sabato 20 dicembre 2014

Carissimi,condivido con Voi e le Vostre famiglie, il calore e i valori del Santo Natale. Auguro inoltre a tutti Voi di accogliere l'Anno Nuovo con tutte le speranze e le aspettative che Vi hanno accompagnato fino ad ora, nell'attesa di costruire insieme tutte quelle che si realizzeranno per rendere migliore la qualità della nostra vita. Cav. Procaccini Mario

mercoledì 29 ottobre 2014

Zagarolo...prossima tornata elettorale!!!

Crdeo che nel breve giro di qlk giorno inizierò con il dirvi i miracoli di certi personaggipresenti sul nostro territorio........ridere e ridere ancora!!

mercoledì 17 settembre 2014

Corte di Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza n. 18575 del 25 Agosto 2014. ILLEgittime le multe su strisce blu

La Cassazione ribadisce: illegittime le multe su strisce blu se non ci sono aree di parcheggio gratuite Segui: 28 parcheggiodi Licia Albertazzi - Corte di Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza n. 18575 del 25 Agosto 2014. Se è vero che l'art. 7 comma 8 del Codice della strada prevede l'obbligo, in capo al conducente, di esporre il ticket di sosta nelle apposite aree destinate a parcheggio, è altrettanto vero che lo stesso Codice prevede l'obbligo, a carico dell'ente locale, di predisporre aree di parcheggio gratuite laddove ci sono zone di sosta a pagamento. Sono illegittime quindi le contravvenzioni elevate a carico di chi non ha esposto il ticket in un aria di parcheggio a pagamento se mancano aree di parcheggio "free". Nel caso esaminato dalla Cassazione, la ricorrente aveva contestato una multa per mancata esposizione del tagliando. Il giudice di merito non aveva voluto sentire ragione e la donna si era rivolta quindi alla suprema Corte che accogliendo il ricorso ha anche evidenziato come la sentenza impugnata fosse affetta da violazione di legge (nello specifico, violazione delle regole inerenti l'onere della prova). La Cassazione ricorda come, nelle cause di opposizione a sanzione amministrativa (nel caso in cui, quindi, convenuta innanzi al giudice civile sia una pubblica amministrazione) l'amministrazione, anche se formalmente convenuta, di fatto assume il ruolo di "attore sostanziale"; "spetta, quindi, ad essa, ai sensi dell'art. 2697 cod. civ., di fornire la prova dell'esistenza degli elementi di fatto integranti la violazione contestata, mentre compete all'opponente, che assume formalmente la veste di convenuto, la prova dei fatti impeditivi o estintivi". Nel caso di specie la ricorrente, sia in primo grado che in appello, aveva contestato sia la mancanza nella zona di spazi gratuiti adibiti a parcheggio, sia l'assenza di specifica delibera comunale che qualificasse l'area tra quelle esenti da tale obbligo (ad esempio area urbana di particolare valore storico o di particolare pregio ambientale). Allegando ciò l'attrice avrebbe esaurito i propri oneri processuali, avendo dovuto l'amministrazione resistente produrre in giudizio atti o fatti che provassero il contrario (ad esempio, delibera comunale di qualificazione di detta area come sottoposta a eccezione normativa).

martedì 16 settembre 2014

Gli avvocati e le liti si sa vanno a braccetto(((( OCCHIO AI RISARCIMENTI ESEMPLARI ))))

TEMERARI DAL GIUDICE: OCCHIO AI RISARCIMENTI ESEMPLARI Il temerario (1975) Gli avvocati e le liti si sa vanno a braccetto, ma talvolta occorre fermarsi e riflettere per non assumere mandati dall’esito “certamente” incerto, scusate il gioco di parole ma poi capirete, o addirittura dannosi per se stessi (in termini di responsabilità professionale) e soprattutto per i propri patrocinati “temerari” che ogni tanto tacciono circostanze importanti pensando in tal modo di far bene. Chi è intenzionato, infatti, a instaurare giudizi (o resistere a domande giudiziali), con la consapevolezza di non averne diritto, rischia di incorrere in quella che viene definita “responsabilità processuale aggravata”, derivante appunto dall’aver costretto l’avversario ad affrontare un processo infondato, sostenendone le spese e lo stress del faticoso percorso giudiziario. L’argomento è oggetto di numerosi interventi, sia da parte degli studiosi del diritto sia da parte della giurisprudenza. In particolare una recente pronuncia del Tribunale di Roma ci fornisce lo spunto per un approfondimento della materia … UN PRINCIPIO DA NON DIMENTICARE MAI “Chi agisce o resiste in giudizio con mala fede o colpa grave, se soccombente, subisce la condanna al risarcimento del danno cagionato alla controparte”. Il Legislatore ha recepito e tradotto in un’apposita norma questo principio, ovvero nell’art. 96 del codice di procedura civile, ai sensi del quale: 1) Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza. 2) Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente. 3) In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata. I TEMERARI POI PAGANO Con tale norma, dunque, peraltro oggetto di numerosi interventi sia a livello giurisprudenziale che legislativo, l’ordinamento giuridico intende sanzionare direttamente quel comportamento illecito tenuto da una parte processuale, poi risultata soccombente, che abbia dato luogo alla cosiddetta lite temeraria, ossia abbia agito o resistito nel giudizio medesimo con la consapevolezza o l’ignoranza colposa dell’infondatezza della propria pretesa o difesa, danneggiando la controparte in virtù di tale condotta. Tale responsabilità presuppone quindi l’esistenza di tre elementi: 1) la soccombenza dell’avversario; 2) la prova dell’altrui malafede o colpa grave nell’agire o resistere in giudizio; 3) la prova del danno subìto a causa della condotta temeraria della controparte; MA CHI LAMENTA IL DANNO DEVE FORNIRE PROVE In ragione di ciò, quindi, per poter avanzare una richiesta di risarcimento è necessario dimostrare l’esistenza sia dell’elemento soggettivo, consistente nella consapevolezza o nell’ignoranza colpevole dell’infondatezza della propria tesi, sia di quello oggettivo, consistente nel pregiudizio subìto a causa della condotta temeraria della parte soccombente. A tal riguardo chi lamenta il danno subito dalla condotta temeraria, ha l’onere di fornire elementi probatori sufficienti per provare l’esistenza del medesimo. Sul punto il Tribunale di Roma afferma che “deve essere rigettata la domanda di condanna per responsabilità processuale aggravata, per lite temeraria, allorché la parte richiedente non deduca e non dimostri nel comportamento dell’avversario la ricorrenza del dolo o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, o dell’ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell’infondatezza delle suddette tesi, non essendo sufficiente che la prospettazione di tali tesi sia stata riconosciuta errata dal giudice" (Tribunale di Roma, Sezione XIII, Sentenza del 27 novembre 2013). In altra decisione il Tribunale di Palermo ha precisato che “in tema di responsabilità aggravata per lite temeraria che ha natura extracontrattuale, la domanda di cui all’art. 96, comma 1, c.p.c. richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante sia dell’an e sia del quantum debeatur o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa" (Tribunale di Palermo, Sezione III, Sentenza del 10 ottobre 2013). IL GIUDICE PUÒ CONDANNARE ANCHE SENZA LA RICHIESTA DEL DANNEGGIATO... L’art. 96 del codice di procedura civile ha subito una modifica ad opera della Legge n. 69 del 2009, che ha introdotto l’ultimo comma, allo scopo di sanzionare i comportamenti che rallentino il regolare e rapido svolgimento del processo. Per tale motivo, quindi, in conseguenza della riforma, il giudice, anche d’ufficio (ossia anche in assenza di una specifica istanza di parte in tal senso) può condannare la parte soccombente al pagamento, in favore di quella vittoriosa, di una somma equitativamente determinata (cioè in base a quanto appare giusto al giudice), che prescinde dall’esistenza o meno di un danno documentato e preciso nel suo ammontare, ma che comunque viene riconosciuta quale risarcimento per l’aver dovuto subire un processo infondato. ...E RICHIEDERE UN RISARCIMENTO ESEMPLARE! È proprio su questo aspetto che si è focalizzata la riflessione del Tribunale di Roma, nella sentenza che mi ha indotto a scrivere questo post. Il giudice capitolino ha infatti ritenuto che chi introduce una domanda giudiziaria del tutto infondata può essere condannato a pagare ben tre volte le spese di giudizio, sposando l’attuale orientamento a rigore del quale la liquidazione di tale ulteriore somma a titolo di risarcimento per responsabilità processuale aggravata deve essere necessariamente determinata in via equitativa, ossia in base a quanto appare giusto al giudice, non dovendo quest’ultimo necessariamente ancorare la decisione a danni quantificati in modo certo. Nel liquidare la somma anzidetta, vero e proprio strumento nelle mani del giudicante per scoraggiare le azioni giudiziarie infondate, lo stesso dovrà tener conto di una serie di criteri, quali ad esempio lo stato soggettivo del responsabile (in ragione del fatto che il dolo, ossia la cosciente volontarietà della condotta censurabile, è indubbiamente più grave della colpa), nonché la qualifica e le caratteristiche del responsabile, oltre al grado di preparazione dello stesso e la sua concreta possibilità di pervenire a decisioni consapevoli in termini di azione o di resistenza. In altre parole, si tratta di capire se e quanto sia scusabile la condotta di chi abusa del processo, dovendo ovviamente tener presente che tale ulteriore condanna si aggiunge alle conseguenze sanzionatorie che tipicamente discendono dall’azione giudiziaria risultata infondata (Tribunale di Roma, Sentenza del 19 giugno 2014, n. 13416). DIFESA: DIRITTO VS ABUSO In conclusione, ciò che preme maggiormente sottoporre all’attenzione dei lettori è quanto sia diverso, giuridicamente parlando, in termini di conseguenze, l’esercizio del diritto di difesa, assolutamente legittimo e sacrosanto, dall’abuso del medesimo diritto che, invece, comporta responsabilità, anche importanti, in termini sanzionatori, per aver dato vita ad una lite infondata con la consapevolezza che così fosse o con la colpevole ignoranza che tale sarebbe stata, comportamento questo palesemente illecito e assai censurabile. Insomma, per dirla in breve, sfruttare la tipicità del sistema non per l’esercizio di un diritto ma al di là dei limiti determinati dalla funzione che gli è propria e quindi abusando dello stesso diritto non è più cosa consigliabile! Dottoressa Roberta Bonazzoli - Studio Comite Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest Pubblicato da Redazione Giuridicamente Parlando a 10:30 Etichette: ABUSO DEL DIRITTO, COMPORTAMENTO ILLECITO, DANNO, DIRITTO DI DIFESA, GIUDIZIO EQUITATIVO, RESPONSABILITA AGGRAVATA, RESPONSABILITA' CIVILE, RISARCIMENTO, TEMERARI, VIA EQUITATIVA Nessun commento:

