venerdì 28 giugno 2013

perche' si uccidono tante donne( mogli e amanti) ? non sarà colpa della legge sul divorzio?

 Bisogna riflettere...una donna chiede la separazione .....immediatamente i giudici ti allontanano da casa e ti costringono a passargli il vitalizio.......e ancora la signora dentro casa tua può portarsi l'amante e tu non puoi fare nulla......signore donne riflettete...sarebbe ora di cambiare la legge sul divorzio......tu vuoi separarti....vai sei libera ...ma noi uomini non dobbiamo darti nulla...tranne dividersi quello costruito insieme.........questo è il mio pensiero! Sbagliato? non so....oggi i nuovi poveri sono proprio gli uomini separati!!

giovedì 27 giugno 2013

beppe grillo.

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Lazio: DENTRO LA STANZA DEI BOTTONI SCOPRIAMO UNA ROULETTE TRUCCATA



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cronaca non ufficiale dell'ultimo consiglio regionale del Lazio

24 giugno 2013

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Nessuno vi ha mai raccontato cosa avviene davvero nelle stanze della Regione Lazio, dove non arrivano le telecamere: nelle riunioni dei capigruppo, nelle commissioni permanenti, nelle tante riunioni informali e "di prassi" dove giornalisti e i cittadini non hanno mai messo piede.

"Cane non mangia cane"...insieme a...."se io ti do questo, tu cosa mi dai ?" questa e' stata ed e' sempre ancora oggi la vecchia logica dei partiti politici, quando non ci sono i riflettori della stampa o quando gli elettori non possono verificare quello che realmente succede nelle discussioni riservate.

Noi del movimento 5 stelle siamo entrati in Regione per renderla una scatola di vetro, per scardinare il potere che per troppi anni ha gestito questa regione a svantaggio degli interessi collettivi di tutti i cittadini.

Fra poco, grazie al movimento 5 stelle, ci saranno delle webcam in questi luoghi segreti. Per ora possiamo solo raccontarvi quello che succede, per la prima volta.

C'e' chi continua a spartirsi la ricca torta, tagliandosi una bella fetta. A destra come a sinistra. E c'e' chi volutamente non sta al gioco e quindi non si prende neanche una fetta.



L'ultimo consiglio regionale e' stato convocato in tutta fretta dopo una lunghissima pausa, oltre 40 giorni dall'ultimo. Questa la prima, di tante stranezze. Perche' in questo racconto vedrete che ce ne sono molte di stranezze, e per persone intelligenti e smaliziate, sara' facile anche capire i motivi (e gli interessi) di tali stranezze.

40 giorni dall'ultimo consiglio regionale, e ieri abbiamo fatto 15 ore di fila, di notte, perche' il limite dell'approvazione della legge n.9 (legge quadro sui tagli ai costi della politica) era proprio il 22/6.

Se si fosse voluto aprire un vero dibattito perche' tutti potessero analizzare questa importante legge, non si sarebbe aspettato esattamente l'ultimo giorno, o meglio, l'ultima notte, facendo una seduta ad oltranza: questo suona molto di "prendere o lasciare".

E infatti cosi' e' avvenuto.

Anche perche' nonostante tutta questa urgenza, nel pomeriggio di venerdi' si e' deciso di fare una pausa di 5 ore (nonostante il parere contrario del movimento 5 stelle). 5 ore per lasciare a pd e pdl il tempo di trovare un accordo "fuori consiglio" cioe' fuori dal dibattito pubblico che avviene in aula con tutti i consiglieri presenti. "Per trovare un accordo": questo e' cio' che ufficialmente il presidente del consiglio, Leodori esponente Pd, ci ha risposto.

Alla ripresa dei lavori, abbiamo chiesto se questo tempo fosse stato speso bene. Nessuna risposta...ma i fatti hanno potuto dimostrare che l'accordo non c'e' stato poiche' gli oltre 800 emendamenti ostruzionistici del Pdl non sono stati ritirati....e si e' andati avanti come nulla fosse, continuando a discutere e bocciare ogni singolo

emendamento. Come se fosse normale fermarsi per 5 ore (pensate a chi invece sta lavorando e deve aspettare non si sa nemmeno cosa). Spreco di soldi e tempo.



Il motivo di tutto questo sono l'elevato numero di emendamenti che il pdl ha presentato. Cosi' tutte le volte. La strategia del pdl e' far perdere tempo, per arrivare ad un certo punto e contrattare il ritiro degli emendamenti in blocco. Questo e' il loro modo di fare politica. Quindi 5 ore di pausa, a che sono servite ? In cambio del ritiro degli emendamenti, cosa e' stato chiesto dal Pdl a Pd ? Non lo sapremo mai perche' e' stata una riunione a porte chiuse senza che il movimento 5 stelle fosse stato invitato.



Ma andiamo con ordine:

MERCOLEDI': convocato per le 15, nell'indifferenza di tutti inizia alle 16. Dura fino alle 20.

GIOVEDI: il consiglio convocato alle 12, inizia con un'ora di ritardo. Anche questo dura poche ore e non si capisce il perche'.

VENERDI': inizio dei lavori alle 12, ma la seduta viene aperta alle 12.45. Alle 15 si interrompe (dopo poco piu' di 1 ora). Pausa di 5 ore e riprende alle 20.15. Via ad oltranza fino alle 11 del mattino successivo (14 ore).



Acnhe uno stupido puo' capire che abbiamo perso 2 giorni e mezzo, fra rinvii e ritardi, per iniziare i veri lavori nella notte di venerdi',ultimo giorno utile per approvare la legge e non perdere "i finanziamenti"....quindi rinvii, ritardi...e poi una corsa senza fermarsi.

O tutto o niente.

Una pressione psicologica per costringere le opposizioni a non dare troppo fastidio ?

O in caso di qualsiasi problema, dare la colpa a pdl e 5 stelle per non aver approvato la legge in tempo ?

o per giustificare, come effettivamente e' avvenuto, la maggioranza Pd a bocciare tutti gli emendamenti e gli ordini del giorno del pdl e del movimento ?

Oppure per aspettare il venerdi' notte quando le agenzie di stampa sono ormai chiuse e rimandare fino a lunedi' le notizie relegandole dopo 3 giorni ad un semplcie trafiletto sulle pagine locali (come per altro candidamente ammesso da uno stesso consigliere della maggioranza) ?



Infatti questo e' avvenuto.

2 giorni e mezzo persi, e poi una corsa finale approvando tutto a suon di colpi di maggioranza. Senza dare un vero ruolo alle opposizioni, ascoltando svogliatamente le loro considerazioni, e poi chiudendo velocemente con una svogliata alzata di mano dei membri della maggioranza e poi liquidando con un lapidario "l'aula non approva".

Di tutta l'armata brancaleone del pdl, solo Storace e Santori hanno svolto il loro ruolo di opposizione, contestando alcuni articoli della proposta di legge e proponendo miglioramenti piu' o meno condivisibili.

I 7 consiglieri del movimento 5 stelle dimostrando competenza e studio approfondito su tutti gli articoli in discussione a turno hanno evidenziato i punti critici e proposto soluzioni migliori. Dall'altra parte, in campo pd lista per il lazio e listino zingaretti, un assordante ed inspiegabile silenzio. Pochissimi i consiglieri di maggioranza che sono intervenuti attivamente al dibattito, se non chiamati direttamente in causa e quindi costretti ad intervenire.

Anche quelli che dovrebbero avere una voce critica, la lista per il Lazio e il listino...tutti compatti e blindati: sembra che il pd e tante listarelle collegate, giunta e maggioranza siano la stessa cosa, quasi un partito unico.

A colpi di voti, senza una reale discussione sui contenuti come piu' volte richiesto dalle opposizioni, il Pd ha lasciato scorrere articolo dopo articolo, approvando tutto come da copione e senza considerare le voci "fastidiose" dell'opposizione(termine usato da un consigliere di maggioranza). Tutti compatti a votare il testo proposto dalla giunta, praticamente senza alcuna modifica.

La maggioranza conferma le decisioni della giunta e le opposizioni lasciate a sbraitare senza la minima considerazione.

Questa nella realta' dei fatti e' la tanto sbandierata voglia di collaborare e condividere un percorso, come magnificato da Zingaretti in campagna elettorale.

Ma finita la campagna elettorale, chi e' in maggioranza e ha i numeri per far passare ogni cosa, la fa da padrone.



In questo modo sono state bocciate tutte le proposte del movimento 5 stelle presentate in aula, che avevano l'unico scopo di andare oltre il recepimento di una normativa nazionale che tagliava i costi della politica. La maggioranza Pd si e' fermata al minimo indispensabile, senza avere il coraggio di fare uno sforzo in piu'. E cosi' hanno tagliato i vitalizi di questa legislatura, ma senza toccare il "diritto" delle legislature precedenti a intascarsi i soldi (Fiorito ringrazia).

Hanno ridotto gli stipendi dei consiglieri, ma senza abbassarli piu' di tanto, giusto una ritoccatina per non scontentare troppo.

Le proposte del movimento 5 stelle avrebbero dato, se accolte, un forte segnale di innovazione come richiesto dai cittadini...e avrebbero permesso di risparmiare milioni e milioni di euro alle casse della regione.



Ma torniamo un attimo alla notte di venerdi'.

Il pdl ha presentato 800 emendamenti che per la maggiorparte dei quali avevano l'unico scopo di cambiare singole parole con dei sinonimi...o che mettevano un punto o una virgola nella frase. Quindi emendamenti assolutamente inutili, come loro stessi candidamente ammettono, ma che fanno perdere molte ore anche solo per poterli bocciare, impegnando tutto il consiglio in una ridicola sfilza di "parere dell'assessore:

negativo. pongo in votazione. favorevoli ?contrari ? astenuti ? respinto. passiamo all'emendamento successivo".



Ad un certo punto e' stata convocata la riunione dei capigruppo. E' apparsa dal nulla una lista di soli 15 emendamenti, quelli realmente utili (15 su 800!)...frutto probabilmente di un accordo precedente. Pd e Pdl hanno poi discusso quale di questi emendamenti accettare a scatola chiusa e quali avere almeno la compiacenza democratica di discuterli in aula. Quindi ok del pdl a ritirare 800 emendamenti inutili e tenere solo questi "magici" 15. Il pd ringrazia.

Per essere chiari: noi ritiriamo 800 emendamenti e non vi facciamo saltare il limite di approvazione della legge, e voi ce ne fate passare 15 sicuri. Altrimenti li lasciamo tutti e 800 e vi facciamo stare qui una settimana a perdere tempo.

Semplice, vero ?

Tutto sembrava andato bene. Peccato che poi, durante la seduta, alcuni di questi emendamenti vengono portati in discussione in aula...e inaspettatamente c'e' il rischio che l'assemblea voti contro. Forse chi ha partecipato alla "contrattazione" non ha poi spiegato ai suoi gregari di partito.

Le comiche. E' tutto nelle registrazioni (almeno queste pubbliche)....

nelle quali si vede un momento di crisi quando il pdl accusa "ma c'era un accordo" e il capogruppo pd in evidente imbarazzo che dice che l'accordo non c'era. Sono andati avanti un po', nell'imbarazzo di tutta l'aula che forse non capiva.

Si arriva alla votazione e si vede per la prima volta il pd spaccato in una votazione a favore e contraria....chi sapeva dell'accordo ha votato a favore, gli altri contro.

Le comiche.



Noi del movimento 5 stelle abbiamo proposto in tutto 40 emendamenti migliorativi e costruttivi e li abbiamo ogni volta illustrati e commentati.

Nessuna risposta da parte della maggioranza.

Solo qualche intervento qua e la', che aveva lo scopo di darci dei "populisti" (perche' proponevamo di tagliare gli stipendi per portarli a 2700 euro al mese, come attualmente percepiamo noi per nostra scelta),

oppure per dirci che eravamo troppo dettagliati nei nostri interventi: abbiamo citato leggi e le sentenze della corte costituzionale per dimostrare che il vitalizio non e' un diritto acquisito ma un privilegio, quindi rinunciabile.

Ma per loro forse era troppo difficile da capire.

Dai banchi del pdl e del pd, voci ironiche che confermavano la poca comprensione di una vera spiegazione giuridica. Forse pensano davvero di non essere in un'assemblea legislativa, e che per fare le leggi, basta avere una conoscenza sommaria della normativa giuridica....o essere eletti senza nemmeno una preparazione per il lavoro che si svolge...forse per alcuni consiglieri regionali e' davvero cosi'.

Ma non eravamo noi quelli ingenui ed inesperti ? Non eravamo noi quelli che senza una scuola politica o senza anni di gavetta in qualche consiglio comunale (leggi intrallazzi nelle stanze che contano) ci saremmo sciolti come neve al sole ?

E invece, dopo soli 3 mesi, facciamo interventi in aula dimostrando competenza e serieta'.



A proposito: molte volte la maggioranza non aveva il numero legale (circa 18-20 presenti). Questo significa che il consiglio regionale non era valido. Abbiamo presentato ad un certo punto una richiesta scritta per chiedere il conteggio, come prevede la normativa.

