mercoledì 30 marzo 2011

Nomina Membro Esecutivo Regionale

domenica 27 marzo 2011

COMUNE PAGA DANNO BIOLOGICO AL COSTRUTTORE

Con la sentenza n. 1271 depositata il 28 febbraio 2011, la quinta sezione del Consiglio di Stato ha stabilito che il comune che ritarda nel rilasciare il permesso di costruire paga non solo il danno patrimoniale ma anche quello biologico e cioè la lesione alla salute derivante dall'inerzia della P.A. L'imprenditore davanti ai giudici amministrativi di secondo grado, è infatti riuscito a provare che l'inerzia della P.A. gli aveva creato uno squilibrio, concretizzatosi in uno stato di ansia e in vari disturbi di origine dermatologica. Grazie alla nuova formulazione dell'art. 2-bis della legge sul procedimento amministrativo, introdotto dalla legge 69/2009, l'imprenditore è riuscito così ad avere non solo il risarcimento del danno di origine patrimoniale ma anche il risarcimento dell'ingiusto danno da ritardo, basato sul non rispetto del termine di conclusione del procedimento. Secondo la ricostruzione della vicenda, in primo grado il Tar aveva respinto la richiesta dell'imprenditore che aveva quindi impugnato la sentenza del Tar al Consiglio di Stato. I giudici di Palazzo Spada, accogliendo il ricorso dell'uomo, hanno in proposito spiegato che "nel caso di specie, ricorre l'ipotesi in cui il privato invoca la tutela risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con cui l'amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma emanato appunto con ritardo rispetto al termine previsto per quel determinato procedimento. Il ritardo procedimentale ha, quindi, determinato un ritardo nell'attribuzione del c.d. "bene della vita", costituito nel caso di specie dalla possibilità di edificare secondo il progetto richiesto in variante. In questi casi la giurisprudenza è pacifica nell'ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno sussista e venga provato) e l'intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. La norma presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell'attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica (Cons. Giust. Amm. reg. Sic., 4 novembre 2010 n. 1368, che, traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e finanche se l'esito fosse stato in ipotesi negativo)".

sabato 26 marzo 2011

AMBIENTE IN GENERE. V.I.A.

T.A.R. Veneto Sez. III n. 265 del 16 febbraio 2011
Ambiente in genere. V.i.a. e impugnazione

L’onere di impugnazione del provvedimento che decide in merito all’esclusione della procedura di VIA non preclude ai soggetti interessati l’impugnazione del provvedimento con cui il progetto viene autorizzato. Tuttavia nel caso in cui sia impugnata soltanto l’autorizzazione all’esecuzione del progetto non potranno essere fatti valere con il ricorso censure relative alla mancata effettuazione della procedura di VIA, perché tale aspetto è stato già autonomamente e definitivamente considerato dal presupposto provvedimento, non tempestivamente impugnato, con cui è stata esclusa la procedura di VIA. Né è possibile sostenere che solo con l’autorizzazione all’esecuzione del progetto sorga la lesione e dunque l’interesse all’impugnazione, perché la decisione di non effettuare la VIA comporta già un pregiudizio per la tutela ambientale che consiste nell’impiego di minori cautele nella definizione della procedura autorizzatoria.


N. 00265/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01462/2010 REG.RIC.

mercoledì 23 marzo 2011

Richiesta riconoscimento benefici di cui al D.P.R.206/04

AL MINISTERO DEGLI INTERNI
DIPARTIMENTO PUBBLICA SICURAZZA


OGGETTO:-Richiesta di riconoscimento dei benefici di cui al D.P.R.
n.243/2006 e legge n.206/2004.

Il sottoscritto Rossi Mario nato a Milano 08.07.1950, residente in Milano (MI) via .....................n......,tel.339 ,attualmente in congedo dal 08.07.2010 ( oppure ) .per raggiunti limiti di età,chiede di usufruire dei benefici previsti dalle leggi in oggetto ( VITTIMA DEL DOVERE) per l'infermità” ESITI FERITE L.C. PENETRANTE NELL'ADDOME CON PERFORAZIONE MULTIPLA DELL'INTESTINO TENUE, DEL MESENTERE,DEL MESESIGMA”.
Fa presente di essere stato in servizio dal 01.01.1971 al 24.11.1974,presso la Legione Carabinieri di Cagliari con servizio di aggregazione presso la 90^ squadriglia con compiti di contrastare il fenomeno dell'abigeato.-
Fa ancora presente che nell'anno 1973,mentre si trovava regolarmente comandato di servizio e distaccato presso la Stazione Carabinieri di ........,rimaneva colpito da colpi di arma da fuoco in zona addominale:
Allega:
1^Verbale CMO n. m.d. VP n. del 21/02/1997,per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e relativo decreto del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio.
Resta in attesa di comunicazioni e/o di essere sottoposto agli accertamenti medico-legali presso la competente CMO militare.-
Dichiara di essere informato,ai sensi e per gli effetti di cui all'art.10 della legge 675/96 che i dati personali raccolti saranno trattati,anche con strumenti informatici,esclusivamente nell'ambito del procedimento per il quale la presente viene resa.