Art.96 cpc (Responsabilità aggravata): La Lite temeraria lite temeraria procedura civile

Art.96 cpc (Responsabilità aggravata): La Lite temeraria lite temeraria procedura civile La lite temeraria è disciplinata dall’art.96 cpc, il quale statuisce che “se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza. Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente. In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. La disposizione di cui al primo comma dell’art.96 cpc è considerata una fattispecie risarcitoria con funzione compensativa del danno cagionato dal c.d. illecito processuale del danno derivante dalla proposizione di una lite temeraria. Si configura, quindi, come una fattispecie riconducibile al genus della responsabilità extracontrattuale ex art.2043 cc, di cui l’art.96 cpc, 1 comma, costituirebbe una species. Presupposti imprescindibili ai fini di una condanna per responsabilità aggravata per colpa grave o dolo sono la soccombenza dell’avversario, la prova dell’altrui malafede o colpa grave nell’agire o resistere in giudizio e la prova del danno subito a causa della condotta temeraria della controparte, diverso ed ulteriore rispetto alla necessità di aver dovuto resistere in giudizio. La domanda di risarcimento del danno da responsabilità aggravata ex art.96 cpc può essere proposta solo nello stesso giudizio dal cui esito si deduce l’insorgenza della responsabilità: come ogni risarcimento, anche quello da responsabilità aggravata è ottenibile solo su istanza di parte (sebbene la L.69/2009 con l'introduzione del comma terzo ha previsto la possibilità di iniziativa ex officio di cui si dirà meglio infra) potendo in seguito il giudice, ai sensi del terzo comma dell’art.96 cpc, liquidare ex officio, ed in via equitativa il quantum del danno anche ove quest’ultimo non fosse stato provato nel suo ammontare. Con riguardo all’onere della prova del quantum del danno, in giurisprudenza, si sono delineati due orientamenti. Secondo il primo, il quantum è generalmente determinabile dal giudice in base a nozioni di comune esperienza ed è accertabile sulla base di presunzioni, a seguito dell’assolvimento, da parte dell’istante, dell’onere della prova concernente l’an del pregiudizio e la malafede o la colpa grave dell’agente. Secondo il secondo filone giurisprudenziale, il giudice potrebbe effettuare la quantificazione del danno in via equitativa ex officio solo allorquando il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare. A tal riguardo, la Suprema Corte, con sentenza n.17902 del 30-07-2010 ha statuito che la facoltà concessa al giudice ex art.96 cpc di liquidare d’ufficio il danno da responsabilità aggravata risponde al criterio generale di cui agli artt.1226 e 2056 cc, senza alcuna deroga all’onere di allegazione degli elementi di fatto idonei a dimostrarne l’effettività: tale facoltà, invero, non trasforma il risarcimento in una pena pecuniaria, né in un danno punitivo disancorato da qualsiasi esigenza probatoria, restando esso connotato dalla natura riparatoria di un pregiudizio effettivamente sofferto senza assumerne invece carattere sanzionatorio o afflittivo. Nell’ambito della giurisprudenza di merito, vige il principio di diritto secondo il quale la condanna per responsabilità aggravata ex art.96 cpc richiede non soltanto la totale soccombenza e la mala fede, o quanto meno la colpa grave, della parte di cui si chieda la condanna, ma anche che la controparte deduca e dimostri la concreta sussistenza di un danno in conseguenza del comportamento processuale della parte medesima. Ed infatti, la liquidazione dei danni, ancorchè effettuabile ex officio, richiede pur sempre la prova, gravante sulla parte che richiede il risarcimento, sia dell’an che del quantum o almeno la desumibilità di tali elementi dagli atti di causa. Ne deriva che, in mancanza di siffatta prova, il Giudice non può procedere alla liquidazione di ufficio del danno nonostante la domanda dell’interessato, neppure in via equitativa. I giudici di merito hanno altresì precisato che, trattandosi di una pena privata finalizzata a sanzionare il comportamento particolarmente riprovevole di colui che ha abusato dello strumento processuale, la liquidazione non può prescindere dall’accertamento, da parte del giudice, della sussistenza dell’elemento soggettivo ossia dalla rimproverabilità del comportamento della parte perdente in termini di dolo o colpa grave. La responsabilità processuale aggravata è un istituto ben diverso dall’ordinaria responsabilità aquiliana; l’art.96 cpc si pone con carattere di specialità rispetto all’art.2043 cc di modo che la responsabilità processuale aggravata, – ad integrare la quale è sufficiente nell’ipotesi di cui al secondo comma dell’art.96 cpc la colpa lieve, come per la comune responsabilità aquiliana, – pur rientrando concettualmente nel genere della responsabilità per fatti illeciti, ricade interamente, in tutte le sue possibili ipotesi, sotto la disciplina normativa contenuta nel citato art.96 cpc, né è configurabile un concorso, anche alternativo, dei due tipi di responsabilità; e la decisione in ordine a detta responsabilità è devoluta in via esclusiva al giudice cui spetta conoscere il merito della causa. La Legge 69/2009 ha, poi, introdotto il terzo comma dell'articolo in commento, il quale deduce un ulteriore strumento di deflazione del contenzioso che si differenzia dalle ipotesi di responsabilità aggravata di cui ai primi due commi, in quanto può essere attivato anche d'ufficio prescindendo da un'esplicita richiesta di parte, al fine di scoraggiare l'abuso del processo e preservare la funzione del sistema giustizia. Tale innovazione all’art.96 ha destato non poche perplessità circa gli ambiti applicativi e i confini operativi della suddetta norma. In particolare, con sentenza Rizzoli pronunziata dal Tribunale di Milano, i rapporti tra il primo e il terzo comma dell’art.96 cpc si sono rivelati particolarmente nebulosi. Ed infatti, il Tribunale di meneghino, con tale sentenza, nell’applicare l’art.96, comma 1, cpc, lo ha interpretato alla luce del sopravvenuto terzo comma, ravvisando nel primo comma una disposizione avente intento meramente compensativo, ricollegandovi una funzione anche, se non del tutto, sanzionatoria. Con riguardo all’interpretazione dell’art.96 cpc si sono delineati in dottrina diversi orientamenti. Secondo un primo filone giurisprudenziale, l’art.96 cpc è finalizzato ad agevolare la condanna al risarcimento dei danni, pur in assenza di prova circa la relativa ricorrenza. Pertanto, ai fini della sua applicazione, dovrà sussistere comunque la fattispecie della lite temeraria, dovendosi ritenere, altresì, esistente un conseguente pregiudizio: è, quindi, alla misura dello stesso che andrà parametrata la condanna pecuniaria . Secondo un secondo filone giurisprudenziale, deve riconoscersi maggior autonomia al dettato normativo di cui all’art.96 cpc, atteso che il danno potrebbe essere risarcibile anche in caso di colpa lieve, da riscontrarsi nella semplice violazione dei doveri di lealtà e probità di cui all’art.88 cpc. In entrambe tali ipotesi la fattispecie rimarrebbe delimitata al terreno aquiliano con la conseguenza che, ai fini della determinazione della somma dovuta, il giudice dovrebbe esaminare le ripercussioni negative patite dalla parte vittoriosa, rispettivamente il danno non patrimoniale. Infine, secondo altro ulteriore filone giurisprudenziale, l’art.96 cpc deve intendersi come una norma tesa ad attribuire al giudice poteri repressivi e sanzionatori in quanto la stessa avrebbe ad oggetto non un illecito civile, ma un illecito a rilevanza pubblica: di conseguenza, la condanna verterebbe sul risarcimento di un vero e proprio danno punitivo, da determinarsi a prescindere dalla verificazione di un pregiudizio concreto a carico della parte vittoriosa e dalla sussistenza di un illecito caratterizzato da dolo o colpa grave. In tale prospettiva, la condanna non sarebbe diretta a fronteggiare i pregiudizi patiti dal danneggiato, ma a sanzionare la parte soccombente in ragione del suo comportamento processuale scorretto; si tratterebbe, perciò, di un vero e proprio danno punitivo. Ed infatti, l’art.96 cpc non sarebbe più inteso solo come tradizionale strumento risarcitorio posto a tutela di interessi privatistici, inserendosi nel contesto della disciplina del danno aquiliano, ma avrebbe altresì una funzione sanzionatoria di una condotta riprovevole e dannosa per l’interesse della collettività. La soluzione interpretativa senza dubbio più convincente è quella di configurare l’istituto come uno strumento sanzionatorio da utilizzarsi come mezzo repressivo e deflattivo del contenzioso inutile, tipico dell’abuso del processo; in tale ottica si profila una ipotesi di condanna punitiva con piena e totale discrezionalità del giudice nella determinazione del quantum. Si segnalano le ben 13 decisioni pubblicate sulla rivista. 