Il presidente del consiglio riceve la nostra richiesta scritta, ma continua imperterrito a porre in votazione gli emendamenti, uno dopo l'altro. Per prendere tempo. Poi ad un certo punto interviene un consigliere che chiede una sospensione della seduta, subito accolta in meno di pochi secondi.

Questo come capite bene ha permesso, al ritorno in aula dopo svariati minuti, a riavviare le attivita'.

Naturalmente, ADESSO si va al conteggio... i numeri di consiglieri presenti in aula erano sufficienti e di molto sopra il numero legale.

Pensate quanti telefoni sono squillati a quell'ora della notte e quanti consiglieri hanno dovuto correre alla pisana in tutta fretta.

Questo e' il comportamento scorretto che e' avvenuto. Perche' il presidente del consiglio non ha richiesto subito, come da statuto e regolamenti, il conteggio nominale dei presenti ?



Questa un'altra "stranezza", fra tante.



Per passare poi da un ridicolo tentativo di un esponente del Pd di inserire una modifica della legge elettorale, che non c'entrava assolutamente nulla nella legge 9 in discussione, poi smentito con un certo imbarazzo dal suo stesso partito.

Oppure un altro ridicolo tentativo, questa volta del pdl, di inserire prima un emendamento e poi un ordine del giorno per accorpare due parchi (anche questo non c'entrava nulla con la legge 9), con la scusa della riduzione dei costi....ma che forse nascondeva altri interessi e altre vicende.

Oppure lo spostamento di alcuni articoli della legge, dopo le ore 22, per permettere ad un consigliere di partecipare a non si sa quale impegno personale. Oppure una sospensione di 5 ore stranamente in contemporanea con un importante matrimonio.



Ultima nota "divertente"...ad un certo punto della notte o del mattino, Zingaretti sta per votare un ordine del giorno del movimento 5 stelle che denuncia una grave irregolarita' (in violanzione di una norma costituzionale) nella nomina di un alto dirigente regionale (Tardiola) fortemente voluto dal Presidente stesso per riformare la macchina amministrativa. Zinga molto convinto di "difendere la costituzione" da' parere positivo...poi nel giro di pochi secondi in tutta fretta arriva un consigliere di maggioranza che lo avvisa nell'orecchio dell'"errore"...e subito il nostro Zinga esce con un "ho cambiato idea, parere contrario". Per poco non lo abbiamo preso in castagna



Tutto questo in una sola seduta del consiglio regionale.

Forse alla fine e' solo una roulette, truccata.

Chi ha il potere di decidere a suo piacimento orari di inizio e fine delle convocazioni, chi si nasconde e vota ben compatto dietro i numeri della maggioranza, chi ha la conoscenza dei meccanismi di ostruzionismo

e li usa senza nemmeno troppa logica, chi da anni si muove nelle stanze del potere e ha alle sue spalle conoscenze ed amicizie nella macchina

amministrativa regionale.... VINCE.

Chi e' fuori da tutti questi giochi, chi vuole restare sempre onesto e trasparente, chi pensa solo agli interessi dei cittadini, votando non sulla base di chi propone un emendamento ma valutando di volta in volta

se e' valido o meno....PERDE.



Questa e' quello che c'e' dentro la scatola di tonno che abbiamo aperto ormai 3 mesi or sono.

Questa e' la ruolette truccata che vediamo ogni giorno.

Siamo in guerra, e il movimento 5 stelle non si fermera' mai.





Leggi e commenta: http://www.beppegrillo.it/listeciviche/liste/lazio/2013/06/dentro-la-stanza-dei-bottoni-scopriamo-una-roulette-truccata.html









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martedì 18 giugno 2013

Come ottenere la pensione di reversibilità


A. Requisiti

Il coniuge divorziato, in assenza di un coniuge superstite, ha la possibilità di agire direttamente, in via amministrativa, nei confronti dell'ente erogatore della pensione senza ricorrere al Giudice [1].


Presupposti imprescindibili [2] per la domanda sono:

-la morte dell'ex coniuge,

-l'anteriorità, rispetto alla sentenza di divorzio, della costituzione del rapporto di lavoro, cui si ricollega la pensione;

-il mancato passaggio a nuove nozze del coniuge divorziato;

-titolarità dell'assegno di divorzio.



Il requisito dell'assenza di nuove nozze

Le nuove nozze hanno l'effetto di precludere il riconoscimento della pensione anche se esse non siano più in corso, per morte, divorzio o altra ragione, nel momento in cui la pensione di reversibilità deve essere attribuita [3].

Il requisito delle nuove nozze deve intendersi in senso formale, con esclusione della convivenza [4].



Il requisito della titolarità dell'assegno di divorzio

L'ex coniuge del divorziato deve essere effettivamente titolare, al momento in cui si verifica il decesso, di un assegno di divorzio derivante da una effettiva decisione giudiziale. Coloro che trovandosi nelle condizioni per avere l'assegno non agiscano giudizialmente perdono il diritto alla reversibilità.



Tale assegno deve esser stato concesso direttamente in favore del coniuge, ai sensi dell'art.5 L. n.898/70 e non al coniuge stesso per il mantenimento dei figli (quindi ai sensi del successivo art.6).



È indifferente l'entità dell'assegno, anche una minima erogazione è sufficiente ad integrare il presupposto.



Perdono il diritto alla reversibilità tutti coloro che erano già titolari dell'assegno, ma per effetto di successive modifiche alle condizioni di divorzio, questo gli sia stato revocato prima della morte della parte obbligata.



B. Procedura amministrativa

Trattandosi di un autonomo diritto previdenziale, il richiedente deve possedere anche i requisiti richiesti dalle leggi previdenziali vigenti per l'attribuzione del trattamento di reversibilità.



La domanda alla pensione di reversibilità in favore del coniuge divorziato di pensionato privato è proposta nei confronti dell'INPS. Ad essa deve essere allegata copia autentica della sentenza di divorzio, nonché la documentazione comprovante la titolarità dell'assegno di divorzio.



L'ente previdenziale, ricevuta la domanda, verifica la sussistenza dei presupposti in capo al richiedente. In tal caso, la domanda è definita e liquidata in favore del coniuge divorziato previa annotazione sul fascicolo della pensione.



Concorso con i figli del pensionato

Nel caso in cui dalle verifiche emerga la presenza di altra domanda presentata dai figli del pensionato, i relativi fascicoli sono riuniti e l'ente provvederà a ripartire il trattamento tra i diversi beneficiari.

Sede competente a liquidare la pensione è in ogni caso quella presso la quale è stata presentata la domanda da parte del coniuge divorziato.



Se, invece, la pensione ai figli del pensionato era già stata autonomamente liquidata in loro favore l'ente dovrà procedere ad una nuova ripartizione anche in considerazione del coniuge divorziato.



Divorziato superstite di pensionato pubblico

In questo caso la pensione di reversibilità viene assegnata direttamente dall'Amministrazione [5].



Anche qui, alla domanda va allegata copia autentica della sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, dalla quale risulti l'effettiva titolarità dell'assegno di divorzio, nonché una dichiarazione nella quale il richiedente affermi, sotto la proprio responsabilità, di non aver contratto un successivo matrimonio e che non esiste un coniuge superstite avente i requisiti per la domanda di attribuzione della pensione di reversibilità.



C. Procedura giudiziale

Nel caso di concorso tra coniuge divorziato ed ex coniuge l'intervento del Giudice è indispensabile per la ripartizione delle quote della pensione di reversibilità [6].



Il concorso può aversi solo se il coniuge divorziato percepisca il relativo assegno.

Nel caso in cui tale assegno per il coniuge divorziato manchi, perché non attribuito o concesso unicamente per il mantenimento dei figli, non si determina alcun concorso ed il coniuge effettivo superstite percepirà integralmente il trattamento pensionistico.



L'onere di adire il Giudice spetta all'ex coniuge, poiché l'ente previdenziale non è tenuto a conoscere la situazione familiare pregressa del titolare di pensione e in mancanza di azione, può attribuire integralmente la pensione a chi risulti coniuge al momento della morte.
La decisone del Giudice è necessaria anche nel caso di accordo tra i due.

Il procedimento seguirà il rito della Camera di Consiglio, la domanda andrà proposta con ricorso ex art.737 ss. c.p.c. e si concluderà con sentenza.

Non occorre la chiamata in causa dell'ente pensionistico al fine di rendere la sentenza immediatamente opponibile allo stesso [7].



Nel diverso caso in cui il processo sia instaurato dal coniuge divorziato nei confronti sia del coniuge superstite che dell'ente erogatore, il Foro competente può essere, ai sensi dell'art.20 c.p.c., anche il luogo dove l'ente ha la propria sede. Ciò perchè la parte istante fa valere un diritto proprio nei confronti di entrambi. L'ente pensionistico, così, diviene parte necessaria del procedimento e destinatario della decisione adottata.

Se a conoscere la domanda nei confronti dell'ex coniuge è competente il Tribunale Ordinario, in quanto non ha natura previdenziale, a conoscere della domanda avanzata nei confronti dell'ente pensionistico è il Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro. In tal caso "il rito del lavoro" risulta prevalente ex art.40, co.3, c.p.c.

La sentenza ha natura costitutiva con efficacia retroattiva.

Determinazione della quota dovuta all'ex coniuge

L'art.9 L.898/70 stabilisce il criterio della "durata del rapporto".

La Corte di Cassazione, nel 2006, ha sostenuto la necessità di considerare altri elementi, tra i quali la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali. Come criteri correttivi possono essere utilizzati anche gli elementi desumibili dall'art.5 della L.898/70, tra cui l'ammontare dell'assegno dovuto prima del decesso dell'ex coniuge e le condizioni economiche e personali dei soggetti coinvolti [8].
Revisione del quantum

Secondo la Giurisprudenza, la decisione sulla ripartizione delle quote tra ex coniuge del divorziato e coniuge superstite non è modificabile per effetto di circostanze sopravvenute. In quanto la decisione è assunta con esclusivo riguardo alla situazione esistente al momento del decesso e tutto ciò che avviene in epoca successiva è irrilevante [9].

Pertanto, la sentenza resta soggetta agli ordinari strumenti processuali previsti per la sua impugnazione, ma non alla revisione prevista dall'art.9 L. n.898/70.
[1] Direzione Generale dell'INPS, circ.53644 del 9 novembre 1987

[2] L. n. 436/1978

[3] Art.5 L. n.898/1970

[4] Cass. sent. n. 4204 del 2 maggio 1994

[5] Circ. n.26/1990 del Ministero del Tesoro

[6] Art.9, co.3, L. n.898/1970

[7] Cass. sent. n. 6272 del 30 marzo 2004

[8] Cass. Sent. N. 18199 del 18 agosto 2006; Cass. Sent. N. 4867 del 7 marzo 2006

[9] Cass. sent. n. 17248 del 28 luglio 2006

Fonte: Come ottenere la pensione di reversibilità

(StudioCataldi.it)

mercoledì 12 giugno 2013

VIOLENZA DOMESTICA E FEMMINICIDIO. COSA ACCADE?

In breveIl termine “femminicidio”, nato in occasione della strage delle donne di Ciudad Juarez, indica la violenza fisica, psicologica, economica, istituzionale, rivolta contro la donna «in quanto donna». Il testo illustra le tesi elaborate in Centroamerica sulle cause del femminicidio ed espone i meccanismi di indagine e di denuncia, i risultati di ricerche locali, le politiche sviluppate, la richiesta di riconoscimento giuridico del femminicidio come specifico reato e crimine contro l’umanità.


http://www.abcpsy.it/violenza%20%20domestica%20e%20femminicidio%20%20cosa%20acccade.html
http://ragionimaschili.blogspot.com/2012/05/il-femminicidio-e-una-scellerata-bugia.html

lunedì 10 giugno 2013

«Femminicidio» e/o «femmicidio»?Tuttavia in pochi ricordano l'elenco dei novantadue casi di «maschicidio» o i casi di omicidio di donne da parte di altre donne.

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«Femminicidio» e/o «femmicidio»?

La violenza omicida degli uomini nei confronti delle donne è un fatto di vaste proporzioni; solo in Italia nel 2005 si sono contati ottantaquattro casi e ben centoventi nel 2012. Tuttavia in pochi ricordano l'elenco dei novantadue casi di «maschicidio» o i casi di omicidio di donne da parte di altre donne.
Come mai? Il drammatico e doveroso computo degli esecrabili casi di «femminicidio» non dovrebbe oscurare la riflessione su una violenza che appare generalizzata, per una comprensione più oggettiva e autentica della crisi che colpisce la nostra società a ogni livello. Lo sostiene il giornalista d’inchiesta Pier Giorgio Liverani, già direttore di Avvenire, in un suo studio che appare sul n. 627 del mensile Studi Cattolici (maggio 2013).
Concentrandosi nell’analisi più specifica del «femminicidio», il notista, che è anche membro del Movimento per la vita, si chiede, poi, se i doverosi sforzi per la tutela della donna non siano oggi minacciati da un pericolo sotterraneo. Meglio «donne» o«cittadine»? Prendendo spunto dall'affermazione della giornalista blogger Sarah el Sirgany, Liverani sposta allora l’attenzione sul dramma del «femmicidio», cioè l'ostinata, reiterata e sottaciuta «uccisione non fisica ma ideologica, antropologica, dell'idea stessa di Donna», intesa, cioè, non come «mera femmina», prodotto casuale e sindacabile di un cieco processo biologico, ma come domina, Signora del Creato.
A lei appartiene una dignità del tutto particolare che certe mode femministe o il contraddittorio «diritto al figlio/diritto di abortire» e le teorie sul gender oggi stanno più o meno consapevolmente negando. La preferenza per l'essere «cittadina», ostentata con orgoglio, insinua nella società un indifferentismo che, negando la specificità connaturale dell'essere Donna, ne ferisce la dignità, ne limita la grandezza e nega la sua alta vocazione. «I cittadini, infatti, – chiosa Liverani – non hanno sesso e perciò, se tali fossero, le donne rischierebbero di valere soltanto quanto gli uomini».