Zagarolo, IL RICHIEDENTE
Con alta considerazione ______________________

martedì 8 marzo 2011

QUALITA' DEI PRODOTTI ALIMENTARI " ETICHETTATURA"

Novità legislative: L. 3 febbraio 2011, n. 4

OGGETTO: Novità legislative – L. 3 febbraio 2011, n. 4, recante “Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari” – Disposizioni rilevanti per il settore penale.
Rif. norm.: L. 3 febbraio 2011, n. 4; D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 5, comma primo; L. 15 febbraio 1963, n. 281, art. 22.
Sommario: 1. Premessa. - 2. Sintesi dell’articolato. - 3. Le modifiche in materia penale.

1. Premessa
La L. 3 febbraio 2011, n. 4 reca “Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari” (G.U. n. 41 del 19 febbraio 2011).

Il testo, composto di sette articoli, entrerà in vigore, dopo il consueto periodo di vacatio legis, il prossimo 6/03/2011.

La legge in esame è uno dei provvedimenti cui il Governo ha affidato, in questa legislatura, il rilancio competitivo del sistema agroalimentare, colpito da una grave crisi congiunturale.

Il testo rappresenta il frutto di un iter parlamentare piuttosto complesso. Il disegno di legge originario, caratterizzato da una serie di misure su questioni rilevanti per il settore agricolo, è stato ampiamente modificato nel corso dell’esame in prima lettura presso della Camera. In particolare la XIII Commissione della Camera, posto il ristretto margine di disponibilità in ordine alla copertura finanziaria, aveva deciso di concentrare l’esame del provvedimento sulla tematica della promozione del valore delle produzioni, con particolare riguardo alla qualità e tracciabilità dei prodotti e del sistema produttivo e all’ampliamento delle informazioni per il consumatore, anche alla luce delle prospettive di riforma della PAC e del quadro normativo comunitario in evoluzione. Tutte le altre disposizioni, che avevano ad oggetto questioni tra le quali le agevolazioni previdenziali per le aree montane e svantaggiate, il sostegno per il settore bieticolo-saccarifero nonché il riordino delle agroenergie, sono state oggetto di stralcio (seduta dell’Assemblea del 22 settembre 2010).

Nel corso dell’esame presso il Senato, poi, sono state soppresse alcune disposizioni che presentavano problemi di copertura finanziaria.
2. Sintesi dell’articolato

La L. 3 febbraio 2011, n. 4, come dianzi precisato, è composta da sette articoli, due quali direttamente incidenti sulla materia penale. Si tratta, in particolare, degli artt. 4, comma settimo e dell’art. 6, rispettivamente modificativi dell’art. 5, comma primo, del D.Lgs. n. 271/1989 (disp. att. cod. proc. pen.) e degli artt. 21 e 22 della 15 febbraio 1963, n. 281.

Rinviando al paragrafo seguente l’analisi delle predette modifiche, si riporta, di seguito, una breve sintesi dell’articolato.

Per quanto attiene al contenuto del provvedimento l’art. 1 estende all’intero territorio nazionale le disposizioni che promuovono la stipula di contratti di filiera e di distretto, contenute nell’art. 66 della legge n. 289/2002, la cui operatività era attualmente limitata alle aree sottoutilizzate.

L’art. 2 reca disposizioni per il rafforzamento della tutela e della competitività dei prodotti a denominazione protetta.

In particolare, al comma primo, modificando l’art. 6 della L. n. 138/1974, raddoppia le sanzioni relative alla violazione delle norme che limitano l’utilizzo di latte in polvere, qualora la violazione riguardi prodotti DOP, IGP o riconosciuti come specialità tradizionali garantite (STG).