1).ART.96 CPC: È CONDANNATO CHI RIPROPONE LA STESSA DOMANDA DECISA CON SENTENZA SFAVOREVOLE La riproposizione della medesima azione integra l’abuso del processo con condanna ex art.96 terzo comma cpc. La parte che, nonostante sentenza di sfavore passata in giudicato, riproponga la medesima domanda giudiziale, con lo stesso oggetto e verso lo stesso convenuto, deve essere condannata d’ufficio ai sensi dell’art.96, comma III cpc, per lite temeraria. Sentenza|Tribunale di Trento, Giudice dott. Carlo Ancona|11-06-2013|n.199 2).LITE TEMERARIA: L’ART.96 CPC È APPLICABILE AL PROCESSO TRIBUTARIO Il giudice tributario può condannare l’Amministrazione finanziaria al risarcimento del danno per lite temeraria ex art.96 cpc. Il ricorrente aveva chiesto non soltanto l’annullamento della propria obbligazione tributaria ma anche la condanna delle intimate Agenzia delle Entrate ed Equitalia al risarcimento del danno per lite temeraria ex art.96 cpc, in virtù dell’ingiusta perdita di tempo sottratto alla propria attività professionale. Ordinanza|Cassazione civile, sezioni unite|03-06-2013|n.13899 3).LITE TEMERARIA: L’INGIUSTIFICATA INIZIATIVA DELLA PARTE È CONDANNATA EX ART.96 CPC La temerarietà della lite si rileva anche dalla dinamica degli accadimenti della vicenda. Quando dal tenore complessivo della controversia e dalle motivazioni esposte, si evince che le parti hanno agito alla stregua di una iniziativa concretizzatasi in un ingiusto danno per la controparte che si rinviene negli "oneri di ogni genere che questa abbia dovuto affrontare per essere stata costretta a contrastare l'ingiustificata iniziativa dell'avversario e dai disagi affrontati per effetto di tale iniziativa, danni la cui esistenza può essere desunta dalla comune esperienza” il Giudice le condanna ex art.96 cpc. Sentenza|Tribunale di Lecce, Giudice dott. Paolo Moroni|09-05-2013|n.1534 4).FIRMA FALSA SU CONTRATTO: CONDANNA EX ART.96 CPC La condanna per lite temeraria non necessita della instaurazione del contraddittorio essendo posterius e non prius logico delle decisioni di merito. Il Giudice ha così ritenuto, che ricorresse il requisito della mala fede o della colpa grave atteso che, dopo aver falsificato la firma sul contratto l’operatore di telefonia ha ignorato la denuncia penale e il tentativo di conciliazione, condannando per l’effetto la parte convenuta ex art.96, terzo comma, cpc. Sentenza|Giudice di Pace di Gaeta, avv. Marianna Oliviero|13-04-2013|n.1870 5).ART.96 CPC: IL PRETESTUOSO DISCONOSCIMENTO DELLA FIRMA INTEGRA LA RESPONSABILITÀ AGGRAVATA FINALMENTE emessa condanna di ufficio ex art.96 cpc pari al 4% del capitale del decreto ingiuntivo. Il Tribunale di Lodi in persona del dottor Sergio Rossetti con sentenza del 04/04/2013 ha respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo, condannando d’ufficio l’opponente (il quale aveva proposto una opposizione meramente dilatoria contestando tra l’altro l’autenticità delle proprie sottoscrizioni), al pagamento di euro 33.280,00 giusto il disposto del riformato art.96, comma 3, cpc, di una somma pari al 4% del capitale come indicato in decreto. Sentenza|Tribunale di Lodi dottor Sergio Rossetti|04-04-2013 6).LITE TEMERARIA: SUSSISTE NEL CASO DI OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE SUGLI STESSI MOTIVI DELL’OPPOSIZIONE A PRECETTO La mera riproposizione dei motivi di opposizione a precetto innanzi al Giudice dell’Esecuzione integra la lite temeraria. Su tali comportamenti processuali si è pronunziato il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 25/2/2013, emessa dal Giudice dell’Esecuzione, Dott. Massimo Giunta, che ha qualificato TEMERARIA la condotta tenuta dal debitore. Ordinanza|Tribunale di Bologna, Giudice dell'esecuzione dott. Massimo Giunta|21-02-2013 7).ART.96 CPC: MALA FEDE E COLPA GRAVE QUALI COMPORTAMENTI SPECIFICI DELLA PARTE La parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave può essere condannata dal giudice, anche di sua iniziativa, al pagamento di una somma, equitativamente determinata in favore della parte vittoriosa, alla quale, proprio per il carattere officioso della pronuncia, ben può attribuirsi natura sanzionatoria. I convenuti avevano proposto domanda riconvenzionale di condanna dell’attrice ai sensi, rispettivamente, dell’art.89 primo comma cpc e dell’art.96 cpc ai fini della determinazione della condanna ex art.96 cpc il principale criterio è quello della gravità della condotta temeraria, qualificabile come colpa grave sfociante nella male fede. Sentenza|Tribunale di Verona, sezione IV Civile, dott. Massimo Vaccari|25-01-2013 8).LITE TEMERARIA: IL DISCONOSCIMENTO DI SOTTOSCRIZIONE AUTOGRAFA È FONTE DI CONDANNA Il disconoscimento della sottoscrizione autografa esprime un oggettivo connotato di mala fede da parte dell’autore del disconoscimento. Il Tribunale di Monza, con sentenza del 9 gennaio 2013 ha disposto la condanna d’ufficio ex art.96, comma terzo, cpc, nei confronti della resistente, proprietaria di un immobile ad uso abitativo, soccombente in un procedimento relativo alla richiesta di restituzione di spese condominiali avanzata dalla conduttrice. Sentenza|Tribunale di Monza, Giudice dott. Manuela Laub|09-01-2013 9).LITE TEMERARIA: LA DOMANDA EX ART.96 CPC È SVINCOLATA DALLE PRECLUSIONI ASSERTIVE la domanda risarcitoria non altera il thema decidendum della lite e può essere avanzata sino all'udienza di precisazione delle conclusioni. Con la decisione emessa in data 03.01.2013, il Tribunale di Monza ribadisce un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui la domanda ex art.96 cpc è svincolata dalle preclusioni assertive tipiche del giudizio di cognizione. Sentenza|Tribunale di Monza, sezione seconda|03-01-2013 10).DANNO PUNITIVO NELL’OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO L’atteggiamento processuale può indurre la condanna d’ufficio ex art.96 cpc. Il tenore dell’opposizione e l’atteggiamento processuale della parte, palesemente dilatorio, possono indurre i Giudici a far uso del potere officioso loro previsto dall’art.96 comma terzo cpc. Sentenza|Tribunale di Milano, Giudice Unico dott. Federico Rolfi|04-12-2012 11).CLAUSOLA COMPROMISSORIA – MANCATA ADESIONE – CONDANNA PER LITE TEMERARIA La mancata adesione all’eccezione di incompetenza per clausola compromissoria può comportare la condanna per lite temeraria. La mancata adesione ad una eccezione di incompetenza per effetto di una clausola compromissoria sulla base di argomenti pretestuosi, ed in parte contraddetti da un orientamento giurisprudenziale consolidato, senza farsi carico di addurre le ragioni di controparte per cui deve essere disatteso, induce a ritenere la difesa connotata da mala fede per cui può essere adottata la condanna ai sensi dell’art.96 cpc. Sentenza|Tribunale di Verona, Giudice Unico dott. Massimo Vaccari|22-11-2012 12).RIASSUNZIONE DEL GIUDIZIO INTERROTTO: CONDANNA PER LITE TEMERARIA Condannato il creditore che riassume il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo interrotto per fallimento. Deve essere condannato al risarcimento del danno per lite temeraria ex art.96 cpc il creditore che attivi personalmente la riassunzione del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo ex art.546 cpc, nonostante sia intervenuta la dichiarazione di fallimento del proprio debitore. Sentenza|Tribunale di Brescia, Sezione Commerciale, Giudice dott. Adalberto Stranieri|02-08-2012 13).LITE TEMERARIA: E’ PUNITO EX ART.96 CPC CHI AGISCE SOLO PER SOTTRARSI AD UNA LEGITTIMA ESECUZIONE Il giudice che accerta la pretestuosità e la infondatezza dell’azione condanna la parte al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza. Nel caso di specie, il Tribunale di Taranto ha condannato, ai sensi dell’art.96 cpc la parte soccombente al pagamento di una somma di denaro determinata in via equitativa, tenuto conto del credito oggetto della lite, per aver quest’ultimo perseguito maliziosamente il solo scopo di sottrarsi ad una legittima esecuzione e stante la manifesta ed evidente pretestuosità e infondatezza della sua azione. Sentenza|Tribunale di Taranto, Sezione III, Giudice dott. Pietro Genoviva|08-06-2012