MIA RIFLESSIONE:- LA LEGGE SUL DIVORZIO VA RIVISTA.......

mercoledì 5 giugno 2013

Delitto al femminile


http://www.cinziatani.it/2011/01/06/delitto-al-femminile/


Assassine
Le donne assassine rappresentano il 10-15% della totalità degli assassini. Il numero maggiore (12-15%) viene raggiunto negli Stati Uniti.
Come spiegare questi dati?
1) Mancanza di studi.


La maggior parte degli studi e dei dati prodotti sul delitto si sono sempre concentrati sugli uomini, poiché ci si basava sull’idea che i maschi sono più aggressivi, violenti e portati alla criminalità delle donne. I reati di violenza non sembrano essere facilmente conciliabili con il concetto tradizionale di comportamento femminile. L’assassinio e altri atti violenti contro le persone fisiche sembrano in completa antitesi con il delicato, riservato, protettivo ruolo del sesso femminile.
Inoltre gran parte degli studiosi e dei ricercatori e criminologi erano uomini. ed è sempre stato difficile per loro ammettere l’esistenza del crimine femminile. L’uomo nasce dalla donna e l’idea che la donna possa essere il nemico fa paura. L’omicidio femminile veniva considerato un’aberrazione. Per molti si trattava di atti involontari. Le donne venivano viste come essseri vulnerabili, incapaci di malvagità. La violenza era un universo esclusivamente maschile: le donne e i bambini ne erano le vittime. Tradizionalmente le donne non sono educate all’aggressività bensì alla passività. Tutti i condizionamenti sociali fanno sì che le donne passino raramente all’atto delittuoso. Per molto tempo si è ritenuto che la donna fosse incapace di uccidere. Si teorizzava una sorta di differenza biologica tra i due sessi. Il corpo femminile, predisposto per accogliere e dare la vita, non poteva essere in grado di toglierla.



E’ chiaro quindi che molte interpretazioni sulla violenza femminile siano state condizionate dalle proiezioni di come si pensava fossero le donne più che su quello che erano e si è poco studiato quanto i cambiamenti nelle condizioni sociali abbiano modificato la personalità femminile.



2) Il numero oscuro.



I delitti commessi dagli uomini sono più numerosi di quelli commessi dalle donne ma i dati si basano sui casi risolti. Chi sa quante sono state veramente le assassine? Molte donne uccidevano con il veleno (come cuoche avevano molte possibilità di avvelenare le loro vittime senza essere scoperte) e per molto tempo non è stato possibile distinguere i sintomi da avvelenamento da quelli di una grave intossicazione. Inoltre in caso di concorso in omicidio la partecipazione della donna sarebbe più facilmente mascherata dal ruolo più nascosto e anche dall’atteggiamento di omertà e di protezione dell’uomo nei suoi confronti. Ecco perché si è parlato (Pollack) di criminalità femminile mascherata o dietro le quinte, poiché un comportamento femminile frequente è quello del favoreggiamento e dell’istigazione, della manipolazione, un modo di non esporsi in prima persona. Secondo lui le donne commettono lo stesso numero di delitti degli uomini ma vengono raramente scoperti, riportati o perseguiti. Inoltre donne che nascondono le mestruazioni o fingono l’orgasmo possono mentire a proposito di ogni cosa, e sono vendicative. Secondo lui è la cavalleria maschile che impedisce alle donne di essere perseguite dalla legge.



Ma se anche è esistita una tale cavalleria oggi non esiste più. Le donne sono perseguite e ricevono le stesse condanne degli uomini.



3) La diversa posizione della donna nella società.



La donna è stata meno attiva dell’uomo nelle attività relazionali, ha avuto un ruolo più appartato, questo ha comportato una sua minore partecipazione al comportamento delittuoso perché meno esposta agli stimoli ambientali.



Con questo però non si può dire che aumentando la partecipazione della donna alla vita sociale ci sia stato un conseguente aumento della criminalità femminile. Alcuni studiosi ritengono che il più largo accesso al lavoro non ha cambiato radicalmente il tradizionale ruolo dipendente della donna. E’ quindi cambiata la posizione sociale della donna mentre il ruolo e la funzione specifica della donna in famiglia e nei riguardi dell’uomo è rimasta immutata.



4) La diversa struttura biopsichica dei due sessi.



L’inferiorità fisica media delle donne avrebbe come effetto psicologico quello di farle astenere da azioni violente.



Secondo l’interpretazione psicologica, la donna tende a tradurre in senso nevrotico, con ansia, depressione, instabilità emotiva, la conflittualità provocata da fattori disturbanti ambientali laddove l’uomo risolve la tensione con l’azione. La parità sociale permette oggi alle donne di difendersi e di scaricare l’aggressività con sistemi che erano di esclusiva competenza maschile.



La fragilità predisponeva la donna all’astuzia. La sua forza stava nella finzione e nel calcolo. Ciò ne faceva una assassina con premeditazione che metteva in opera i suoi misfatti dietro la maschera dell’innocenza, dell’amore e a volte perfino della pietà.



Il padre della moderna criminologia, Cesare Lombroso, ha studiato il crimine femminile nel suo saggio “La donna delinquente, la prostituta e la donna normale” (1893). Ha diviso le donne in buone e cattive. E ha cercato di individuare i segnali fisici della “cattiveria” femminile. Secondo lui la donna criminale ha caratteristiche fisiche che la avvicinano agli uomini più che alle donne normali. Sono le caratteristiche della “delinquente nata”.



La donna è irrimediabilmente inferiore all’uomo sotto tutti gli aspetti, da quello biologico a quello creativo ecc. La donna è addirittura un uomo arrestato nel suo sviluppo. Elenca infinite mostruosità antropometriche e fisiognomiche sia pure cautelandosi con la riserva che le anomalie, specie quelle esterne, erano più difficili da riconoscere finché perduravano nella donna la bellezza della gioventù e la freschezza delle carni.



Afferma però: “Un modo poi di diminuire alcuni delitti speciali alle donne, delitti di suggestione o di passione, come l’avvelenamento del marito, sarebbe quello di facilitare il divorzio per incompatibilità di carattere, di cambiare le leggi sul matrimonio che mettono la donna in una situazione di troppo grande inferiorità rispetto all’uomo”.



Se la donna è inferiore all’uomo in tutti gli aspetti della vita allora però dev’esserlo anche sul terreno del crimine. La donna criminale riproduce alcuni tratti maschili e a questi caratteri virili vengono ad aggiungersi spesso “le qualità peggiori della psicologia femminile: l’inclinazione alla vendetta, l’astuzia, la crudeltà, la passione per il vestiario, la menzogna, il rancore, l’inganno, formando così frequentemente dei tipi di una malvagità che sembra toccare l’estremo”. Riteneva che le donne fossero più crudeli dell’uomo e portate ad essere vendicative, feroci e fredde. La donna omicida gioca con l’idea di disporre della sua vittima per ragioni che le sembrano giuste ma possono non esserlo per un uomo. Se decide di uccidere è capace di giustificare l’atto a se stessa e inventare una propria moralità adatta a quel particolare caso.



Secondo Lombroso la prostituzione che nel passato era prerogativa esclusivamente femminile era l’equivalente sostitutivo del delitto, il modo che la donna aveva di esprimere il suo disadattamento alla vita di relazione. Nel maschio le difficoltà ambientali avrebbero favorito il comportamento delittuoso e nella donna la prostituzione.



A proposito dell’insanità mentale, nella seconda metà dell’ottocento si cominciò a isolare due fattori: le condizioni che predispongono la persona all’insanità e l’evento che la fa precipitare. Nel 1867 si tenne un congresso internazionale in cui venne redatta una lista delle condizioni predisponenti alla insanità mentale: grande differenza d’età fra i genitori, influenza sessuale, ambiente, convulsioni o emozioni della madre durante la gestazione, epilessia, altri disturbi nervosi, gravidanza, lattazione, periodo mestruale, età critica, pubertà, intemperanza, malattie veneree, onanismo. Fra le cause scatenanti: epilessia, disordini mestruali, gravidanza, parto, lattazione, febbri, ferite alla testa o alla spina, superlavoro.



Da rilevare come ogni fase della vita della donna era elencata sia nelle cause di insanità sia nelle condizioni che scatenano l’evento. Insomma, la donna era quasi naturalmente insana e quindi facilmente una criminale. Il rapporto tra utero e cervello era considerato strettissimo. Le mestruazioni potevano portare ad impulsi verso la cleptomania, la piromania, il furto, l’omicidio, il suicidio.



La sindrome premestruale che comporta depressione, irritazione e ostilità nella donna contribuisce secondo gli ultimi studi a rendere la donna più aggressiva. Lombroso dava credito a questa teoria. Nel 1945 uno studio rilevò che l’84% dei crimini violenti commessi dalle donne sono commessi durante il periodo premestruale e mestruale. (Vito e Holmes). Ma le ricerche contemporanee non trovano alcun supporto a tale teoria.



5) Evoluzione del delitto femminile



Negli ultimi anni sono stati moltissimi gli studi di stampo femminista sul delitto commesso dalle donne. L’accento è posto soprattutto sull’ambiente sociale e familiare della donna e sulle condizioni sociali e familiari svantaggiate che l’avrebbero portata al delitto.



Solo recentemente certi criminologi hanno cominciato a considerare l’importanza dell’influenza delle strutture sociali sul crimine femminile. E fra queste influenze il denaro sembra essere il movente fondamentale degli omicidi commessi dalle donne.



I delitti commessi dalle donne cambiano con l’emancipazione femminile. L’omicidio non è più l’unica via di fuga per la donna che vuole sfuggire a un padre autoritario, non è più costretta dalla famiglia a sposare uno sconosciuto. Per la donna l’omicidio non è più l’unica via d’uscita a una situazione altrimenti insostenibile.



Le motivazioni ed i percorsi del delitto femminile erano diversi fino a cinquant’anni fa, oggi somigliano sempre più a quelli maschili. Le donne uccidono ormai per gli stessi motivi per cui una volta uccidevano gli uomini: rabbia, violenza, aggressività, impulso, sconfitta, rivalità, ambizione, invidia ecc. E con gli stessi mezzi: pistola, coltello.



Gli infanticidi sono commessi soprattutto da donne e i crimini contro i genitori vedono uomini e donne alla pari. I delitti all’interno della famiglia sono compiuti per un terzo dalle donne.



Nel 1970, dopo la liberazione femminile, c’è stato un aumento nei delitti commessi dalle donne. Forse non si è trattato di un vero aumento ma di una maggiore visibilità. Eppure Freda Adler nel suo famoso libro del 1975 “Sister in crime” sostiene che la rapida crescita della criminalità femminile altro non è che il lato negativo della liberazione. Le donne liberate si affretterebbero ad emulare gli uomini. In realtà non c’è stato un grande aumento in assoluto se si considerano i dati totali relativi alla criminalità, la percentuale degli omicidi femminili rispetto alla totalità degli omicidi era ed è rimasta del dieci-quindici per cento. Sono aumentati però gli arresti, questo vuol dire non tanto che sono aumentati i crimini delle donne quanto l’atteggiamento della giustizia verso questi crimini.



Le bambine e le ragazzine, le girl gangs, sembrano addirittura decise a recuperare il tempo perduto e lo svantaggio accumulato rispetto ai coetanei maschi violenti. Le statistiche dell’Fbi rivelano che la criminalità giovanile fino ai 15 anni è in diminuzione ovunque e specialmente i crimini violenti come omicidi e stupri calano. Dovunque meno che tra le femmine dove gli arresti per omicidio sono addirittura raddoppiati dal 1990.



“Se le donne sono in grado di fare il marine o il pilota di bombardiere, non si vede perché non debbano sentirsi autorizzate a uccidere nella vita civile come i maschi”, ha commentato con sarcasmo Camille Paglia, autrice antifemminista. “Non sono piccole Thelma e Louise, sono figlie dello stesso abbandono famigliare, degli stessi ghetti morali e urbani che partoriscono i baby killers maschi”.



Perché uccidono



Gli uomini sono sempre stati più violenti, più impulsivi, hanno ucciso in accessi di rabbia, in risse, in raptus alcolici, nel corso di rapine, per commissione. Hanno ucciso per ambizione, rivalità, perdite al gioco, dopo una sconfitta.