Il comma secondo detta misure in ordine all’indicazione DOP nelle etichettature delle miscele di formaggi, per assicurare un elevato livello di tutela dei consumatori evitando che siano indotti in errore: perciò è vietata per le miscele l'indicazione di formaggi a denominazione di origine protetta (DOP), tranne che tra gli ingredienti; ciò, comunque, a condizione che per ciascun formaggio DOP la percentuale utilizzata non sia inferiore al 20 per cento della miscela e che ne sia stata data comunicazione al relativo consorzio di tutela, che può verificarne l'effettivo utilizzo nella percentuale dichiarata; in ogni caso, l'indicazione tra gli ingredienti deve essere riportata utilizzando i medesimi caratteri, dimensioni e colori delle indicazioni concernenti gli altri ingredienti.

I commi dal terzo al nono definiscono un “Sistema di produzione integrata” dei prodotti agroalimentari finalizzato a garantire una qualità del prodotto finale, superiore alle norme commerciali correnti. Al riguardo rispetto al testo approvato in prima lettura dalla Camera, il Senato ha soppresso il riferimento alla superiorità “in termini di sanità pubblica, salute delle piante e degli animali, benessere degli animali e tutela ambientale”.

Il prodotto finale deve essere contraddistinto da un basso uso di sostanze chimiche, controllato da organismi terzi accreditati (in base a uno specifico piano di controllo), e identificato con uno specifico logo, al quale i produttori potranno aderire su base volontaria. Per la concreta operatività del sistema, dal quale non dovranno derivare nuovi oneri per il bilancio statale, dovranno essere adottati provvedimenti ministeriali con i quali saranno prescritte:

1) requisiti e norme tecniche di produzione integrata, la quale utilizza tutti i mezzi produttivi e di difesa dalle avversità delle produzioni agricole, volti a ridurre al minimo l'uso delle sostanze chimiche di sintesi e a razionalizzare la fertilizzazione, nel rispetto dei princìpi ecologici, economici e tossicologici;

2) procedure di coordinamento da seguire da parte delle regioni e delle province autonome che hanno già istituito il sistema di produzione integrata nei propri territori;

3) forme di coordinamento in relazione a eventuali segni distintivi già adottati dalle regioni o dalle province autonome per la produzione integrata.

L'adesione al Sistema è volontaria ed è aperta a tutti gli operatori che si impegnano ad applicare la disciplina di produzione integrata e si sottopongono ai relativi controlli. L'efficacia della normativa sul Sistema è subordinata al completamento della procedura di notifica alla Commissione europea.

L’art. 3 reca disposizioni diverse riconducibili alla finalità della salvaguardia delle produzioni italiane di qualità.

Il comma primo dispone che le aperture di credito a favore dei funzionari dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF), per i compiti d’istituto, siano sottratte alle procedure di esecuzione. La disciplina sanzionatoria è poi oggetto delle altre previsioni, sotto forma di "novelle" recate dai restanti commi dell'articolo. Essi operano la traduzione in euro, la rivalutazione ed introducono una clausola di salvaguardia per le sanzioni amministrative di cui alla legge 25 novembre 1971, n. 1096 (Disciplina dell'attività sementiera), al R.D.L. 15 ottobre 1925 n. 2033 (Repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari), alla legge 13 novembre 1960, n. 1407 (Norme per la classificazione e la vendita degli oli di oliva) ed alla legge 24 luglio 1962, n. 1104 (sul divieto dell’esterificazione degli oli).

L’art. 4 dispone l’obbligo per i prodotti alimentari posti in commercio, di riportare nell’etichetta anche l’indicazione del luogo di origine o di provenienza.

Il comma primo integra la disciplina di cui all'art. 3 del D.Lgs. n. 109 del 1992, con l'obbligo di riportare nell'etichettatura l'indicazione del luogo di origine o di provenienza: è altresì previsto, in conformità alla normativa dell’Unione europea, anche l'obbligo di indicazione dell’eventuale utilizzazione di ingredienti in cui vi sia presenza di organismi geneticamente modificati in qualunque fase della catena alimentare, dal luogo di produzione iniziale fino al consumo finale.

La procedura che discende da tali obblighi è finalizzata alla tutela del consumatore sulle caratteristiche dei prodotti alimentari commercializzati, trasformati, parzialmente trasformati o non trasformati, nonché al rafforzamento della prevenzione e la repressione delle frodi alimentari.

Il comma secondo precisa che per i prodotti alimentari non trasformati, l’indicazione del luogo di origine o di provenienza riguarda il Paese di produzione dei prodotti. Per i prodotti alimentari trasformati l’indicazione riguarda il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti.

Le modalità applicative dell'indicazione obbligatoria d'origine sono oggetto del comma terzo.