venerdì 12 settembre 2014

Tribunale di Ascoli Piceno: Equitalia non può notificare la 'cartella esattoriale' senza l’intermediazione di un ufficiale della riscossione.)

Tribunale di Ascoli Piceno: Equitalia non può notificare la 'cartella esattoriale' senza l’intermediazione di un ufficiale della riscossione

lunedì 7 luglio 2014

Cassazione penale: anche se non servono elementi di riscontro, il teste deve essere credibile!!

Cassazione penale: anche se non servono elementi di riscontro, il teste deve essere credibile!! Anche se l'efficacia probatoria di una testimonianza non è subordinata alla sussistenza di elementi di riscontro, le dichiarazioni del teste, devono essere credibili. Lo ha stabilito la sesta sezione penale della Cassazione, con sentenza n. 27185 del 23 giugno 2014, chiamata a pronunciarsi in una vicenda riguardante due educatrici di un asilo nido imputate del reato di maltrattamenti di minori alle stesse affidati. Condannate in primo grado, le imputate venivano assolte dalla Corte d'Appello che riformava la sentenza pronunciata dal tribunale perché il fatto non sussiste. Preliminarmente rilevando l'estinzione del reato per l'intervenuto decorso del termine prescrizionale, la S.C. ha accolto nel merito i ricorsi (del procuratore generale e della parte civile), annullando senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al reato e cogliendo l'occasione per ribadire le regole relative alla valutazione della prova orale. In particolare, ha sottolineato la Corte, è principio costante nella giurisprudenza, quello secondo il quale esclusa la necessità che la testimonianza debba essere corroborata dai cosiddetti "elementi di riscontro", il giudice debba "limitarsi a verificare l'intrinseca attendibilità della testimonianza stessa, partendo però dal presupposto che, fino a prova contraria, il teste riferisce fatti obiettivamente veri, o da lui ragionevolmente ritenuti tali". La Cassazione ha chiarito, altresì, che l'espressione "fino a prova contraria" non significa che "la deposizione testimoniale non possa essere disattesa se non quando risulti positivamente dimostrato il mendacio, ovvero il vizio di percezione o di ricordo del teste, ma solo che devono esistere elementi positivi atti a rendere obiettivamente plausibile l'una o l'altra di dette ipotesi". Da ciò discende che le dichiarazioni di un testimone devono risultare credibili "oltrechè avere ad oggetto fatti di diretta cognizione e specificamente indicati, con il logico corollario che, contrariamente ad altre fonti di conoscenza, come le dichiarazioni rese da coimputati o da imputati in reati connessi, esse non abbisognano di riscontri esterni, il ricorso eventuale ai quali è funzionale soltanto al vaglio di credibilità del testimone". Testo sentenza Corte di Cassazione n. 27185 del 23 giugno 2014

sabato 28 giugno 2014

Cartelle di pagamento: gli avvisi di ricevimento non bastano a provare cosa è contenuto nella raccomandata.