I motivi dei delitti commessi dalle donne, a parte quello economico, sono state di solito le grandi passioni: odio, amore, vendetta. Per amore di un uomo uccidevano il padre tiranno o il marito, per vendetta e quindi odio uccidevano l’amante che le tradiva o le abbandonava. Ormai i moventi delle assassine sono svariati come quellii degli assassini: denaro, vendetta, potere, eseguire degli ordini, delusione, piacere, autodifesa, psicopatia, depravazione, rivalità.



Le donne che uccidevano trovavano soluzioni estreme a problemi con cui migliaia di donne convivevano in maniera pacifica ogni giorno.



Rudyard Kipling ha scritto che la femmina di ogni specie animale è più implacabile del maschio. Ed è vero. L’omicidio femminile veniva pensato a lungo e la donna non rinunciava mai, neppure conoscendo perfettamente i rischi che correva.



La donna era più lucida, determinata nel delitto degli uomini.



Il movente più consueto nel passato e soprattutto nel passato inglese, durante l’epoca vittoriana, era il desiderio di liberarsi del proprio marito. Erano mariti traditori, possessivi, gelosi che tenevano le proprie mogli nell’assoluta dipendenza anche economica. Succedeva che finalmente la donna incontrava l’amore e per quell’amore era disposta a fare di tutto, anche ad uccidere. La donna era pienamente consapevole delle conseguenze penali (la morte) nel caso fosse stata scoperta ma non rinunciava, la passione era più forte di qualsiasi altra cosa. Preferiva l’idea della morte all’idea della rinuncia.



Ma ci sono sempre state anche donne che hanno ucciso per il denaro o per il semplice desiderio di sperimentare il proprio potere di vita e di morte. Se le donne che uccidevano i mariti o i figli erano definite mostri, queste donne erano considerate uomini. I loro erano delitti maschili.



Il racconto della vita delle donne omicide dimostra che gran parte di loro non sono affatto donne comuni, alcune hanno avuto un’infanzia drammatica, altre hanno ucciso perché provocate per lungo tempo, alcune soffrivano di sdoppiamento della personalità, altre erano succubi di passioni indomabili, altre ancora erano spinte da una naturale propensione all’omicidio. In ogni caso non si è mai trattato di donne comuni.



Le donne hanno sempre avuto meno interesse per certe passioni che hanno mosso gli uomini come l’ambizione, il gioco, l’alcol, la sconfitta. Quindi moventi di questo genere sono meno comuni nei delitti femminili. Sicuramente invece lo sono la cupidigia e l’amore, la gelosia e la vendetta. In genere però le donne commettono delitti per cupidigia insieme all’uomo, sia esso il marito o l’amante.



Come uccidono



Le donne, non essendo forti come gli uomini, storicamente hanno dovuto ricorrere a maniere di uccidere più originali e tortuose. E l’arma storicamente preferita era il veleno, quindi l’omicidio durava molto tempo, veniva centellinato.



L’arsenico è un elemento chimico diffuso in natura, di solito associato a minerali metalliferi. Ha fatto innumerevoli vittime, forse anche Napoleone Bonaparte, che può essere rimasto fatalmente avvelenato dall’arsenico dietro la tappezzeria del soggiorno della sua prigione a Sant’Elena. Ma è anche stato variamente utilizzato in medicina e in altri campi. Per esempio, nel sedicesimo secolo, la regina Elisabetta I usava l’arsenico come cosmetico, applicandoselo sul viso per renderlo candido. Nel 1786 il dottor T. Fowler riferiva dei giovamenti procurati dall’arsenico in casi di febbri e cefalee sporadiche. La Medicina di Fowler nell’ottocento era dunque un tonico popolare. Il vocabolo greco da cui deriva arsenico, arsenikon, significa potente. Molti uomini pensavano che l’arsenico aumentasse la loro virilità come una specie di afrodisiaco, motivo per il quale cominciavano ad assumerlo ma poiché si tratta di una sostanza che dà dipendenza non potevano più staccarsene.



L’arsenico fino al 1840 non poté essere rivelato da alcun esame. Per esempio in Inghilterra, tra il 1850 e il 1890, 41 donne sono state giustiziate di cui 26 si sono servite del veleno, arsenico nella maggior parte dei casi, per uccidere le loro vittime.



L’arsenico veniva mescolato alla minestra o versato nel caffè o nel cioccolato. Impossibile distinguerne il gusto se la bevanda è calda, possibile riconoscerlo invece in qualcosa di freddo. In grandi dosi uccide in qualche ora ma i dolori sono terribili. La vittima soffre di mal di stomaco orribili e di diarrea, è piegato in due da intense convulsioni e a volte gli si paralizzano gli arti. Poiché questi sintomi si potevano verificare anche in diverse malattie era difficile diagnosticare un avvelenamento da arsenico. Oggi l’arsenico non si trova più così facilmente eccettuato in certi pesticidi. Si usa invece il cianuro.



Inoltre le donne criminali tendevano ad usare, nel consumare un omicidio, una minor forza fisica. Difficilmente la donna affrontava direttamente la sua vittima, in uno scontro alla pari. Per esempio erano molto meno inclini dei maschi omicidi a colpire ripetutamente la vittima per provocarne la morte. Se prima uccidevano con il veleno oggi usano anche la pistola, ma raramente il coltello o le mani.



Nel 1651 viveva a Trastevere, all’altezza dell’attuale ponte Mazzini, Giulia Toffana. Conoscva la formula della “manna di San Nicola”, detta anche “acqua Toffana “, un veleno potentissimo. Giulia, assistita da complici addestrate, liberava le mogli dalla tirannia di insopportabili mariti. In pochi anni oltre seicento uomini furono eliminati e la strage fu definita “il sordo macello dei mariti”. Il veleno, era inodore, insapore e trasparente come l’acqua. La pozione, mescolata al vino o alla minestra, provocava vomito, poi febbri altissime, econduceva a morte nel giro di quindici-venti giorni. Giulia avviò alla medesima arte la figlia, Girolama Spera, che superò la madre in perizia e riservatezza. Il segreto, però, non durò a lungo. Il 5 luglio del 1659, La Toffana, sua figlia e le loro complici furono impiccate. Venne poi approvata una legge che richiedeva la registrazione per l’uso e la vendita dei veleni.



Marie Madelaine d’Aubray, Marchesa di Brinvilliers (1630-1676) A 21 sposa il vecchio Antoine Gobelin che la trascura e la tradisce. Dopo aver avuto molti amanti si innamora di Gaudin de Sainte-Croix, un ufficiale di cavalleria privo di scrupoli. Il padre di Marie lo fa chiudere in carcere dove Gaudin apprende l’arte dei veleni. Quando esce di prigione insegna la nuova “scienza” a Marie che la usa per uccidere il padre nel loro castello di Offémont e diversi malati dell’Ospedale Maggiore. Fa poi uccidere due fratelli e una sorella dal suo lacchè La Chaussés. Prova ad avvelenare anche il marito senza riuscirci perché viene salvato da Sainte-Croix che comincia a temere la terribile amante. Sainte-Croix muore nell’esplosione del suo laboratorio. La polizia trova una confessione scritta da Sainte-Croix nel timore di venire anche lui ucciso da Marie. Marie riesce a fuggire e si nasconde in un convento a Liegi. Fu arrestata dal luogotenente Desgrais, braccio destro di Nicolas La Reynie, che può esssere considerato il primo investigatore della storia. Si travestì da abate, riuscì a sedurre Marie e a farla uscire dal convento.



Il processo, nel 1675, appassionò la Francia. Fu letta una confessione che Desgrais aveva trovato nella stanza di Marie in cui lei confessava di aver avuto come amanti perfino i fratelli. Fu condannata a morte. Torturata e impiccata nella pubblica piazza. Marie, in una lunga camicia, con un grosso crocifisso in mano e il cero della penitenza, dovette fare pubblica ammenda. Dopo la sua morte fu oggetto di un vero e proprio culto tra il popolino di Parigi. Molti la ritenevano una santa e correva voce che avesse fatto dei miracoli.



Lo scandalo dei veleni La marchesa di Brinvilliers ha il triste privilegio di aver inaugurato la lista delle avvelenatrici. Al tempo di Luigi XIV, l’impiego dei veleni avveniva quasi senza rischio. Le conoscenze della medicina legale non consentivano di rilevarne le tracce nelle vittime. A quel tempo, quando non c’era divorzio e l’adulterio poteva relegare le donne in convento, le pozioni a base di arsenico erano usate per sbarazzarsi di un marito scomodo e per uccidere un parente da cui ereditare. Per questo i veleni venivano chiamati “polverine di successione”. Questo accadeva in una società in cui sembrava regnare l’ordine e la devozione religiosa. Con la Brinvilliers il secolo di Luigi XIV aveva avuto una dilettante di talento, con Catherine Deshayes, detta la Voisin, scoprì una vera professionista dell’arte di avvelenare. Nata nel 1640 fu bruciata viva nel 1680. Si specializzò nella confezione e vendita del veleno. Con lei e le sue complici l’arte del veneficio raggiunse un livello di perfezione mai eguagliato. L’arsenico poteva essere somministrato attraverso la biancheria intima della vittima, nelle bevande, ma si cospargevano addirittura gli animali domestici con la micidiale polvere.



Il luogotenente Desgrais, sospettando un traffico di veleni, finse di volersi sbarazzare di una moglie noiosa e ottenne una fiala di arsenico. Arrestò subito la donna che gliela aveva data e tramite lei scoprì una grande quantità di case in cui, sotto la copertura della chiromanzia, molte donne si dedicavano a preparare veleni. Il re fece aprire la Camera Ardente: una corte suprema presieduta dal luogotenente La Reynie il cui giudizio era inappellabile e che aveva la facoltà di mandare velocemente i criminali sul rogo.



La camera ardente restò in funzione dal 1679 al 1682 e mandò al rogo 36 persone. Il re lasciò fare a La reynie finchè non venne coinvolta anche la sua favorita, Madame de Montespan che voleva uccidere una rivale. Il re fece chiudere la camera ardente e distruggere gli archivi.



Chi uccidono



Le donne uccidono soprattutto membri della loro famiglia, spesso uomini che hanno abusato di loro per anni. Circa il 90% delle donne in carcere per omicidio hanno ucciso uomini per difendersi da loro.



Se l’amore e la famiglia erano l’ambito in cui la donna viveva e si affermava, amore e famiglia erano anche le sfere in cui si scatenavano le passioni omicide.



Le donne uccidevano più frequentemente mariti, amanti e parenti mentre gli uomini assassinavano per lo più amici intimi ed estranei. La maggior parte dei crimini commessi da donne erano crimini di letto. Avevano la loro origine, in molti casi, nell’amore e nell’odio.



Le donne uccidevano i mariti violenti. Mariti che spesso non avevano scelto e che avevano sposato giovanissime. Mariti che le trascuravano, che passavano la giornata fuori casa, che pretendevano da loro fedeltà e abnegazione, cura e consolazione. Mariti che potevano picchiarle per futili motivi o per raptus alcolici. Queste donne assassine venivano considerate pazze, malate, isteriche o vittime di qualche tensione mestruale. Era raro che ci si chiedesse quale fosse il reale movente del loro delitto. Questi uomini, dopo essere stati avvelenati potevano morire benedicendo la moglie, non sospettando minimamente di lei. Era più facile comprendere il delitto che una donna commetteva per gelosia, per rivalità verso un’altra donna che il delitto contro un uomo che la vessava.



Le donne uccidevano i mariti loro imposti dalla famiglia quando amavano un altro uomo. Poteva essere un precedente fidanzato, magari povero e per questo non accettato dalla famiglia, ma poteva anche essere qualcuno conosciuto dopo il matrimonio. Qualcuno in cui riponevano le loro aspettative d’amore e di comunione. La legge che deprivava le donne di ogni diritto e le rendeva dipendenti dagli uomini le rendeva anche soggette alla tirannia. La donna era stata creata per essere una moglie e una madre e per rendere la casa comoda e felice. Ogni donna che prendeva l’iniziativa sia per votare che per uccidere il marito era “innaturale”. Una donna che viveva una vita indipendente senza la direzione e il controllo di un uomo era considerata un’anomalia sociale. I suoi sacrifici nei confronti del marito e dei figli non venivano neppure riconosciuti, erano espressioni naturali del suo istinto di madre e di moglie.



Una giornalista americana che seguiva i processi per omicidio scrisse che certi matrimoni inscindibili portavano necessariamente al delitto come unica via d’uscita.



Per quanto riguarda la vendetta nei confronti dell’amante, scrive Vincenzo Mellusi: “L’abbandono non rappresenta soltanto la perdita dell’oggetto amato, ma il disprezzo dell’amante e l’umiliazione agli occhi di tutti. La morte della persona amata è per la fanciulla meno crudele dell’abbandono, che riassume tutte le sofferenze morali; perdita dell’amore, disprezzo della sua bellezza, preferenza accordata a una rivale, umiliazione pubblica, resa più dolorosa per il timore di vedere la rivale ridere del proprio dolore”.