Tale disposizione prevede che i Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali e dello sviluppo economico, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni-Province autonome, provvedono a definire con propri decreti le modalità per l'indicazione obbligatoria dell'etichettatura per i singoli prodotti, previo espletamento della procedura prevista dall'Unione europea.

I decreti dovranno anche, ai sensi del comma quarto, definire i prodotti alimentari soggetti all'etichettatura all'interno di ciascuna filiera alimentare, individuando un requisito di prevalenza della materia prima agricola utilizzata nella preparazione o produzione dei prodotti.

Nella stessa ottica il comma quinto integra l’art. 8 del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 109, e successive modificazioni, prevedendo che, in caso di indicazione obbligatoria, è fatto altresì obbligo di indicare l’origine dell’ingrediente caratterizzante evidenziato.

Il comma sesto investe le regioni dei controlli, estesi a tutte le filiere interessate e salve le competenze ministeriali.

Nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano, poi, ai sensi del comma ottavo le sezioni di polizia giudiziaria sono composte anche dal personale con qualifica di polizia giudiziaria appartenente ai rispettivi corpi forestali regionali o provinciali, secondo i rispettivi ordinamenti, previa intesa tra lo Stato e la regione o provincia autonoma interessata.

Per quanto concerne il comma settimo, si dirà oltre nel paragrafo seguente.

Il comma nono, poi, prevede che i servizi di protezione e di vigilanza - limitatamente alle persone appartenenti all’Amministrazione centrale delle politiche agricole alimentari e forestali - siano eseguiti dagli uffici, reparti ed unità specializzate del Corpo forestale dello Stato.

La sanzione amministrativa pecuniaria da 1.600 euro a 9.500 euro - ai sensi del comma decimo - assiste l'osservanza dell'obbligo di non porre in vendita o mettere altrimenti in commercio prodotti alimentari non etichettati in conformità alle disposizioni predette e dei decreti di cui al comma terzo, salvo che il fatto costituisca reato. La decorrenza dell'intera disciplina, comunque, opera - ai sensi del comma dodicesimo - novanta giorni dopo la data di entrata in vigore dei decreti di cui al comma terzo.

I prodotti etichettati anteriormente alla data di cui al periodo precedente e privi delle indicazioni obbligatorie ai sensi del presente articolo possono essere venduti ancora entro i successivi centottanta giorni.

Ai sensi del comma undicesimo, però, un effetto abrogativo discende dall'entrata in vigore anche solo del primo dei decreti di cui al comma terzo: si tratta dell'abrogazione dell’articolo 1-bis del decreto-legge 24 giugno 2004, n. 157, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2004, n. 204.

L’art. 5 prescrive che le informazioni relative al luogo di origine o di provenienza delle stesse materie prime siano necessarie al fine di non indurre in errore il consumatore medio ai sensi del codice del consumo, di cui al D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206.

L’omissione di tali informazioni costituisce pratica commerciale ingannevole ai sensi dell’art. 22 del citato codice di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, e successive modificazioni.

Dell’art. 6, si dirà nel paragrafo seguente.

Infine, l’art. 7 contempla l’obbligo per gli allevatori di bufale di adottare strumenti per la rilevazione della quantità di latte prodotto giornalmente da ciascun animale.

L’individuazione delle modalità attuative di tale obbligo è demandata a decreto del Ministro per le politiche agricole, alimentari e forestali, sentite le regioni interessate.
3. Le modifiche in materia penale

Come anticipato, la L. 3 febbraio 2011, n. 4, interviene anche sulla disciplina penale con due modifiche.

Quanto, alla prima modifica, attinente alla disciplina processuale penale, con l’art. 4, comma 7, si apporta un’integrazione all’art. 5, comma primo, disp. att. cod. proc. pen.

Com’è noto, tale disposizione prevede la «Composizione delle sezioni di polizia giudiziaria», stabilendo che “Le sezioni di polizia giudiziaria sono composte dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria della polizia di Stato, dell'arma dei carabinieri e del corpo della guardia di finanza”.

Orbene, nel testo attuale, antecedente alle modifiche introdotte dalla legge in commento, il Corpo Forestale dello Stato, forza di polizia ad ordinamento civile, specializzata nella tutela del patrimonio naturale e paesaggistico, nella prevenzione e repressione dei reati in materia ambientale e agroalimentare, non componeva (almeno formalmente, non essendo previsto dall’art. 5, comma primo, disp. att. cod. proc. pen.) le sezioni di polizia giudiziaria presso la Procura della Repubblica. Di fatto, invero, la composizione delle sezioni di P.G. prevedeva in organico anche personale del Corpo Forestale dello Stato.