Cartelle di pagamento: gli avvisi di ricevimento non bastano a provare cosa è contenuto nella raccomandata

Se le cartelle di pagamento sono prive di relata di notifica, l'avviso di ricevimento non è sufficiente a costituire prova di valida e completa notificazione. È quanto ha affermato la Commissione Tributaria di Vicenza, con sentenza del 28 marzo 2014, in una vicenda riguardante una contribuente che aveva ricevuto, nel 2013, un'intimazione di pagamento di due diritti camerali relativi all'anno 1999, in virtù di un'iscrizione alla CCIAA di Roma e di Vicenza, contemporaneamente per il medesimo anno.

Fonte: Cartelle di pagamento: gli avvisi di ricevimento non bastano a provare cosa è contenuto nella raccomandata 
(www.StudioCataldi.it) 

mercoledì 14 maggio 2014

L'orientamento giurisprudenziale""""Sono chiamate sentenze "a sorpresa", "solitarie" o della "terza via",""

Sono chiamate sentenze "a sorpresa", "solitarie" o della "terza via", quelle pronunce nelle quali il giudice decide, sulla base di questioni, rilevate d'ufficio e sulle quali tra le parti non c'è stato alcun confronto processuale: il fenomeno ricorre, in sostanza, quando il giudice, nella decidere una controversia, sovrappone al dibattito processuale una questione che non è stata mai sottoposta al controllo e alla discussione delle parti, violando così non solo il principio del contraddittorio, ma anche il diritto alla difesa. La tematica è stata per anni oggetto di dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza, con riferimento alle implicazioni che la garanzia costituzionale del giusto processo e in particolare della ragionevole durata e del contraddittorio (ex art. 111 Cost.), pone in relazione alle decisioni "a sorpresa". In questo dibattito, orientato su due posizioni contrastanti, definite dalla stessa dottrina "rigoriste" (o "garantiste") e "sostanzialiste", è intervenuto il legislatore con la c.d. "miniriforma" di cui alla l. n. 69 del 18.6.2009, e in particolare con l'introduzione di un secondo comma all'art. 101 c.p.c., sanzionando con la nullità queste sentenze di "terza via". L'orientamento giurisprudenziale Nella giurisprudenza ante riforma, la tematica dell'invalidità della sentenza solitaria in caso di omesso contraddittorio su questioni rilevate ex officio aveva dato origine nel tempo ad "un'articolata polifonia interpretativa" (Cass. S.U. n. 20935/2009). Un consolidato e risalente orientamento si attestava sulla validità delle sentenze "solitarie" affermando che l'indicazione alle parti di eventuali questioni rilevate d'ufficio, ad opera del giudice istruttore, fosse "attività squisitamente discrezionale, il cui mancato uso, lungi dal poter formare oggetto di un motivo di impugnazione per violazione della legge processuale, comporta soltanto una maggiore attivazione probatoria della parte che avrebbe avuto interesse a rendere i chiarimenti stessi" (v. Cass. n. 2712/1982). Fu la sentenza n. 14637/2001 della S.C., da molti definita "rivoluzionaria" che, riconoscendo la nullità della sentenza solitaria, diede l'avvio al filone interpretativo che la dottrina ha definito "rigorista" o "garantista". La decisione, frutto della riflessione avviata sul nuovo testo dell'art. 111 (come modificato dalla l. n. 2/99), configura un vero caso di scuola sulle questioni rilevate d'ufficio, nella fase decisoria, non sottoposte al previo contraddittorio delle parti. Ritenendo che l'indicazione alle parti delle questioni rilevabili d'ufficio delle quali il giudice ritiene opportuna la trattazione, imposta dal comma 4 dell'art. 183 c.p.c., sia espressione piena del principio del contraddittorio che governa il processo, la corte afferma che si tratta di un principio che "il giudice deve far osservare e deve osservare egli per primo, tant'è che deve significare alle parti le questioni che ritiene rilevino, cosicché esse non possano trovarsi di fronte ad una decisione a sorpresa, adottata sulla base di una terza via rispetto a quelle alternativamente da esse sostenute". Nella stessa direzione si colloca la sentenza della S.C. n. 16577/2005 che afferma la nullità della sentenza "a sorpresa" per violazione del diritto di difesa delle parti, private dell'esercizio del contraddittorio e, dunque, delle facoltà allo stesso connesse di modificare domande ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie sul rilievo che ha condotto alla decisione solitaria, purchè la questione sollevata d'ufficio sia rilevante ai fini dell'invalidità della sentenza stessa: deve trattarsi cioè di questione che "comporti nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti, modificando il quadro fattuale". Emblematica anche la sentenza n. 21108/2005 della terza sezione della S.C. la quale, riconducendo la mancata segnalazione della questione ex officio in una violazione del dovere di collaborazione del giudice con le parti, inerente alla sua posizione super partes, precisa che la regola di cui all'art. 183, comma 4, c.p.c. vale per l'intero corso del processo, essendo intrinseco al corretto svolgimento di un giusto processo il principio del contraddittorio (art. 111 Cost.), interpretando così estensivamente la disposizione del codice di rito, prima della modifica introdotta dal legislatore all'art 101 c.p.c. In contrapposizione all'orientamento "garantista", si pongono le pronunce della giurisprudenza ante riforma aderenti all'indirizzo "sostanzialista", le quali in assenza di una previsione normativa espressa che ne sancisca la nullità, propendono per la validità delle sentenze della "terza via". Rilevante, in tal senso, la pronuncia n. 15705/2005, della II sezione della S.C., la quale, condividendo l'orientamento risalente "secondo cui non è affetta da nullità e non è oggetto di alcuna censura la sentenza che si fonda su una questione rilevata d'ufficio al momento dell'assunzione della decisione e non sottoposta dal giudice al preventivo contraddittorio delle parti" ha affermato che "non può infatti essere pronunciata la nullità di atti del processo se la nullità non è comminata dalla legge: una disposizione in tal senso manca nell'art.183 c.p.c." (in senso conforme Cass. S.U. n. 18128/2005). Infine, giova dare rilievo all'importante sentenza delle sezioni unite n. 20935/2009, la quale, pur collocandosi in linea con l'orientamento predicativo della validità delle sentenze di "terza via", pone