E riguardo all’amore George Sand scrisse che la donna che non trova nel matrimonio l’amore cui ha diritto, può cercarlo altrove. Commenta Mellusi: “La donna passionale, che apprende il matrimonio come un episodio dolorante dell’amore, non può votarsi alla fedeltà coniugale che è una semplice convenzione utilitaria… Il dono continuo del suo corpo, senza affetto e senza desiderio, la stanca e la nausea. E da quel momento può benissimo concepire e provare il grande amore, passando dalla castità ignorante all’unione carnale per amore”.



Per una donna delusa nella sua passione l’omicidio appare come un prezzo modesto da pagare per la sua libertà poiché la passione coinvolge la sua intera vita. Senza di essa, lei pensa, la vita sarebbe una lunga morte. Gli uomini sono meno coinvolti dall’amore. Possono andare in pezzi se le cose vanno male ma di solito si riprendono abbastanza presto e il delitto come via d’uscita non rientra nei loro calcoli.



Nel caso di Florence Maybrick, di origine americana, imputata nel 1889 per l’omicidio del marito, avere uno dei migliori avvocati dell’epoca, Sir Charles Russell, non servì. Il giudice, James Fitzjames Stephen, inflessibile verso le donne adultere, disse ai giurati che l’imputata era una donna spregevole che durante la malattia del marito non aveva pensato che a scrivere lettere all’amante. “Tutto questo dovete considerare quando vi chiederete se questa donna è colpevole o no!” I giurati non sapevano però che il giudice soffriva di gravi disturbi nervosi dovuti a una paralisi che l’aveva colpito tre anni prima e non potevano immaginare che poco tempo dopo il processo sarebbe stato ricoverato in manicomio. Non diedero troppa importanza neppure alla confusione mentale che dimostrò per tutto il processo e ai frequenti vuoti di memoria. Il loro verdetto fu di colpevolezza. Florence Maybrick doveva essere impiccata. Fortunatamente la stampa, l’opinione pubblica e il governo americano si mossero per chiedere la commutazione della pena che infine fu accordata nonostante la disapprovazione della regina Vittoria.



Assunta Vassallo proveniva da una delle famiglie più in vista di San Cataldo e il processo per uxoricidio che la vide imputata suscitò grandissimo interesse. La donna aveva un amante di cui era perdutamente innamorata, quando capì che l’uomo stava per lasciarla pensò che se fosse stata libera avrebbe potuto riconquistarlo. Il marito morì per avvelenamento da stricnina nel 1948. Assunta fu condannata a vent’anni di reclusione.



Alcune donne si sono fatte aiutare dall’amante per uccidere il marito. Un gran numero di assassine concepiscono il crimine da sole e colpiscono in segretezza. Non si fidano di nessuno. Spesso considerano l’uomo debole e senza carattere, inutile per la loro implacabile decisione. Sono pochissimi i casi di donne convinte a uccidere da un partner maschile. Esistono molti più casi di uomini convinti da una donna a commettere un delitto. Questo accade soprattutto nei crimini di passione.



Alma Rattenbury, nata in Canada nel 1897, donna molto attraente, sposa un facoltoso architetto molto più vecchio di lei che presto cade in depressione, smette di lavorare e soprattutto di avere rapporti con la moglie. Smette anche di guidare e quindi la coppia deve trovarsi un autista. Questi è un giovanotto di diciannove anni, George, che si innamora, riamato, di Alma. Uccidono il marito. Lei che è ricca riesce ad avere un bravissimo avvocato che la fa assolvere, lui ne ha uno d’ufficio e viene condannato a morte. Una volta uscita dalla prigione, lei non riesce a sopportare l’idea che il suo amante venga ucciso e si uccide a sua volta accoltellandosi sei volte al petto. Quindi non viene a sapere che il giorno dopo anche al suo amante sarà accordata la grazia. Moltissimi anni dopo lui viene arrestato in un bagno pubblico mentre adesca un ragazzino. Tanto amore, tanta passione al punto da morirne e per una persona per cui non ne valeva assolutamente la pena!



Gigliola Guerinoni, ex infermiera, che ha lasciato il marito (il metronotte Andrea Barillari) e ha due figli (Alex e Fabio) arriva a Cairo Montenotte (Savona) e ha una relazione con il contabile Ettori Geri, di 27 anni più grande. Lui abbandona per lei moglie e figli e investe la sua liquidazione in una galleria d’arte per lei. Dalla loro unione nasce Soraya Raffaella. Poi il ménage si allarga a Pino Giustini, arredatore, che va a vivere con loro. Diventa l’amante di Gigliola che nel 1974 lo sposa. Lui vende tutte le sue proprietà per lei e nel 1986 muore misteriosamente. Si sospetta mancata assistenza o cure sbagliate da parte di lei. Viene sostituito da Cesare Brin, proprietario di un’antica farmacia, consigliere comunale, molto ricco. Lascia moglie e figli e vorrebbe sposare Ggliola. Soraya lo odia. Cesare Brin a causa di alcune operazioni sbagliate è rovinato. Scompare il 12 agosto 1987 e viene ritrovato morto in una discarica. E’ stato ucciso a martellate. Bruciato. Al processo Gigliola si difende. Non aveva moventi per uccidere Cesare Brin ormai sul lastrico. Neppure la gelosia per un suo eventuale ritorno dalla moglie, se mai era lui ad essere geloso. Non ha distrutto famiglie. Erano già rovinate e lei ha solo dato rifugio a uomini ormai soli.



Viene assolta per l’omicidio del marito Pino Giustini, a suo parere l’unico uomo che abbia mai amato, e condannata a 26 anni per l’omicidio di Cesare Brin. Secondo l’accusa lei avrebbe ucciso a martellate l’uomo e Ettore Geri l’avrebbe aiutata. Lui viene condannato a 15 anni.



La donna tradita può uccidere la rivale e in questo caso lo fa con premeditazione. Può minacciare l’amante solo per spaventarlo e poi essere trascinata dall’impeto del momento.



Rina Fort: Il 30 novembre 1946 una ventata di orrore allo stato puro attraversò l’Italia intera: la notizia di un orrendo massacro scoperto in un appartamento del civico 40 di via San Gregorio, nella zona di porta Venezia, a Milano. Una donna e i suoi tre figli – un maschietto di sette anni, una bambina di cinque e un altro piccolo di dieci mesi – erano stati trovati ammazzati a colpi di spranga: la moglie e i tre figli di Pippo Ricciardi, commerciante dagli affari incerti, di origine catanese, da qualche tempo immigrato nel capoluogo lombardo. Dall’appartamento, letteralmente a soqquadro e invaso dal sangue, mancano solo pochi gioielli. Il movente non può essere stato la rapina. E allora perché commettere un simile scempio? Perché uccidere anche tre bambini? Perché finire a sprangate un piccolino ancora sul seggiolone, ancora incapace di parlare, che non sarebbe certamente stato neppure uno scomodo testimone?In poche ore il caso è risolto: la belva di via San Gregorio è Caterina Fort, 31 anni, già commessa in un negozio del Ricciardi, da tempo sua amante. Interrogata per 18 ore la donna confessa. Poi ritratta parzialmente le sue ammissioni. Conferma di aver ucciso la moglie di Pippo Ricciardi, Franca Pappalardo, ma nega di aver infierito sui bambini. Per anni, nonostante la condanna all’ergastolo in tre gradi di giudizio, Caterina Fort, detta Rina, sosterrà la sua versione: in quella casa non era entrata da sola, ma con un fantomatico “Carmelo”, amico di Pippo Ricciardi. Dal momento che gli affari andavano male, lei e Pippo avevano deciso di inscenare una rapina, tanto per tacitare i creditori. Alla rapina doveva partecipare anche “Carmelo”. Era stato proprio “Carmelo” a drogarla con una sigaretta forse oppiata. Lei aveva perso la testa e con una spranga – che sempre “Carmelo” le aveva infilato in mano – aveva ucciso la Pappalardo. Ma i bambini no: lei, Rina Fort, non li aveva uccisi.



Fin sul letto di morte, avvenuta nel 1988, Rina Fort ha negato di aver massacrato quelle innocenti creature. La macabra storia di Rina Fort e del suo delitto colpì moltissimo l’opinione pubblica di quegli anni. Molti sottolinearono il contrasto tra il suo delitto ed un altro, avvenuto nello stesso periodo, che appassionò i lettori: quello commesso dalla contessa Pia Bellentani che assassinò l’amante. A Rina Fort fu sempre negata l’incapacità di intendere e di volere, cioè la seminfermità mentale. La stessa fu invece concessa alla Bellentani. Anche la giustizia ha sempre avuto una sua interpretazione di classe: Rina Fort era una poveraccia, la contessa, ovviamente, no!



Maria Pia Bellentani: Per dimenticare Rina Fort, la belva di via San Gregorio, ci vuole il delitto opposto e speculare di villa d’Este. In via San Gregorio l’Italia degli immigrati, dei magliari, della gente senza nome che ha cambiato città, casa, famiglia, che si è fatta largo con le unghie, con i denti nel mercato nero, nella prostituzione, nel furto, per la quale un poliziotto è un signore e il questore un dio inavvicinabile; e a villa d’Este, sul lago di Como, il luogo di ritrovo mondano della Lombardia ricca, di quel “quarto partito” di cui parla De Gasperi che porta il denaro in Svizzera, invita a cena il questore e il prefetto. Non l’alta finanza e la grande industria, intendiamoci, non le grandi famiglie che hanno nella Bastogi e in altre finanziarie il luogo dei loro potere corporato, non i Pirelli, i Faina, i Marinotti, ma il “generone” comasco, gli industrialotti come Carlo Sacchi che ha sposato la ex ballerina tedesca Lilian Willinger e si è presa come amante la contessa Bellentani, moglie di un Bellentani che sarà aristocratico, ma produce salumi. Offesa dalle villanie e dalle volgarità dell’amante la Bellentani aspetta, il 15 settembre 1948, una serata di gala nel fasto di villa d’Este, si avvicina al Sacchi, pronuncia poche parole e lo fulmina con una rivoltellata. La nota snobistica è data dal barone Maurizio de Rotschild che si trova per caso a un tavolo poco distante: è fra i primi a capire che c’è stato un delitto e mormora, senza muoversi: “Ah, ces italiens”. C’è anche Robert Bouyerure, un francese che ha sposato la sarta Biki, della famiglia proprietaria del Corriere della Sera. Il suo infallibile istinto di classe lo fa vvicinare alla Bellentani che ha tentato di uccidersi, a prenderla per un braccio dicendole: “Andiamo madame, è chiaro che si tratta di un incidente”. Non si tratta di un incidente. Ci sarà un processo, ma i cronisti del Corriere della Sera dovranno trattare con cautela e rispetto e la Corte d’Assise accetterà per buona la seminfermità mentale, la condannerà a soli dieci anni poi ridotti a sette. (Giorgio Bocca – Storia della Repubblica italiana – Rizzoli, 1981)



Il figlio



Nel passato, non essendoci una maniera per regolare le nascite, molte donne si trovavano a partorire bambini di cui non potevano occuparsi. A volte erano state violentate o avevano avuto amanti segreti. Era facile nascondere la gravidanza nei vestiti ampi e lunghi. L’infanticidio era molto diffuso. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna queste donne venivano condannate a morte, di solito bruciate vive, perchè il loro non era solo un delitto contro l’uomo, ma uccidere un bambino prima del battesimo era un delitto contro la religione. Era anche il delitto femminile punito più severamente. Oggi l’infanticidio suscita maggiore orrore, allora poteva essere un atto disperato per sopravvivere.



La morte di bambini al di sotto dei 12 anni è nella gran parte dei casi dovuta a maltrattamenti, violenze e abusi da parte di un familiare.



Andreoli: L’infanticidio è sempre stato ritenuto impossibile: le donne che lo commettevano dovevano essere certamente folli, malate di mente, non-donne. Come se soltanto la perdita della femminilità e dell’istinto materno potesse giustificare un delitto del genere. Oggi le donne che abbandonano nei cassonetti i loro bambini sono giudicate dagli psichiatri tutt’altro che pazze e se lo fanno i motivi sono: perché il bambino dava fastidio, perché non era previsto, perché avrebbe complicato la vita.



Ma può esserci anche il desiderio di annullare la sofferenza, il male che una mente turbata dalla depressione può ipotizzare per il figlio: il tentativo di allontanarlo da una previsione catastrofica dell’esistenza.



Sono quasi sempre le madri a uccidere i figli minori e quasi sempre bambini che hanno meno di un anno.