Tale lacuna “formale” della norma codicistica viene ad essere colmata dalla legge in commento.

Ed infatti, quanto ai componenti del Corpo forestale dello Stato, il comma settimo dell’art. 4 – modificando l’art. 5, comma primo, delle disp. att. coord. trans. cod. proc. pen. - attribuisce loro la possibilità di far parte delle sezioni di polizia giudiziaria, al fine di rafforzare la prevenzione e la repressione degli illeciti in materia agroambientale, nonché di favorire il contrasto della contraffazione dei prodotti agroalimentari protetti e le azioni previste dall’art. 18, comma primo, della L. 23 luglio 2009, n. 99. [1]

Il nuovo comma primo dell’art. 5 disp. att. cod. proc. pen. è quindi così modificato: «1. Le sezioni di polizia giudiziaria sono composte dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria della polizia di Stato, dell'arma dei carabinieri e del corpo della guardia di finanza nonché del Corpo forestale dello Stato».

Quanto alla seconda modifica, incidente sulla materia penale sostanziale, è introdotta dall’art. 6 della L. 3 febbraio 2011, n. 4.

Detta disposizione, in particolare, sostituendo gli artt. 22 e 23 della L. 15 febbraio 1963, n. 281, recante “Disciplina della preparazione e del commercio dei mangimi”, riformula le sanzioni in materia di produzione e commercio dei mangimi, trasformando tutti i reati in illeciti amministrativi e contestualmente riducendo l’entità della somma da pagare a titolo di sanzione.

I reati previsti dalle disposizioni in esame erano, in particolare, contemplati dall’art. 22 che punisce, al comma primo, “salvo che il fatto costituisca più grave reato” chiunque vende, pone in vendita o mette altrimenti in commercio o prepara per conto terzi o, comunque, per la distribuzione per il consumo, prodotti di origine vegetale, animale e minerale, nonché prodotti chimico-industriali isolati o tra loro convenientemente mescolati, destinati all'alimentazione degli animali allevati (i cosiddetti mangimi) non rispondenti alle prescrizioni stabilite, o risultanti all'analisi non conformi alle dichiarazioni, indicazioni e denominazioni.

La sanzione penale prima contemplata in caso di violazione della disposizione precettiva era l'ammenda da lire 3.000.000 a lire 30.000.000.

L’art. 6 della L. 3 febbraio 2011, n. 4, depenalizza la violazione, trasformando il reato contravvenzionale in illecito amministrativo, sanzionando le medesime condotte con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.500 euro a 15.000 euro.

La sanzione si applica anche all'allevatore che detiene e somministra i prodotti sopra richiamati.

Analogamente, il comma secondo dell’art. 22 punisce “salvo che il fatto costituisca più grave reato” chiunque vende, pone in vendita, mette altrimenti in commercio o prepara per conto terzi o, comunque, per la distribuzione per il consumo, sostanze vietate, nel testo previgente alle modifiche introdotte con la legge in commento, la sanzione prevista era l'ammenda da lire 30.000.000 a lire 120.000.000.

L’art. 6 della L. 3 febbraio 2011, n. 4, depenalizza la violazione, trasformando il reato contravvenzionale in illecito amministrativo, sanzionando le medesime condotte con la sanzione amministrativa pecuniaria da 8.000 euro a 30.000 euro.

La sanzione si applica anche all'allevatore che detiene e somministra i prodotti sopra richiamati.

Infine, il comma terzo dell’art. 22 punisce “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, chiunque vende, pone in vendita o mette altrimenti in commercio o prepara per conto terzi o, comunque, per la distribuzione per il consumo, prodotti contenenti sostanze di cui e' vietato l'impiego o con dichiarazioni, indicazioni e denominazioni tali da trarre in inganno l'acquirente sulla composizione, specie e natura della merce.

La sanzione penale prima contemplata in caso di violazione della disposizione precettiva era l'ammenda da lire 50.000.000 a lire 150.000.000. Detta pena si applicava altresì all'allevatore che non osservava la disposizione di cui all'articolo 17, comma 2.

L’art. 6 della L. 3 febbraio 2011, n. 4, depenalizza la violazione, trasformando il reato contravvenzionale in illecito amministrativo, sanzionando le medesime condotte con la sanzione amministrativa pecuniaria da 20.000 euro a 66.000 euro.