rilevanti distinguo, tanto da potersi considerare una sorta di sintesi dei due orientamenti principali. Affermando che "il principio della tassatività delle nullità non trova applicazione per le nullità extraformali qual è appunto quella derivante dalla violazione del principio del contraddittorio", il collegio sottolinea il nodo problematico ancora aperto sulla nullità, indefettibile o meno, della sentenza a causa dell'omessa indicazione di questione rilevabile d'ufficio, ritenendo infine che, ferma restando la violazione da parte del giudicante, la nullità processuale non possa essere sempre predicata ipso facto. Gli orientamenti dottrinali In dottrina, anche prima della modifica normativa del 2009, vi era una sostanziale uniformità di intenti sul fatto che di fronte alla palese violazione del contraddittorio nelle vicende processuali, determinata dalla decisione solitaria del giudice, dovesse esservi qualche conseguenza, tuttavia emergevano diverse differenze in ordine a quale dovesse essere detta conseguenza e alle ipotesi applicabili, dando luogo, come in giurisprudenza, ai due orientamenti contrapposti dei "rigoristi" e dei "sostanzialisti". Da una parte, infatti, illustri autori propendevano per la nullità della sentenza (tra cui F.P. Luiso, L. Montesano, G. Tarzia, ecc.); dall'altra si affermava che non fosse possibile utilizzare tale sanzione, pur ritenendo auspicabile un intervento del legislatore (v. Taruffo), ovvero che fosse illegittimo colpire l'atto con il rimedio radicale della nullità (v., su questa posizione, S. Chiarloni; C. Consolo; E.F. Ricci). Tra i primi ad affrontare la tematica delle sentenze di "terza via", anticipando quelli che saranno i successivi interventi legislativi e collocandosi in quella corrente dottrinaria denominata "garantista", fu L. Montesano ("La garanzia costituzionale del contraddittorio e i giudizi civili di terza via", Riv. Dir. Proc., 2000, 929 e ss.), secondo il quale, dall'art. 111 della Costituzione, riformato dalla legge n. 2/1999, nonché dall'essenzialità della garanzia del contraddittorio e del principio di difesa ex art. 24 Cost, si desume chiaramente il divieto delle sentenze di terza via, con la conseguente invalidità del provvedimento. Anche per altro illustre autore (F.P. Luiso, "Questioni rilevate d'ufficio e contraddittorio: una sentenza rivoluzionaria?", in Giust. Civ., 2002), le decisioni fondate su questioni rilevabili d'ufficio e non segnalate alle parti integrano la violazione del principio del contraddittorio, indipendentemente dalla natura delle questioni stesse. Luiso sostiene infatti che "ritenere che la decisione solitaria non produca la lesione del contraddittorio perché esse (le questioni rilevate d'ufficio) sono pur sempre conoscibili dalle parti è argomento che prova troppo: in tale direzione, si potrebbero eliminare le comparse conclusionali e le repliche (con le quali non si può ampliare la quaestio facti), oppure eliminare in cassazione, le memorie e la discussione orale". Per l'autore, la valenza del contraddittorio, andando oltre la garanzia per le parti di addurre nuovi elementi o domande, è quasi "etica", essendo una questione discussa "decisa meglio di una questione solitariamente affrontata". Su posizioni opposte si colloca altro interprete (S. Chiarloni, "La sentenza della terza via in Cassazione: un altro caso di formalismo delle garanzie?", Giur. It., 2002, p. 1363-1364), il quale abbraccia l'orientamento sostanzialista, affermando che pur in presenza di una violazione del giudice del preciso dovere di stimolare il contraddittorio delle parti sulla questione ex officio, la sentenza della "terza via" è "perfettamente valida". In particolare, non si può parlare di nullità della sentenza se la questione, pur rilevata d'ufficio e non sottoposta al previo contraddittorio delle parti, sia stata decisa correttamente; viceversa, la sentenza può considerarsi viziata ma non già per avere omesso il contraddittorio. In realtà, giova sottolineare come vi fosse, ante riforma, una sostanziale armonia di opinioni in dottrina relativamente all'obbligo (e non alla facoltà) per il giudice di sollevare il contraddittorio sulle questioni rilevabili d'ufficio. In merito, lo stesso Chiarloni, sostenitore della validità delle sentenze "a sorpresa", ha puntualizzato come esista "uno stringente dovere del giudice, sanzionabile anche in via disciplinare, di obbedire al comando dell'art. 183 terzo comma c.p.c." che impone di sollecitare il contraddittorio sulle questioni ex officio, riconducendo tuttavia tale obbligo al principio di collaborazione tra i soggetti processuali e non alla violazione del contraddittorio. La riforma legislativa L'intervento del legislatore, con la l. n. 69/2009, ha sanzionato con la nullità le sentenze "a sorpresa" o della "terza via", aggiungendo all'art. 101 c.p.c. un secondo comma secondo cui "Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione". Rafforzando così l'esigenza di giustizia posta a fondamento del "principio del contraddittorio", il legislatore ha inteso porre un punto fermo sui "disorientamenti" esistenti sulla questione della validità o invalidità delle decisioni di terza via (G. Costantino, "Questioni processuali tra poteri del giudice e facoltà delle parti", Riv. dir process. 2010), risolvendo la "querelle" sull'alternativa tra l'obbligo o la facoltà del giudice di indicare le questioni rilevabili d'ufficio, muovendosi chiaramente verso la prima ipotesi e optando, altrettanto chiaramente, per la sanzione della nullità. Tuttavia, residuano i dubbi, posti anche prima della novella, sulla portata applicativa dell'obbligo, ovvero se la nullità della decisione a sorpresa debba essere comminata comunque, indipendentemente dalla circostanza che ne sia derivato o meno un pregiudizio concreto alla parte e sui rimedi esperibili. Gli imperativi costituzionali (ex artt. 24 e 111 Cost.) e la funzione del contraddittorio conducono ad interpretare lato sensu l'obbligo del giudice, con il limite della rilevanza effettiva della questione della lite rispetto alla sentenza in linea con l'interpretazione della sentenza delle S.U. n. 20935/2009 e di diverse pronunce post riforma, e a condizionare la nullità al solo ricorrere di una concreta lesione del diritto di difesa delle Fonte: La nullità delle sentenze "a sorpresa" o della "terza via" (www.StudioCataldi.it)