Famoso in Francia, il caso di Denise Labbè che nel 1954 uccise la sua bambina affogandola nella tinozza per lavare i panni. Denise era bella, giovane, corteggiata. Il padre morì affogato in uno stagno. Fu messa incinta da un giovane medico che la abbandonò. Lavorò per mantenere la bambina che amava molto. Poi si innamorò di un bell’ufficiale con strane idee sulla supercoppia e sui sacrifici che una donna deve fare per dimostrare al suo uomo che lo ama. Lui le chiese di sacrificare la bambina. Dopo vari tentativi andati a vuoto Denise eseguì il compito. Affogò la bambina che adorava nella tinozza per lavare i panni. La stessa tinozza fu portata in tribunale durante il processo per dimostrare quale fosse l’agonia di un bambino affogato in quel modo. L’assassina fu condannata all’ergastolo e Jacques Algarron a vent’anni di lavori forzati. Al processo ci si chiese se era più colpevole una giovane ignorante e ingenua che uccide la propria figlia per compiacere l’amante o l’uomo colto e seduttore che pretende il sacrificio supremo pena l’abbandono?



A commettere un infanticidio è:



· La donna malata di mente: ha problemi a controllare la propria aggressività forse originata da una relazione disturbata con i suoi genitori.



· La madre gelosa: donna gelosa del proprio bambino e delle attenzioni che riceve dagli altri. Questa donna può essere stata trascurata nell’infanzia.



· La madre vendicativa: La donna, non potendo punire il marito che considera onnipotente e dal quale si sente tradita o trascurata, si rifà sui soggetti più deboli della famiglia: uccide i figli, elimina la stirpe dell’uomo.



Magari la donna si sente l’elemento debole in famiglia, magari ha poca voce in capitolo nell’economia della casa, sviluppa un senso di inferiorità, non si sente capita dal marito. Ne derivano depressioni, ansia, insonnia, in genere c’è una patologia mentale di fondo che esplode in un contesto particolare.



· La madre depressa: un terzo delle madri che uccidono i figli hanno problemi di depressione. Il delitto diventa un’allargata forma di suicidio “uccido chi amo di più, il mio bambino” In alcuni casi, la crisi depressiva può essere conseguente al parto. Crisi di pianto improvvise, irritabilità, ansia e sentimenti di sconforto e sfiducia sono i sintomi della cosiddetta ‘post-partum blues’,. Una sorta di tristezza che colpisce 7-8 neomamme su 10 dopo la nascita del loro bambino e che dura pochi giorni. Soltanto nel 10-20% dei casi, si tratta di vera depressione post-partum, e solo in “una o 2 donne su 1.000″ sfocia in psicosi, quella che può portare la madre a “identificare il proprio bimbo con il demonio, a fargli male e perfino a ucciderlo”.



Negli Stati Uniti e in alcuni Paesi del Nord Europa esistono nelle strutture pubbliche i «gruppi di sostegno» per le madri in «babyblues» e proliferano gli studi e le ricerche in questo campo. In Italia di depressione postpartum si parla probabilmente solo in occasione degli ultimi sconvolgenti fatti di cronaca quando la sindrome giunge a livelli devastanti, perché sottovalutata o mal curata.



· La madre che non voleva un figlio: sono i casi dei bambini uccisi alla nascita. Di solito queste madri hanno dovuto nascondere la gravidanza e poi il parto. Frequentemente invece di uccidere il bambino lo gettano nei rifiuti. Lasciando alla sorte la sua sopravvivenza.



· La madre misericordiosa: La madre che vuole proteggere il figlio dalla sofferenza.



· Donne che soffrono della Sindrome di Munchausen. Una sindrome scoperta nel 1977 e chiamata così in riferimento al barone di Munchausen, grande mentitore. Nella gran parte dei casi chi ne soffre produce su se stessa sintomi di malattie per poi farsi curare. E’ un modo per attirare l’attenzione. In alcuni casi la donna procura sintomi e malattie nel figlio per poi portarlo all’ospedale (per esempio avvelenandolo lentamente). Sono madri affezionate, amorevoli, che non danno segni di eventuali psicosi. Questi casi sono in aumento. Le donne che ne soffrono nascondono sentimenti di solitudine, inadeguatezza, incompetenza e bassa stima di sé.



· La madre abusatrice: in un raptus di rabbia uccide il proprio figlio. La donna picchia i figli con oggetti o strumenti, spegne sigarette sui loro corpi. Talvolta, turbata dagli urli o dai pianti del bambino lo uccide, salvo poi dire: “Non volevo farlo.” Sono madri in genere provenienti da famiglie con problemi, a volte loro stesse sono state picchiate, spesso sono dedite all’alcolismo o all’abuso di droghe. E’ uno dei pochi casi in cui l’omicidio e la violenza può anche avere un movente sessuale. E può accadere che gli atti sessuali perpetrati su bambini servano a soddisfare gli istinti perversi del proprio compagno.



Alcune donne che uccidono i propri figli e poi si suicidano odiano il marito e, incapaci di attaccarlo, uccidono i bambini per vendicarsi di lui.



Il suicidio allargato è diverso dall’omicidio compiuto dalla madre che per una serie di ragioni ammazza la creatura e non ha nessuna intenzione di sopprimere se stessa. Nel suicidio allargato si decide di andarsene da un mondo considerato ostile, insopportabile, cattivo e non si vuole che le persone più care proprio in quel mondo rimangano, senza più la protezione che si cercava di dare loro.



L’uccisione volontaria di un figlio costituisce un infanticidio solo se la vittima è un neonato, altrimenti si tratta di figlicidio.



La legge impone una netta distinzione tra i due reati, anche nelle motivazioni e nelle conseguenze penali: il primo è punito con la reclusione dai 4 ai 12 anni, il secondo con l’ergastolo.



Nel primo caso, infatti, se la madre ha ucciso mentre soffriva di depressione postpartum si considera che abbia già sofferto nell’uccidere i suoi figli e che non è pericolosa se non ha altri figli.



Fatti del genere sono sempre accaduti, si commenta. Ma adesso presentano caratteristiche diverse, e gli infanticidi sono assai diminuiti; mentre sono recentemente aumentate le uccisioni di bambini non neonati da parte delle madri. Com’è possibile arrivare ad uccidere la propria creatura? Per quanto condannato, la comprensione del gesto dipende dalla tolleranza verso le motivazioni che variamente gli si riconoscono. Se il neonato era malformato, eliminarlo era una pratica tollerata in epoca romana e greca, e altrettanto fino al XX secolo in Cina se si trattava di femmina figlia cadetta di poveri. Altrimenti il delitto veniva punito come il peggiore assassinio, in quanto rivolto contro una vittima inerme.



E’ innegabile che le condizioni in cui le donne oggi possono vivere la maternità siano assai migliorate rispetto al passato, su tanti livelli: medico e assistenziale, culturale e materiale, legislativo. Ma i delitti di questi giorni ci impongono di vedere che anche fuori dalle condizioni di svantaggio riconosciute dai codici (l’illegittimità, la miseria, l’abbandono), una madre può arrivare ad uccidere il proprio bambino. Anche se ha un marito e una bella casa. Perché è impazzita, si conclude allora.



La malattia mentale è l’altra causa storicamente più spesso invocata in questi casi. Ma bisogna distinguere. Una cosa è domandare se quell’individuo fosse affetto da una patologia o almeno da alterazione mentale mentre commetteva (irresponsabilmente) un reato, qualunque esso sia. Altra cosa è riconoscere che all’origine di un particolare tipo di crimine vi sia una generale condizione normalmente irta di difficoltà e rischi, che in casi estremi conducono all’omicidio e talvolta al suicidio.



C’è un nesso tra il rifiuto violento della maternità e il bisogno vissuto da ogni donna di sentirsi sostenuta quando si prende cura di un bambino piccolo. La legge lo recepisce; sottolinea la stretta relazione tra esigenze (e sofferenze) psicologiche materne e il contesto familiare e sociale in cui esse non trovano adeguata risposta né ascolto: mancanza o insufficienza di sostegni, «solitudine e incomunicabilità … all’interno della famiglia», ecco le ragioni per le quali il codice attenua molto la colpa dell’infanticida.



Nella stessa distinzione tra infanticidio materno e figlicidio indifferentemente genitoriale – il primo attenuante, l’altro aggravante dell’omicidio comune – è passata la considerazione che divenendo madre la donna vive una particolare fragilità, la quale può addirittura sfociare nella depressione post-partum o, come dicevano gli alienisti ottocenteschi, nella mania puerperale.



L’infanticida di oggi non corrisponde più alla madre crudele, o indifferente o sciagurata. Al contrario, è una madre devota, esageratamente devota, semmai. Dopo il delitto, il comportamento materno giudicato normale o ammirevole appare inquietante: si dedicava molto ai propri bambini, li amava molto, ci stava sempre insieme e soprattutto da sola; mentre il marito è sempre al lavoro, coltiva altri interessi, frequenta persone e luoghi altri più dei figli e della casa. Si ammette che per una donna che tanto si preoccupa dei suoi figli, il carico della maternità possa diventare insostenibile.



E’ nell’evento del parto e nei giorni immediatamente successivi che si esaurisce la speciale condizione riconosciuta dal codice. Il che dipende dall’epoca in cui la norma ebbe origine, quando il parto era molto rischioso per i nascituri ma anche per le donne, e così è stato per secoli fino a qualche decennio fa.

Che cos'è il femminicidio?

Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale.(FrancoAngeli)
Che cos'è il femminicidio?
Il femminicidio.....
E' una categoria di analisi socio-criminologica delle discriminazioni e violenze nei confronti delle donne per la loro appartenenza al genere femminile (per approfondire vedi il mio libro: "Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale", Franco Angeli, 2009).
E’ un neologismo con il quale si nomina ogni forma di discriminazione e violenza rivolta contro la donna “in quanto donna”.
E’ la violenza di genere in ogni sua forma.
E’ l’esercizio di potere che l’uomo e la società esercitano sulla donna affinché il suo comportamento risponda alle aspettative dell’uomo e della società patriarcale, è la violenza e ogni forma di discriminazione esercitata nei confronti della donna che disattende queste aspettative.
Questa forma di controllo annienta l’identità della donna, assoggettandola fisicamente e/o psicologicamente, economicamente, giuridicamente, politicamente, socialmente.
Il femminicidio e’ la punizione quotidiana per ogni donna che non accetta di ricoprire il proprio ruolo sociale, è il principale ostacolo alla autodeterminazione e al godimento dei diritti fondamentali di più di metà della popolazione mondiale.

Il femminicidio attraversa ogni epoca, ogni cultura, ogni luogo.

Come ha sostenuto Bordieu, il dominio maschile sulle donne è la più antica e persistente forma di oppressione esistente.

Il femminicidio viola i diritti umani di metà della popolazione mondiale, spesso con la connivenza delle istituzioni.
Questo blog cerca di smascherare le forme in cui si manifesta, in luoghi vicini e lontani, e di identificare le connivenze culturali e istituzionali che rendono possibile il permanere di questa oppressione.
L'ONU SUL FEMMINICIDIO

Rapporto mondiale sul femminicidio della Relatrice Speciale ONU contro la violenza sulle donne 2012

Rapporto sulla missione in Italia della Relatrice Speciale ONU contro la violenza sulle donne 2012

QUALE LA DIFFERENZA TRA FEMMICIDIO E FEMMINICIDIO?.


http://femminicidio.blogspot.it/2011/03/da-chi-e-stato-coniato-il-termine.html

DA CHI E' STATO CONIATO IL TERMINE FEMMINICIDIO, E PERCHE' ?


Il termine Femmicidio (femicide) è stato diffuso per la prima volta da Diana Russell che, nel 1992, nel libro Femicide: The Politics of woman killing, attraverso l’utilizzo di questa nuova categoria criminologica, molto tempo prima di avere a disposizione le indagini statistiche che ci confermano ancora oggi questo dato, “nomina” la causa principale degli omicidi nei confronti delle donne: una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna «perché donna». “Il concetto di femmicidio si estende aldila' della definizione giuridica di assassinio ed include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l'esito/la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine.”

La teoria di Diana Russell diviene universalmente nota ed utilizzata da numerose scienziate per analizzare le varie forme di femmicidio (delitto d’onore, lesbicidio, ecc.).

Nello specifico, viene ripresa dalle sociologhe, antropologhe e criminologhe messicane per analizzare i fatti di Ciudad Juarez, e viene adattata a descrivere non solo le uccisioni di genere ma ogni forma di violenza e discriminazione contro la donna “in quanto donna”.

Femminicidio (feminicidio) è per Marcela Lagarde «La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine -maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria, istituzionale- che comportano l’impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia».

Nel mio libro ho raccontato come la ricerca sul femminicidio in Centro e Sud America ha costituito la “base teorica” delle rivendicazioni femministe, ai fini dello sviluppo in quell’area di politiche sociali ed istituzionali di genere e per lo sradicamento del machismo, ancora fortemente diffuso, ma anche per l’eliminazione dal diritto interno di tutte le norme discriminatorie nei confronti delle donne, che tale cultura riflettevano giuridicamente.



lunedì 3 giugno 2013

SI PARLA DI FEMMICIDIO....