A seguito dell’inserimento del novellato comma quarto, è stata soppressa la previsione sia del previdente comma quarto, che estendeva l’applicazione della sanzione penale prevista dal comma terzo all'allevatore che non osservasse la disposizione di cui all'art. 17, comma secondo, della L. n. 281 del 1963.[2]

Viene, altresì, ad essere soppressa la previsione del comma quinto dell’art. 22, non più necessaria a seguito dell’intervenuta depenalizzazione.[3]

Non si comprende, peraltro, la ragione per la quale il legislatore non abbia, corrispondentemente, previsto – ferme restando le condotte vietate – l’esclusione dell’applicazione dell’art. 16 della L. 24 novembre 1981, n. 689 (cosiddetto pagamento in misura ridotta) per le nuove sanzioni amministrative pecuniarie sostitutive delle previsioni sanzionatorie penali.

Solo per completezza, infine, è opportuno segnalare come il comma primo dell’art. 1, del D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179 (recante “Disposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246”), in combinato disposto con l’allegato 1 allo stesso decreto, ha ritenuto indispensabile la permanenza in vigore della L. 15 febbraio 1963, n. 281, limitatamente agli artt. 1, 2, 4, 5, da 7 a 11, 15, 17, 18, da 20 a 28 e alle relative tabelle.

Legge n.283/1962. ."DISCIPLINA SUGLI ALIMENTI"

Cass. Sez. III n. 9276 del 9 marzo 2011 (Ud. 19 gen. 2011)
Pres. De Maio Est. Grillo Ric. Facchi
Alimenti. Vigenza disciplina sugli alimenti

Sulla permanenza in vigore della legge 283\62 in materia di alimenti (della sentenza ha recentemente dato notizia la stampa dopo che erano circolate notizie circa l’avvenuta abrogazione della Legge n. 283 del 1962)

19 marzo San Giuseppe." festa del papà"

La festa del papà, come la intendiamo oggi, nasce nei primi decenni del XX secolo, complementare alla festa della MAMMA per festeggiare la paternità e i babbi in generale. La festa è celebrata in varie date in tutto il mondo, spesso è accompagnata dalla consegna di un regalo al proprio padre.

Auguri x tutti i papà del mondo.-

OGGI CONSIGLIO COMUNALE ZAGAROLO.

Riunione straordinaria del Consiglio Comunale

Riunione straordinaria del Consiglio Comunale, presso l'Aula Consiliare di Palazzo Rospigliosi, per il giorno 16 Marzo 2011 alle ore 19,00, per trattare il seguente:
ORDINE DEL GIORNO


1. Approvazione verbali seduta precedente.

2. Risposta ad interrogazioni.

3. Modifica Regolamento delle aree pubbliche per il commercio del comparto ex ambulante

Il Presidente del Consiglio Comunale
Roberto Sesto

URBANISICA:restituzione del contributo con interessi e rivalutazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZ
sul ricorso numero di registro generale 1117 del 2000, proposto da:
TORRI BATTISTA, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Franchina, con domicilio eletto presso T.A.R. Segreteria in Brescia, via Carlo Zima, 3;


contro
COMUNE DI GANDINO, non costituito in giudizio;
per l'annullamento

della concessione edilizia 11.5.1998, N. 48/98 (limitatamente a liquidazione del contributo di concessione e condanna alla restituzione del contributo con interessi e rivalutazione)


Visti il ricorso e tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2011 il dott. Carmine Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


FATTO


L’odierno ricorrente impugna la concessione edilizia n. 48/98 nella parte in cui quantificava il contributo di costruzione dovuto in lire 8.057.423, contributo che egli afferma non essere dovuto in toto.

Il ricorrente chiede, in particolare, che l’amministrazione sia condannata a restituirgli la somma in parola (posto che il contributo richiesto è stato comunque corrisposto per poter effettuare i lavori), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.

La vicenda in cui si inserisce il presente contenzioso è la seguente:

- il ricorrente aveva già ottenuto una prima concessione edilizia 27. 10. 1994, i cui lavori non aveva completato nel termine triennale di legge, e di cui aveva chiesto il rinnovo,

- il rinnovo era stato ottenuto con la concessione 48/98 che però aveva previsto di nuovo il pagamento del contributo di costruzione in quanto, a suo giudizio, si tratterebbe di nuovo titolo, autonomo rispetto al precedente.


Trattandosi di un ricorso in materia di giurisdizione esclusiva, attinente ad un giudizio sul rapporto, non sono formulati dei veri e propri motivi. Il ricorrente, infatti, si limita ad evidenziare che, a suo giudizio, l’obbligazione di pagamento del contributo di costruzione è il corrispettivo dell’attività edilizia, e non del mero rilascio del titolo, talchè la nuova concessione avrebbe dovuto tener conto anche di quanto già pagato dal ricorrente per i lavori non eseguiti e di cui era stato chiesto di rinnovare il titolo abilitativo.