martedì 13 maggio 2014

INSIDIA STRADALE

INSIDIA STRADALE e FATTO DEL CONDUCENTE che esclude il nesso causale - Cass., Sez. III, 10.3.2014, n. 5494 - Pres. Est. PETTI 20 diventa fan di Paolo M. Storani - Già con la pronuncia n. 5910 dell'11 marzo 2011, Pres. Mario Finocchiaro ed Est. Maurizio Massera, che aveva riguardato il Comune di Sassari, si era affermato il principio dell'onere a carico del danneggiato di provare il nesso causale tra la cosa ed il danno. Ora torna in argomento con altre precisazioni Cass., Sez. III, 10 marzo 2014, n. 5494, Pres. e Rel. Giovanni Battista PETTI, con Marco Rossetti, Giovanni Carleo, Giuseppina Luciana Barreca e Francesco Maria Cirillo a completare il Collegio, e si occupa della tragica vicenda di un automobilista, iniziali R.T., che, alla guida di una potente Bmw, perdeva la vita per l'asserita inidoneità della barriera protettiva della scarpata sovrastante un bacino Il pilota, nell'effettuare una curva pericolosa, usciva di strada, urtava il muretto di protezione, lo infrangeva e sfondava e precipitava nel lago sottostante, decedendo. Gli eredi, vedova e figli, convenivano avanti al Tribunale di Rieti la Provincia, ente custode e manutentore del tratto viario, e ne chiedevano la condanna al risarcimento di tutti i danni derivati dal decesso del congiunto. Gli istanti, infatti, sostenevano che il muretto posto a protezione della curva pericolosa fosse inadeguato. Si costituiva l'Amministrazione reatina contestando il fondamento della domanda. Il Tribunale di Rieti rigettava le richieste dei familiari dell'automobilista deceduto nel sinistro, condannandoli alla refusione delle spese del grado. Gli attori non si rassegnavano ed adivano la Corte d'Appello di Roma per la riforma della decisione di prime cure. Con sentenza di data 30 gennaio 2007 la Corte distrettuale capitolina rigettava l'impugnazione con ulteriore condanna degli appellanti agli oneri del secondo grado per le spese sopportate dalla Provincia di Rieti. La vicenda, per la giustificata ostinazione degli istanti, perveniva alla Corte Suprema; quella che segue è la sintesi dei motivi che ne fa l'autorevole e prestigioso Estensore. Tale esposizione risulta estremamente utile anche per chi si trovasse ad affrontare un analogo, problematico ricorso per cassazione, pur con gli opportuni adattamenti conseguiti alle novità dei recenti interventi riformatori sulla disciplina del giudizio di legittimità (sui quali si rimanda, a mo' d'esempio, all'agile volume a cura di Luigi LEVITA, giudice del Tribunale di Nocera Inferiore, "Il ricorso per cassazione", edito da Nuova Giuridica, Matelica, nel febbraio 2014). Infatti, il S.C. ha sì recepito il terzo motivo, sovvertendo in tal modo il responso della doppia conforme, Tribunale Rieti + Corte di Appello Roma, ed ha affermato a chiare note che sussisteva l'obbligo per l'ente gestore di custodire e manutenere quel tratto viario pericoloso. Ma, purtroppo per i ricorrenti, la correzione della motivazione nel punto in cui esclude la responsabilità per custodia, in relazione all'inesigibilità del dovere di manutenzione e di tenere la strada in condizione di sicurezza, non dà esiti concreti e fausti ai fini dello statuire. In ultima analisi, il risultato della statuizione - che pure inverte l'onere della prova a svantaggio della Provincia reatina - in ordine al fattore determinante della condotta umana, equivalente al caso fortuito, in concreto non rende la decisione correggibile e non permette, quindi, l'accoglimento delle richieste dei congiunti di R.T., deceduto nell'occorso. 'Nel primo motivo del ricorso si deduce error in iudicando per violazione e falsa applicazione del D.L. Lavori pubblici 4 maggio 1990,del D.M. 18 febbraio 1992, n. 233; dell'art. 41 c.p.; degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione allo art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè il vizio della motivazione, omessa contraddittoria o insufficiente su punto decisivo. I quesiti ai fogli 10 ed 11 del ricorso sono espressi nei seguenti termini: "Ai sensi del D.Lgs. n. 285 del 1992, artt. 13 e 14, e del D.M. n. 233 del 1992, artt. 1 e 3, sussiste uno specifico dovere giuridico dell'ente pubblico, proprietario e gestore della strada, di installare apposite barriere di sicurezza,progettate ed omologate secondo le norme tecniche dettate dalla legge, nei tratti viari che si sviluppano su scarpate ad andamento discendente che arrivano fino ad un lago o ad altri corsi di acqua al fine di garantire per quanto possibile il contenimento di veicoli che tendano ad uscire dalla carreggiata?" "Una strada curvilinea, sviluppata lungo una scarpata discendente verso il lago, è soggetta alla applicazione del D.M. 2 febbraio 1992, n. 233, e conseguentemente all'obbligo dell'ente gestore di provvedere all'adeguamento delle barriere di sicurezza a margine della carreggiata attraverso la istallazione di guard rail progettati ed omologati secondo istruzioni tecniche predisposte in allegato al suddetto decreto?" Con il secondo motivo si deduce error in iudicando per violazione degli artt. 40 e 41 c.p., e degli artt. 112, 115 e 115 c.p.c., nonchè l'omessa motivazione su punto decisivo della controversia. Il quesito al foglio 15 recita: "Una barriera stradale inadeguata ed incapace di resistere all'urto di una vettura ad una velocità di 20 km orari può costituire causa autonoma e sufficiente della morte per annegamento del conducente del veicolo che, perdendo il controllo della vettura fuoriesca dalla carreggiata e precipiti nelle acque sottostanti dopo avere infranto la suddetta barriera?". Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2697 c.c., del D.M. n. 233 del 1992, 3 e 3, il D.Lgs. n. 285 del 1992, artt. 13 e 14, degli artt. 40 e 48 c.p., degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione allo art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè il vizio della motivazione su punto decisivo delle controversia. I quesiti sono formulati ai fogli 18 e 19 configurando la responsabilità della pubblica amministrazione con riferimento al bene demaniale di cui ha il controllo e la prevenzione delle situazioni di pericolo e sostenendo la tesi della responsabilità a norma dello art. 2051, con inversione dell'onere probatorio in caso di danno cagionato a terzi dalla cosa in custodia. Con il quarto motivo si deduce: violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c., del D.M. sopraccitato e del D.Lgs. n. 285 del 1992, artt. 13 e 14, artt. 40 e 41 c.p., artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 350 c.p.c., n. 3, ed inoltre il vizio della motivazione su punto decisivo. Il quesito al foglio 21 recita: "Può escludere il giudice di merito aprioristicamente la sussistenza di una responsabilità ai sensi dello art. 2043 c.c., per mancanza degli elementi di insidia e trabocchetto, senza neppure procedere alla analisi del comportamento del danneggiante al fine di considerarne il carattere eventualmente colposo?". "La mancata sostituzione, da parte del proprietario della strada, di una barriera stradale vetusta e costruita con materiali e tecniche inidonee a resistere allo impatto di una autovettura in marcia ad una velocità di venti km orari, può costituire comportamento colposo ai sensi dello art. 2043 c.c., ove dalla collisione con la suddetta barriera consegua la caduta nel lago sottostante della vettura e il conseguente decesso per annegamento del conducente?". Con il quinto motivo si deduce error in iudicando per la violazione degli artt. 92 e 112 c.p.c., ed il vizio della motivazione in punto di mancata compensazione delle spese in presenza di giusti motivi come dedotti sin dal primo grado. Il quesito è in termini al foglio 25. A tutti i motivi ha replicato il controricorrente anche con memoria. CONFUTAZIONE IN DIRITTO. Il ricorso, pur articolandosi in cinque motivi, di cui i primi quattro attengono alla ricostruzione della dinamica del sinistro ed alla imputazione alla Provincia della responsabilità civile, ai sensi dell'art. 2043 c.c., avendo la Corte escluso l'obbligo di custodia per le particolari estese dimensioni della strada provinciale, non può trovare accoglimento, in quanto i motivi, pur dotati di quesiti sufficientemente specifici, non appaiono congrui, i primi quattro, a dimostrare la erroneità della motivazione della Corte di appello in tema di ricostruzione della dinamica, del nesso di causalità e della condotta del conducente del mezzo che guidava in stato di ebbrezza, senza indossare le cinture di sicurezza, in un tratto di strada che recava ben visibili i segnali di pericolo, anche in ora notturna. Al foglio 7 della motivazione si legge dunque che R.T. non era in grado di guidare in condizioni di sicurezza una potente autovettura e che uscì di strada, sfondando il muretto e precipitando nella scarpata, mentre avrebbe potuto evitare tale evento se fosse stato compos sui, tanto più che le caratteristiche della strada che frequentava abitualmente, gli erano note. Pur dovendosi correggere la motivazione nel punto in cui esclude la responsabilità per custodia, in relazione alla inesigibilità del dovere di manutenzione e di tenere la strada in condizione di sicurezza, il risultato della statuizione in ordine al fattore determinante della condotta umana, equivalente al caso fortuito, in concreto non rende la decisione emendabile con l'accoglimento del terzo motivo, essendo ormai consolidato lo indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, secondo cui, pur dovendosi applicare alla provincia, quale custode e manutentore della strada, il criterio della inversione dell'onere della prova, nel caso di specie è stato accertato il fattore esterno costituito dal fatto dello stesso danneggiato che ha rotto il nesso eziologico tra la cosa in custodia e lo evento lesivo. Vedi in tal senso le recenti Cass. 11 marzo 2011, n. 5910, e Cass. 13 febbraio 2006, n. 22284. Orbene, la chiara ratio decidendi della motivazione non risulta oggetto di specifica impugnazione in nessuno dei primi quattro motivi del ricorso, che risultano pertanto incongrui rispetto alla fattispecie considerata dai giudici del merito, a base del rigetto delle pretese risarcitorie. Resta inammissibile il quinto motivo posto che le spese di lite seguono il criterio della soccombenza, che sussiste anche in questa sede. Il ricorso deve essere pertanto rigettato per la incongruità dei primi quattro motivi e la inammissibilità del quinto. I ricorrenti sono tenuti a rifondere alla Provincia di Rieti le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo." Per dovere di cronaca, gli istanti hanno dovuto sopportare per la terza volta il carico delle spese legali che la decisione del S.C., adottata nella camera di consiglio del 17 ottobre 2013, ha quantificato in € 3.200,00. Fonte: INSIDIA STRADALE e FATTO DEL CONDUCENTE che esclude il nesso causale - Cass., Sez. III, 10.3.2014, n. 5494 - Pres. Est. PETTI

lunedì 14 aprile 2014

DEI DELITTI CONTRO LA PERSONA

DEI DELITTI CONTRO LA PERSONA Articolo 612 - Minaccia (aggiornato al 03/01/2013) Articolo 613 - Stato di incapacità procurato mediante violenza Capo III - Dei delitti contro la libertà individuale Sezione III - Dei delitti contro la libertà morale Articolo 612 bis - Atti persecutori LIBRO II - DEI DELITTI IN PARTICOLARE TITOLO XII - Dei delitti contro la persona Capo III - Dei delitti contro la libertà individuale Sezione III - Dei delitti contro la libertà morale Atti persecutori (1) Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, e' punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumita' propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena e' aumentata se il fatto e' commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. La pena e' aumentata fino alla meta' se il fatto e' commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilita' di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata. Il delitto e' punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela e' di sei mesi. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto e' commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilita' di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonche' quando il fatto e' connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio. ----- (1) Articolo aggiunto dall'art. 7, DL 23/2/2009, n. 11. Note procedurali competenza: Tribunale monocratico procedibilità: a querela arresto: non consentito (primo e secondo comma) facoltativo (terzo comma) fermo: non consentito misure cautelari personali: consentite

venerdì 4 aprile 2014

Opposizione all’esecuzione presso terzi (Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, 05.06.2007, n. 13069)