Oggi sembra quasi una banalità ripetere i dati dell’OMS: la prima causa di uccisione nel Mondo delle donne tra i 16 e i 44 anni è l’omicidio (da parte di persone conosciute). Negli anni Novanta il dato non era noto, e quando alcune criminologhe femministe verificarono questa triste realtà, decisero di “nominarla”. Fu una scelta politica: la categoria criminologica del femmicidio introduceva un’ottica di genere nello studio di crimini “neutri” e consentiva di rendere visibile il fenomeno, spiegarlo, potenziare l’efficacia delle risposte punitive,rivedere la legge sul divorzio con modifiche sostanziali........




domenica 2 giugno 2013

http://www.protezionecivile.gov.it

ProvvedimentiDecreto-legge n. 59 del 15 maggio 2012 convertito dalla legge n. 100 del 12 luglio 2012: disposizioni urgenti per il riordino della protezione civile


15 maggio 2012

SintesiTesto integraleIl decreto legge n. 59 del 15 maggio 2012, convertito dalla legge n. 100 del 12 luglio 2012, con l’articolo 1, modifica e integra questi provvedimenti:



- Istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile (legge n. 225 del 24 febbraio 1992);



- Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di stabilità 2012 (legge n. 183 del 12 novembre 2011,) aggiungendo due commi all’art. 31;



- Legge quadro in materia di incendi boschivi (legge n. 353 del 21 novembre 2000) modificando l’articolo 7;



- Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie (decreto legge n. 225 del 29 dicembre 2010, convertito dalla legge n. 10 del 26 febbraio 2011) modificando l’articolo 2, comma 2-septies;



- Disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania, per l'avvio della fase post emergenziale nel territorio della regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla protezione civile (decreto legge n. 195 del 30 dicembre 2009, convertito dalla legge n. 26 del 26 febbraio 2010) abrogando il comma 2 dell’art. 15.



Il testo prevede inoltre, all’articolo 1-bis e all’articolo 3, ulteriori disposizioni per il generale riordino della protezione civile e sopprime l’articolo 2 del decreto legge n. 59 del 15 maggio 2012, relativo alle assicurazioni dei rischi di danni diretti da calamità naturali ai fabbricati.



Il testo modificato dalla legge n. 100/2012 è in vigore dal 14 luglio 2012, giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge n. 100/2012.







Modifiche alla legge n. 225/1992 “Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile” (art. 1, comma 1, del dl n. 59/2012 convertito nella legge n. 100/2012)



Inserimento dell’art. 1-bis

Modifiche all'art. 2

Modifiche all'art. 3

Inserimento dell'art. 3-bis

Inserimento dell'art. 3-ter

Modifiche all'art. 5

Modifiche all'art.14

Modifiche all'art.15

Modifiche all'art.20



Inserimento dell’art. 1-bis



Servizio Nazionale della Protezione Civile. È riproposta la definizione di Servizio Nazionale della Protezione Civile, già prevista dall’art. 1 della legge n. 225/1992 che tuttavia, secondo alcune interpretazioni, risultava abrogato da parte della normativa di settore successivamente emanata. Si riafferma che la promozione e il coordinamento di tutte le attività del Servizio Nazionale sono in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri, che può a tal fine delegare un “Ministro con portafoglio” o il “Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Segretario del Consiglio” e non “un Ministro” (come previsto dal decreto legge n. 90 del 31 maggio 2005, convertito dalla legge n. 152 del 26 luglio 2005, che aveva modificato la legge n. 225/1992). Il Presidente del Consiglio dei Ministri, o il suo delegato, si avvalgono del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri.



Modifiche all’art. 2



Eventi di tipo c). Cambia la definizione degli eventi di tipo c) che sono definiti come “calamità naturali o connesse con l'attività dell'uomo che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo”. Vengono in questo modo precisate le tempistiche per l’impiego dei mezzi e poteri straordinari per fronteggiare l’emergenza.



Modifiche all’art. 3



Attività di protezione civile. Accanto alle attività di “previsione e prevenzione dei rischi”, “soccorso delle popolazioni” e “superamento dell’emergenza” vengono meglio specificate come ulteriori attività necessarie e indifferibili anche quelle dirette al “contrasto dell’emergenza” e alla “mitigazione del rischio”. Viene poi precisato che le amministrazioni competenti provvedono alle attività di protezione civile nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.



Previsione. L’idea di previsione prevista dalla legge n. 225/1992 viene superata con l’introduzione del concetto di “identificazione degli scenari di rischio probabili”. Inoltre si specifica che sono attività di previsione quelle dirette “dove possibile, al preannuncio, al monitoraggio, alla sorveglianza e alla vigilanza in tempo reale degli eventi e dei livelli di rischio attesi”.



Prevenzione. Nella generale definizione di prevenzione prevista dalla legge n. 225/1992 – che rimane invariata - si esplicitano le singole attività volte a evitare o a ridurre al minimo la possibilità che si verifichino danni conseguenti agli eventi. Queste attività, definite “non strutturali”, sono: l’allertamento, la pianificazione dell’emergenza, la formazione, la diffusione della conoscenza della protezione civile, l’informazione alla popolazione, l’applicazione della normativa tecnica e le esercitazioni.



Soccorso. La finalità del soccorso è assicurare alle popolazioni colpite dagli eventi ogni forma di prima assistenza e ciò si realizza, nella nuova definizione della legge n. 100/2012, con interventi “integrati e coordinati”.



Superamento dell’emergenza. Non subisce modifiche la definizione di superamento dell’emergenza che consiste nell’attuazione, coordinata con gli organi istituzionali competenti, delle iniziative - necessarie e non rinviabili - volte a rimuovere gli ostacoli alla ripresa delle normali condizioni di vita. Le modalità con cui si realizza tale attuazione sono disciplinate dall’art. 5 che è stato modificato e integrato per definire con chiarezza come avviene il subentro delle amministrazioni competenti in via ordinaria.



Piani e programmi territoriali. I piani e i programmi di gestione, tutela e risanamento del territorio devono essere coordinati con i piani di emergenza di protezione civile, con particolare riferimento ai piani di emergenza comunali e ai piani regionali di protezione civile. La modifica di questo comma ribalta la precedente impostazione che prevedeva che fossero le attività di protezione civile a doversi armonizzare con i programmi territoriali.



Inserimento dell’art. 3-bis



Sistema di allerta nazionale per il rischio meteo-idrogeologico e idraulico. Il Sistema di allerta nazionale per il rischio meteo-idrogeologico e idraulico, nelle sue componenti statale e regionale, viene inquadrato in modo organico nell’art. 3-bis che richiama i diversi provvedimenti che negli ultimi anni hanno disciplinato le attività di allertamento per fini di protezione civile, definendone compiti e responsabilità. In particolare, si evidenzia che il Sistema è costituito dagli strumenti, i metodi e le modalità stabiliti per sviluppare e acquisire la conoscenza, le informazioni e le valutazioni, in tempo reale, che riguardano il preannuncio, l’insorgenza e l’evoluzione dei rischi conseguenti agli eventi definiti dall’art. 2 della legge n. 225/1992. Finalità del sistema è allertare e attivare il Servizio Nazionale della Protezione Civile ai diversi livelli territoriali.



Il governo e la gestione del Sistema di allerta nazionale sono assicurati da:

- Dipartimento della Protezione Civile e Regioni, attraverso la Rete dei Centri funzionali;

- Servizio meteorologico nazionale distribuito – Smnd, che deve essere realizzato entro sei mesi dal 14 luglio 2012, data di entrata in vigore di questa legge, con i compiti che verranno stabiliti da un decreto del Presidente della Repubblica;

- Reti strumentali di monitoraggio e di sorveglianza;

- Presidi territoriali;

- Centri di competenza;

- Ogni altro soggetto chiamato a concorrere funzionalmente e operativamente a queste reti.



Un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare entro 60 giorni dal 14 luglio 2012, data di entrata in vigore di questa legge, definirà i principi per individuare e far funzionare i Centri di competenza.



Sulla base dei livelli di rischio, ogni Regione determina le procedure e le modalità di allertamento del proprio sistema di protezione civile ai diversi livelli di competenza territoriale.



Viene poi precisato che le amministrazioni competenti provvedono alle attività di protezione civile nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.



Inserimento dell’art. 3-ter



Reti di monitoraggio e radiofrequenze. Per la gestione delle reti strumentali e di monitoraggio le Regioni sono esentate da alcuni pagamenti relativi alla concessione d’uso delle radiofrequenze. Le frequenze vengono individuate con un decreto del Presidente del Consiglio di Ministri da adottare su proposta del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, entro 60 giorni dal 14 luglio 2012, data di entrata in vigore di questa legge. Lo schema di decreto verrà sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari competenti. Il Ministro dello Sviluppo Economico – Dipartimento per le Comunicazioni apporta le modifiche al decreto dovute agli aggiornamenti del Piano nazionale di ripartizione delle frequenze o all’evoluzione normativa.



L’attuazione di quanto previsto da questo articolo non deve comportare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.



Modifiche all’art. 5



La legge n. 100/2012 modifica e integra in modo significativo l’art. 5 della legge n. 225/1992, sul quale era intervenuta prima la legge n. 10/2011, poi la sentenza n. 22 del 13-16 febbraio 2012 della Corte costituzionale che aveva dichiarato illegittimi i commi 5-quater e 5-quinquies.



Dichiarazione dello stato di emergenza. Lo stato di emergenza può essere dichiarato anche “nell’imminenza” e non solo “al verificarsi” di calamità naturali oppure connesse all'attività dell'uomo che per intensità ed estensione devono essere fronteggiate con immediatezza di intervento con mezzi e poteri straordinari. Lo stato di emergenza viene deliberato dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o, per sua delega, di un Ministro con portafoglio o del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Segretario del Consiglio. La richiesta può giungere anche dal Presidente della Regione interessata, di cui comunque va acquisita l’intesa.



Viene definita la durata e l’estensione territoriale dello stato di emergenza. La durata non può, di regola, superare i 90 giorni e può essere prorogata, di regola, per un massimo di 60 giorni, con ulteriore deliberazione del Consiglio dei Ministri.



In relazione all’emergenza, viene individuata anche “l’amministrazione pubblica competente in via ordinaria” che coordina gli interventi conseguenti l’evento allo scadere dello stato di emergenza.



Ordinanze. Agli interventi si provvede anche con ordinanze in deroga alle disposizioni di legge, ma nei limiti e secondo i criteri indicati con la dichiarazione dello stato di emergenza e nel rispetto dell’ordinamento giuridico.



Le ordinanze sono emanate dal Capo del Dipartimento della Protezione Civile, se non è diversamente stabilito con la deliberazione dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei Ministri. L’attuazione delle ordinanze è curata, in ogni caso, dal Capo del Dipartimento. Prima, le ordinanze venivano emanate dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un Ministro da lui delegato. L’emanazione richiede l’acquisizione preventiva delle regioni territorialmente interessate.



Le ordinanze dispongono relativamente a:



servizi di soccorso e assistenza alla popolazione interessata dall’evento;

messa in sicurezza degli edifici pubblici e privati e dei beni culturali gravemente danneggiati o che costituiscono una minaccia per l’incolumità pubblica e privata;

ripristino delle infrastrutture e delle reti indispensabili per la continuità delle attività economiche e produttive e per la ripresa delle normali condizioni di vita;

interventi volti a evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o cose.

Le ordinanze vengono trasmesse per informazione al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro con portafoglio delegato. Le ordinanze emanate entro 30 giorni dalla dichiarazione dello stato di emergenza non richiedono il concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze e sono immediatamente efficaci. Una volta emanate vengono trasmesse anche al Ministero dell'Economia e delle Finanze perché comunichi gli esiti della loro verifica al Presidente del Consiglio dei Ministri. Dopo i 30 giorni dalla dichiarazione dello stato di emergenza, le ordinanze sono emanate di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze limitatamente ai profili finanziari.



Realizzazione degli interventi e soggetti responsabili. Per attuare gli interventi previsti nelle ordinanze, il Capo del Dipartimento della Protezione Civile si avvale delle Componenti e delle Strutture operative del Servizio Nazionale e ne coordina le attività impartendo specifiche disposizioni operative. Le ordinanze individuano i soggetti responsabili per l’attuazione degli interventi previsti, scegliendo tra quanti sono ordinariamente competenti per i diversi ambiti di attività. Se il Capo Dipartimento si avvale di Commissari delegati, il provvedimento di delega deve specificare il contenuto dell'incarico, i tempi e le modalità d’intervento. I Commissari delegati sono scelti tra i soggetti per cui la legge non prevede alcun compenso per lo svolgimento dell’incarico. Le funzioni del Commissario delegato cessano con la scadenza dello stato di emergenza.



Compensi. Non è previsto alcun compenso per il Capo Dipartimento della Protezione Civile e per i Commissari delegati nominati tra i soggetti responsabili titolari di cariche elettive pubbliche. Nel caso si tratti di altri soggetti, il compenso è commisurato alla durata dell’incarico, nel limite massimo del 70% del trattamento economico previsto per il primo presidente della Corte di Cassazione.