Nessuno si costituiva per le parti convenute in giudizio.


Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 12. 1. 2011, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.


DIRITTO


I. Il ricorso è parzialmente fondato.


II. Sull’an della pretesa del ricorrente va osservato quanto segue.

Il contributo di costruzione è il corrispettivo del diritto di costruire e quando il diritto di costruire non è esercitato viene meno il titolo in forza del quale il Comune ha incassato il contributo di costruzione. Questo principio vale anche quando il titolo edilizio è stato utilizzato soltanto in parte, nel qual caso esso viene meno pro quota (T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, sentenza n. 728 del 24/03/2010: il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato soltanto parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pure sotto profili differenti, all'oggetto della costruzione. L'avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie consentite da un permesso di costruire comporta dunque il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata).

Il ragionamento del Comune - secondo cui occorre pagare tutto ciò che è dovuto per la nuova concessione senza stornare il pregresso di cui al limite verrà chiesto il rimborso -, al di là del fatto che il rimborso è stato chiesto e non ottenuto, non può reggere perché la seconda concessione, rilasciata dal Comune ai ricorrenti sullo stesso edificio del titolo precedente e per completare i lavori rimasti in sospeso a seguito dell’abbandono di quel titolo edilizio, è di rinnovo della concessione.

L’argomento della unicità del titolo è stata quindi valutata anche dal Comune e risolta in senso positivo. Nel momento in cui si ragiona in termini di titolo unico tra concessione del 1994 e concessione del 1998 non si può far pagare il contributo di costruzione due volte, e doveva quindi stornarsi per sottrazione quanto pagato dai ricorrenti in occasione della prima concessione.


II. Sul quantum della pretesa del ricorrente.

Della somma originariamente chiesta dal Comune (lire 8.057.423) almeno 302.850 lire erano dovute, perché nella concessione rinnovata erano stati aggiunti lavori ulteriori che contribuivano ad aumentare l’importo del contributo e che non erano assorbiti dal pagamento precedente.

Lo stesso ricorrente riconosce la circostanza nella memoria conclusiva, rettificando parzialmente la somma richiesta.

Ne consegue che il Comune deve essere condannato alla restituzione di soli 7.754.573 lire.


III. Sono stati chiesti gli interessi e la rivalutazione automatica.

Gli interessi legali devono essere riconosciuti. Si versa, infatti, in presenza di interessi corrispettivi (art. 1282 c.c.), che sono fondati sulla naturale fecondità del denaro, e che prescindono pertanto da profili di colpa, che rileverebbero in presenza di interessi con funzione risarcitoria quali quelli moratori (art. 1224 c.c.).

Quanto alla loro decorrenza, la norma generale dell’art. 1282 c.c. prevede che gli interessi decorrano dal momento in cui il credito è liquido ed esigibile. In base alla teoria generale, credito esigibile è quello che non è sottoposto a condizione sospensiva o termine in favore del debitore; credito liquido è quello il cui ammontare è certo o accertabile mediante operazioni di mero conteggio aritmetico.

Nel caso in esame, posto che non vi possono essere questioni sulla esigibilità del credito, non ve ne sono neanche sulla liquidità dello stesso, in quanto la determinazione del credito degli oneri di urbanizzazione è frutto di un mero calcolo aritmetico fondato sull’applicazione dei criteri predeterminati previsti dalla legge. Ne consegue che il credito in esame era liquido fin dalla data in cui è sorto.

Il primo atto in cui è stato richiesto il pagamento risulta essere la domanda del 15. 12. 1998 (ricevuta al protocollo lo stesso 15. 12. 1998), depositata dal ricorrente con il doc. 6 (cfr. T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, 728/10: il privato, sulle somme indebitamente riscosse dalla P.A., ha diritto agli interessi legali i quali, qualora non vi siano elementi che escludano la buona fede dell'Amministrazione, spettano dalla data della domanda).

Ne consegue che gli interessi legali devono essere riconosciuti dal 15. 12. 1998.


IV. E’ dovuta anche la rivalutazione automatica.

E’ vero che il credito di restituzione del contributo di costruzione pagato in misura maggiorata non è un credito di valore, ma un credito di valuta in cui la rivalutazione è possibile soltanto se si prova il maggior danno ex art. 1224 co. 2 c.c., qui del tutto pretermesso dall’esposizione dei ricorrenti.