Opposizione all’esecuzione presso terzi Cassazione civile , sez. III, sentenza 05.06.2007 n° 13069 (Ilaria Di Punzio) L’illegittima apposizione della formula esecutiva al titolo costituisce motivo di opposizione all’esecuzione o di opposizione agli atti esecutivi? Nel giudizio di opposizione, il terzo pignorato è litisconsorte necessario? / Ilaria Di Punzio / opposizione / esecuzione presso terzi / Opposizione all’esecuzione presso terzi (Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, 05.06.2007, n. 13069) di Ilaria Di Punzio Il quesito: L’illegittima apposizione della formula esecutiva al titolo costituisce motivo di opposizione all’esecuzione o di opposizione agli atti esecutivi? Nel giudizio di opposizione, il terzo pignorato è litisconsorte necessario? Articolo tratto del n° 7/8 luglio/agosto 2007 del supplemento mensile AltalexMese www.altalexmese.it Il supplemento di Altalex per aggiornarsi in poco tempo e capire la giurispudenza Consulta l'indice dell'ultimo numero e scopri come abbonarti Il caso Tizio vanta un credito nei confronti di Caio. Richiede e ottiene un decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo subordinatamente al rilascio di una cauzione bancaria o assicurativa. La cauzione viene prestata da una compagnia di cauzioni e fideiussioni in liquidazione, non autorizzata all’esercizio dell’attività assicurativa. Viene, comunque, apposta la formula esecutiva e Tizio inizia un procedimento di esecuzione presso terzi, pignorando il credito vantato da Caio nei confronti di Sempronio. Caio si oppone all’esecuzione facendo valere l’illegittima apposizione della formula esecutiva. Tizio, costituendosi in giudizio, eccepisce l’inammissibilità dell’opposizione per decorrenza dei termini di cui all’art. 617 c.p.c. e la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di Sempronio. Il Tribunale dichiara inammissibile l’opposizione, ma la decisione viene ribaltata dalla Corte d’Appello. Tizio, allora, ricorre in cassazione. Sintesi della questione. La problematica. Il caso sopra prospettato pone due distinti quesiti. Il primo concerne la qualificazione giuridica dell’azione di opposizione promossa (opposizione all’esecuzione o opposizione agli atti esecutivi?); il secondo, la posizione del terzo pignorato nel giudizio di opposizione (è o non è litisconsorte necessario?). Su entrambi questi problemi, dotati di grande rilevanza pratica, manca un orientamento costante. La normativa Codice di Procedura Civile Articolo 543 Forma del pignoramento Il pignoramento di crediti del debitore verso terzi o di cose del debitore che sono in possesso di terzi, si esegue mediante atto notificato personalmente al terzo e al debitore a norma degli articoli 137 e seguenti. L'atto deve contenere, oltre all'ingiunzione al debitore di cui all'articolo 492: 1) l'indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto; 2) l'indicazione, almeno generica, delle cose o delle somme dovute e l'intimazione al terzo di non disporne senza ordine di giudice; 3) la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale competente; 4) la citazione del terzo e del debitore a comparire davanti al giudice del luogo di residenza del terzo, affinché questi faccia la dichiarazione di cui all'articolo 547 e il debitore sia presente alla dichiarazione e agli atti ulteriori, con invito al terzo a comparire quando il pignoramento riguarda i crediti di cui all'articolo 545, commi terzo e quarto, e negli altri casi a comunicare la dichiarazione di cui all'articolo 547 al creditore procedente entro dieci giorni a mezzo raccomandata. Nell'indicare l'udienza di comparizione si deve rispettare il termine previsto nell'articolo 501. L'ufficiale giudiziario, che ha proceduto alla notificazione dell'atto, è tenuto a depositare immediatamente l'originale nella cancelleria del tribunale per la formazione del fascicolo previsto nell'articolo 488. In tale fascicolo debbono essere inseriti il titolo esecutivo e il precetto che il creditore pignorante deve depositare in cancelleria al momento della costituzione prevista nell'articolo 314. Articolo 648 Esecuzione provvisoria in pendenza di opposizione Il giudice istruttore, se l'opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione, può concedere, con ordinanza non impugnabile, l'esecuzione provvisoria del decreto, qualora non sia già stata concessa a norma dell'articolo 642. Il giudice concede l'esecuzione provvisoria parziale del decreto ingiuntivo opposto limitatamente alle somme non contestate, salvo che l'opposizione sia proposta per vizi procedurali. Deve in ogni caso concederla, se la parte che l'ha chiesta offre cauzione per l'ammontare delle eventuali restituzioni, spese e danni. Articolo 615 Forma dell'opposizione Quando si contesta il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata e questa non è ancora iniziata, si può proporre opposizione al precetto con citazione davanti al giudice competente per materia o valore e per territorio a norma dell'articolo 27. Il giudice, concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte l'efficacia

venerdì 3 gennaio 2014

FAX SIMILE DI DENUNCIA CONTRATTO.

FAX SIMILE DI DENUNCIA CONTRATTO. AGENZIA DELLE ENTRATE OGGETTO:- Richiesta applicazione dell'art 3 comma 8 e 9 D.L.gs .23\2011 Il sottoscritto nato a provincia di il e residente in via\piazza n. codice fiscale PREMESSO che intende Denunciare contratto verbale di locazione non registrato: Dichiara inoltre che il canone di locazione effettivamente corrisposto è pari ad euro______,mensili dal____________al__________..............................................................................................\ Chiede l'applicazione dell'art. 3 ,comma 8 e 9 D.Lgs 23\2011 ( canone anni 4 più 4 ) ed in particolare di calcolare l'imposta per il periodo successivo alla registrazione sul canone annuo pari al triplo della rendita catastale.....................................................\ A tal fine dichiara che la rendita catastale dell'immobile locato è pari a euro____________.- Palestrina,li________. ______________________________ La rendita catastale la rilascia lo stesso ufficio delle entrate...

CONTRATTO IN DI LOCAZIONE IN NERO,AMICI DENUNCIATE IL TUTTO ALL'AGENZIA DELL'ENTRATE.

FAX SIMILE  DI  DENUNCIA CONTRATTO.

    AGENZIA DELLE ENTRATE

OGGETTO:- Richiesta applicazione dell'art 3 comma 8 e 9 D.L.gs .23\2011


Il sottoscritto                                               nato a                               provincia di               il                 e residente in                             via\piazza                                    n.              codice fiscale                              
PREMESSO che intende

Denunciare contratto verbale di locazione non registrato:

Dichiara inoltre che il canone di locazione effettivamente corrisposto è pari ad euro______,mensili dal____________al__________..............................................................................................\
Chiede l'applicazione dell'art. 3 ,comma 8 e 9 D.Lgs 23\2011  ( canone anni 4 più 4 ) ed in particolare di calcolare l'imposta per il periodo successivo alla registrazione sul canone annuo pari al triplo della rendita catastale.....................................................\
A tal fine dichiara che la rendita catastale dell'immobile locato è pari  a euro____________.-

Palestrina,li________.                                            ______________________________

La rendita catastale la rilascia lo stesso ufficio delle entrate...