Subentro dell’amministrazione competente in ordinario. Vengono definiti i tempi e i modi per il subentro dell’amministrazione competente in ordinario. Almeno dieci giorni prima della scadenza del termine dello stato emergenziale, il Capo Dipartimento emana un’ordinanza, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per favorire e regolare il subentro dell’Amministrazione competente in ordinario a coordinare gli interventi necessari successivi. Questa ordinanza può anche contenere deroghe, per un massimo di sei mesi non prorogabili, per l’affidamento di lavori pubblici e per l’acquisizione di beni e servizi. Può essere inoltre individuato il soggetto dell’Amministrazione pubblica competente a cui intestare la contabilità speciale aperta per l’emergenza, per il tempo necessario a completare gli interventi previsti dalle ordinanze. Alla chiusura della contabilità speciale, le risorse rimanenti sono trasferite alla Regione o all’Ente locale competente in ordinario, oppure, se si tratta di altra Amministrazione, sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione.



Relazione annuale al Parlamento. Ogni anno il Governo riferisce al Parlamento sulle attività di protezione civile che riguardano le azioni di previsione, prevenzione, mitigazione del rischio e pianificazione dell’emergenza, oltre che sull’utilizzo del Fondo per la protezione civile.



Rendicontazione. I rendiconti dei Commissari delegati titolari di contabilità speciali e quelli dei soggetti a cui viene intestata la contabilità speciale con l’ordinanza di subentro sono trasmessi, completi di documentazione giustificativa e di eventuali rilievi sollevati dalla Corte dei Conti, al Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato-Ragionerie territoriali competenti, all'Ufficio del Bilancio per il riscontro della regolarità amministrativa e contabile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e, per conoscenza, al Dipartimento della Protezione Civile, alle Commissioni parlamentari competenti e al Ministero dell’Interno. I rendiconti sono inoltre pubblicati sul sito internet del Dipartimento della Protezione Civile.



Imposta regionale. Dopo la dichiarazione dello stato di emergenza, la Regione può aumentare l’imposta regionale di ulteriori cinque centesimi per litro rispetto al massimo consentito.



Fondi statali. Alle spese necessarie per fronteggiare lo stato di emergenza si provvede con risorse del Fondo nazionale di protezione civile, che deve essere annualmente finanziato. Le risorse vengono assegnate alle amministrazioni interessate con ordinanze del Capo del Dipartimento della Protezione Civile, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Nel caso si utilizzi il Fondo di riserva per le spese impreviste del Ministero dell’Economia e delle Finanze, questo è reintegrato in tutto o in parte, con deliberazione del Consiglio dei Ministri, tramite la riduzione delle voci di spesa rimodulabili, indicate nell’elenco allegato alla legge stessa. Un decreto del Presidente del Consiglio individua l’ammontare delle riduzioni delle dotazioni finanziarie, le voci di spesa interessate e le modifiche degli obiettivi del Patto di stabilità interno, così da garantire la neutralità in termini di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni. Lo schema di tale decreto è trasmesso alle Camere affinché entro 20 giorni le Commissioni competenti per i profili di carattere finanziario esprimano il proprio parere.



In combinazione con questa riduzione delle voci di spesa, il Fondo di riserva per le spese impreviste è reintegrato, in tutto o in parte, con le entrate che derivano dall’aumento dell’aliquota dell’accisa sulla benzina e sulla benzina senza piombo, e dell’aliquota dell’accisa sul gasolio usato come carburante. L’eventuale aumento, di massimo cinque centesimi al litro, è stabilito in base a deliberazione del Consiglio dei Ministri, con un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Dogane.



Sospensione dei mutui. In caso di gravi difficoltà per il tessuto economico-sociale dei territori colpiti dall’emergenza, ai soggetti titolari di mutui relativi ad immobili resi inagibili dagli eventi calamitosi può essere concessa, su richiesta, la sospensione delle rate, per un periodo di tempo circoscritto, senza oneri aggiuntivi. Alla copertura di questi oneri si provvede con ulteriori riduzioni delle voci di spesa e aumenti dell’aliquota di accisa.



Pagamento dei mutui. Il pagamento delle rate dei mutui contratti dalle Regioni per finanziare interventi di ricostruzione e riparazione dei danni provocati dalle maggiori calamità naturali che si sono verificate negli scorsi anni è effettuato non più dal Dipartimento della Protezione Civile ma direttamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.



Modifiche all’art. 14



Competenze del Prefetto. La principale modifica è al comma 2 e prevede che al verificarsi di un evento di tipo b) o c) il Prefetto assuma la direzione unitaria dei servizi di emergenza a livello provinciale coordinandosi con il Presidente della Regione, oltre che raccordando le proprie iniziative con gli interventi dei Sindaci dei Comuni interessati. Rimane, invece, sostanzialmente inalterata la formulazione del comma 3: il Prefetto, a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza, opera quale delegato del Presidente del Consiglio dei Ministri, o per sua delega, di un Ministro con portafoglio o del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Segretario del Consiglio, con i poteri di cui al comma 2 dell’art. 5 della legge 225/1992. Tale disposizione, tuttavia, trova effettiva attuazione soltanto nel caso in cui sia espressamente richiamata dalla deliberazione dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei Ministri. Se ciò non avviene, l’esercizio del potere di ordinanza resta attribuito al Capo del Dipartimento della Protezione Civile, così come previsto dal comma 2 dell’art. 5 della stessa legge.



Modifiche all’art. 15



Attribuzioni del sindaco. La legge n. 100/2012 ribadisce il ruolo del Sindaco autorità comunale di protezione civile e precisa, al comma 3, che il Sindaco assume la direzione dei servizi di emergenza che insistono sul territorio del Comune e il coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alle popolazioni colpite.



Piano di emergenza comunale. Entro 90 giorni dal 14 luglio 2012, data di entrata in vigore di questa legge, ciascun comune approva, con deliberazione consiliare, il piano di emergenza comunale - redatto secondo i criteri e le modalità riportate nelle indicazioni operative del Dipartimento della Protezione Civile e delle Giunte regionali - e provvede alla verifica e all'aggiornamento periodico di questo strumento. Copia del piano deve essere trasmessa alla Regione, alla Prefettura-Ufficio territoriale del governo e alla Provincia territorialmente competenti. Dall’attuazione di queste nuove disposizioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.ù



Modifiche all’art. 20



Monitoraggio delle ordinanze di protezione civile. La legge 100/2012 sostituisce l’art. 20 della legge 225/1992 e stabilisce che entro sei mesi dal 14 luglio 2012, data di entrata in vigore di questa disposizione, si provveda a disciplinare un sistema di monitoraggio e di verifica dell’attuazione, anche sotto l’aspetto finanziario, delle ordinanze di protezione civile e dei provvedimenti ad esse relativi e delle ispezioni. Questo sistema sarà disciplinato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa intesa della Conferenza Unificata. L’attuazione della disposizione non deve comportare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Dall’entrata in vigore di questo dpcm sarà abrogato il decreto del Presidente della Repubblica n. 51 del 30 gennaio 1993 che disciplina le ispezioni sugli interventi di emergenza.


Modifiche alla legge n. 183/2011 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di stabilità 2012” (Art. 1, comma 1-bis, del dl n. 59/2012 convertito nella legge n. 100/2012)



Patto di stabilità. Nell’ambito di quanto già previsto, i nuovi commi introdotti stabiliscono che le spese per gli interventi realizzati direttamente dai Comuni e dalla Province in caso di eventi di tipo c) siano escluse, con legge, dal saldo finanziario rilevante per la verifica del rispetto del patto di stabilità interno. Queste spese devono però risultare effettuate nell'esercizio finanziario in cui avviene la calamità e nei due esercizi successivi. La disposizione si attua nei limiti delle risorse rese disponibili con l'utilizzo del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali. (Inserimento dei commi 8-bis e 8-ter all’art. 31 alla legge 12 novembre 2011, n. 183)







Modifiche alla legge n. 353/2000 “Legge quadro in materia di incendi boschivi” (Art. 1, comma 2, del dl n. 59/2012 convertito nella legge n. 100/2012 )



Flotta aerea antincendio boschivo. La flotta aerea antincendio del Dipartimento della Protezione Civile è trasferita al Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile. Per la definizione dei tempi e delle modalità del trasferimento si rimanda ad un regolamento da adottare con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministero dell’Interno. Preventivamente andranno individuate le risorse finanziarie, strumentali ed umane necessarie, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, mentre restano validi i contratti vigenti relativi all’uso della flotta da parte del Dipartimento della Protezione Civile. (Modifiche all’art. 7 della legge 21 novembre 2000, n. 353)

Modifiche alla legge n. 10/2011 “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie” (Art. 1, comma 3, del dl n. 59/2012 convertito nella legge n. 100/2012)


Controllo della Corte dei Conti. La Corte dei Conti ha sette giorni di tempo per esprimere il proprio parere sui provvedimenti commissariali adottati in attuazione di ordinanze di protezione civile. Oltre questo termine, i provvedimenti si considerano efficaci. (Modifiche all’articolo 2, comma 2-septies, della dl n.225 del 29 dicembre 2010 convertito nella legge n. 10 del 26 febbraio 2011)







Modifiche alla legge n. 26/2010 “Disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania, per l'avvio della fase post emergenziale nel territorio della regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla protezione civile” (Art. 1, comma 4, del dl n. 59/2012 convertito nella legge n. 100/2012)



Livelli minimi organizzativi. È abrogata la disposizione che prevedeva l’emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per la definizione dei livelli minimi dell'organizzazione delle strutture territoriali di protezione civile e degli enti cui spetta il governo e la gestione del Sistema di allertamento nazionale ed il coordinamento in caso di dichiarazione dello stato di emergenza. (abrogazione del comma 2, art. 15, del dl n.195 del 30 dicembre 2009 convertito nella legge n. 26 del 26 febbraio 2010)







Ulteriori disposizioni per il generale riordino della protezione civile (Art. 1-bis e art. 3 del dl n. 59/2012 convertito nella legge n. 100/2012 )



Piano regionale di protezione civile. Entro sei mesi dal 14 luglio 2012, data di entrata in vigore della legge, le Regioni possono approvare il Piano regionale di protezione civile, che individua criteri e modalità d’intervento in caso di emergenza, sulla base delle indicazioni operative del Dipartimento, e un piano di prevenzione dei rischi. Il Piano può prevedere l’istituzione di un fondo regionale per realizzare gli interventi necessari a fronteggiare le prime fasi dell’emergenza. (art. 1-bis)



Grandi eventi. La gestione dei grandi eventi, come sancito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, non rientra più nelle competenze della protezione civile. Sono, tuttavia, confermate le disposizioni relative allo svolgimento del grande evento EXPO Milano 2015 e del VII incontro mondiale delle famiglie a Milano 2012 (che si è svolto nel maggio scorso).



I Commissari delegati individuati per la realizzazione del Nuovo Auditorium Parco della musica e della cultura di Firenze e del Nuovo Palazzo del cinema e dei congressi di Venezia possono protrarre di sei mesi la gestione operativa della contabilità speciale, solo per consentire i pagamenti relativi ad attività concluse o in via di completamento.
Le gestioni commissariali che operano all’entrata in vigore del decreto legge n. 59/2012 non possono essere prorogate, se non una volta sola ma comunque non oltre il 31 dicembre 2012. Con ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione Civile viene regolato il subentro dell’Amministrazione competente in ordinario a coordinare gli interventi necessari successivi. Questa ordinanza può anche contenere deroghe, per un massimo di sei mesi non prorogabili, per l’affidamento di lavori pubblici e per l’acquisizione di beni e servizi. Può essere inoltre individuato il soggetto dell’Amministrazione pubblica competente a cui intestare la contabilità speciale aperta per l’emergenza, per il tempo necessario a completare gli interventi previsti dalle ordinanze. Alla chiusura della contabilità speciale, le risorse rimanenti sono trasferite alla Regione o all’Ente locale competente in ordinario, oppure, se si tratta di altra Amministrazione, sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione.
È istituita, inoltre, un'anagrafe pubblica degli appalti pubblici dei grandi eventi. Le informazioni relative agli appalti e ai soggetti affidatari sono pubblicate sul sito del Dipartimento della Protezione Civile. (art. 3, commi 1, 2 e 5-bis)

Emergenze insediamenti comunità nomadi. Con la sentenza n. 6050 del 16 novembre 2011 il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittimo lo stato di emergenza connesso agli insediamenti di comunità nomadi nelle Regioni Campania, Lazio, Lombardia, Piemonte e Veneto e per il quale erano stati nominati Commissari delegati i Prefetti dei rispettivi capoluoghi di regione.

La legge n. 100/2012 stabilisce che le somme messe a disposizione dei Commissari delegati con ordinanze di protezione civile per la gestione di tale emergenza non ancora impegnate alla data di notificazione della sentenza sono riassegnate al Ministero dell’Interno per il completamento degli interventi già programmati (art. 3, comma 3).
Termovalorizzatore di Acerra. Le risorse del Fondo per lo sviluppo e coesione 2007-2013 necessarie per l’acquisto del termovalorizzatore di Acerra, pari a 355.550.240,84 euro, sono trasferite direttamente alla società creditrice, già proprietaria dell’impianto. Per il 2012, sono ridotti di 138 milioni di euro i limiti di spesa previsti dal patto di stabilità della Regione Campania. (art. 3, commi 4, 4-bis e 5)