Ma è anche vero che Cass. civ., sezioni unite, sentenza 18 luglio 2008 n. 19499 ha sostenuto che nelle obbligazioni pecuniarie, in difetto di discipline particolari dettate da norme speciali, il maggior danno di cui all'art. 1224 c.c., comma 2, rispetto a quello già coperto dagli interessi moratori è, in via generale, riconoscibile in via presuntiva, per qualunque creditore che ne domandi il risarcimento, nella eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi dell'art. 1284 c.c., comma 1, salva la possibilità per il debitore di provare che il creditore non ha subito un maggior danno o che lo ha subito in misura inferiore e per il creditore di provare il maggior danno effettivamente subito.

Nel caso in esame, in cui nessuna delle parti in causa si è preoccupata di provare alcunché sulla esistenza o meno di un maggior danno va applicato pertanto il criterio presuntivo appena citato.

Per escludere la rivalutazione automatica non è sufficiente affermare (come aveva fatto in passato T.a.r. Marche 296/04) che si tratterebbe di indebito oggettivo, ai sensi dell'art. 2033 c.c., in quanto anche l’indebito oggettivo non è altro che “una obbligazione pecuniaria di fonte legale (art. 2033 c.c.) assoggettata alla disciplina propria di tali obbligazioni, in particolare alla disposizione dell'art. 1224 c.c. in tema di interessi moratori e risarcimento del maggior danno per il ritardo nell'adempimento” (Cass. civ, sez. lav., 4833/09).

Dalle somme dovute a titolo di rivalutazione monetaria va defalcata la somma percepita a titolo di interessi legali, in quanto – non trattandosi di credito di lavoro – non è consentito il cumulo tra interessi e rivalutazione.


V. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo (vi è nota spese del difensore, che si assume come criterio di calcolo).


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

ACCOGLIE PARZIALMENTE il ricorso, e per l’effetto, condanna il Comune a restituire ai ricorrenti la somma di lire 7.754.573, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria (calcolati come in motivazione) a partire dal 15. 12. 1998 e fino alla data dell’effettivo pagamento.

RESPINGE per il resto.

CONDANNA il Comune di Gandino al pagamento in favore del ricorrente delle spese di lite, che determina in euro 4.300 (comprese i.v.a. e c.p.a).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Sergio Conti, Consigliere
Carmine Russo, Referendario, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 31/01/2011

PER UNA DONNA SPECIALE " MIA MOGLIE REGGIANI GIUSEPPINA"




Ti Voglio augurare l'8.marzo più gioioso che tu possa immginare-
Auguri Pina

sabato 5 marzo 2011

Vincolo archeologico.

T.A.R. Lazio (RM) Sez. II quater n. 551 del 20 gennaio 2011
Beni Culturali. Vincolo archeologico

L'imposizione di vincolo archeologico su un determinato terreno non esclude - ferma restando la necessità d'acquisizione dell'autorizzazione da parte della competente Soprintendenza chiamata a valutare, ai sensi degli art. 11 e 12 l. 1 giugno 1939 n. 1089, la compatibilità della costruzione con la fruibilità dei beni assoggettati a vincolo - la possibilità di eseguire eventuali interventi di bonifica o di contenimento dei terreni né, in linea di principio, l’edificabilità essendo astrattamente concepibile un particolare tipo di costruzione realizzato senza che i reperti archeologici subiscano un uso incompatibile col loro carattere storico o artistico. Ne consegue, che il vincolo archeologico di norma ha carattere conformativo della proprietà, per cui le limitazioni che ne conseguono non costituiscono manifestazione della potestà espropriativa, bensì appunto di quella conformativa della proprietà privata ammessa senza indennizzo dall'art. 42 comma 2 cost.


N. 00551/2011 REG.PROV.COLL.

N. 07765/1993

martedì 1 marzo 2011

Urbanistica. Ordine di demolizione e decorso del tempo

T.A.R. Lazio (RM) Sez. II ter n.493 del 19 gennaio 2011
Urbanistica. Ordine di demolizione e decorso del tempo

L’ordine di demolizione di un’opera abusiva, intervenuto a lunga distanza di tempo dall’ultimazione dei lavori, e quindi in una situazione di consolidato affidamento del privato sulla legittimità del proprio intervento, non può essere sorretto esclusivamente dal richiamo al carattere abusivo dell’opera realizzata, avendo l’amministrazione l’obbligo di dare puntualmente conto delle ragioni di pubblico interesse che giustificano l’irrogazione della sanzione della demolizione, quali, ad esempio, il pericolo di crollo o di pregiudizio per l’igiene e la sanità pubblica.


N. 00493/2011 REG.PROV.COLL.

N. 00798/1994 REG.RIC.