione delle sanzioni collegate alla falsa dichiarazione resa (art. 76 del D.P.R. n. 445 del 2000), l'amministrazione avviera' il procedimento disciplinare per l'accertamento della relativa responsabilita' e l'applicazione delle connesse sanzioni. In proposito, si segnala che l'art. 55-quater del decreto legislativo n. 165 del 2001, introdotto dall'art. 69 del decreto legislativo n. 150 del 2001, prevede la sanzione del licenziamento senza preavviso nei casi di «falsita' documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell'instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera». La fattispecie disciplinare e' stata ripresa dall'art. 9 del CCNL dell'area dirigenziale I stipulato il 12 febbraio 2010, contratto che, come noto, ha per la prima volta disciplinato il codice disciplinare per il personale dirigenziale. Nonostante l'infrazione faccia specificamente riferimento all'instaurazione del rapporto di lavoro e alle progressioni di carriera, e' chiaro che l'analoga condotta tenuta al fine di conseguire il conferimento dell'incarico, merita una valutazione altrettanto severa e puo' essere tale da giustificare il recesso per giusta causa, sempre possibile a mente di quanto previsto dalla menzionata clausola. Per il personale non dirigenziale ad analoghe conclusioni potra' pervenirsi ai sensi dell'art. 13, comma 6 del CCNL 12 giugno 2003.
Considerato che la norma contiene un impedimento rispetto all'esercizio del potere di conferire l'incarico, a seconda delle
circostanze, la responsabilita' potra' estendersi anche al soggetto conferente, il quale poteva eventualmente essere a conoscenza della situazione ostativa o aver omesso l'accertamento del requisito.
A fronte dell'esistenza di una delle ragioni di impedimento introdotte dall'art. 53, comma 1-bis, in esame l'amministrazione, come detto, non puo' conferire incarichi di gestione del personale.
Nell'ipotesi in cui l'incarico venisse conferito in presenza di una causa ostativa, questa determinerebbe la nullita' degli atti con cui l'incarico e' stato attribuito per violazione di norma imperativa.
L'amministrazione dovrebbe pertanto operare per la rimozione dell'illegittimita' ed il ripristino della legalita' mediante l'adozione di un atto ricognitivo della nullita' e il conferimento di un nuovo incarico a soggetto munito dei requisiti prescritti dalla legge. A prescindere dalla natura giuridica degli atti in questione, appare rispettoso del corretto assetto dei rapporti tra l'amministrazione ed il dirigente che la rimozione degli atti viziati sia preceduta da una comunicazione di avvio del procedimento indirizzata all'interessato, con il quale e' opportuno si verifichi un contraddittorio sui presupposti di fatto.
Roma, 6 agosto 2010
Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione
Brunetta
Registrato alla Corte dei conti il 14 ottobre 2010 Ministeri istituzionali - Presidenza del Consiglio dei Ministri, registro n. 16, foglio n. 158