mercoledì 14 maggio 2014

L'orientamento giurisprudenziale""""Sono chiamate sentenze "a sorpresa", "solitarie" o della "terza via",""

Sono chiamate sentenze "a sorpresa", "solitarie" o della "terza via", quelle pronunce nelle quali il giudice decide, sulla base di questioni, rilevate d'ufficio e sulle quali tra le parti non c'è stato alcun confronto processuale: il fenomeno ricorre, in sostanza, quando il giudice, nella decidere una controversia, sovrappone al dibattito processuale una questione che non è stata mai sottoposta al controllo e alla discussione delle parti, violando così non solo il principio del contraddittorio, ma anche il diritto alla difesa. La tematica è stata per anni oggetto di dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza, con riferimento alle implicazioni che la garanzia costituzionale del giusto processo e in particolare della ragionevole durata e del contraddittorio (ex art. 111 Cost.), pone in relazione alle decisioni "a sorpresa". In questo dibattito, orientato su due posizioni contrastanti, definite dalla stessa dottrina "rigoriste" (o "garantiste") e "sostanzialiste", è intervenuto il legislatore con la c.d. "miniriforma" di cui alla l. n. 69 del 18.6.2009, e in particolare con l'introduzione di un secondo comma all'art. 101 c.p.c., sanzionando con la nullità queste sentenze di "terza via". L'orientamento giurisprudenziale Nella giurisprudenza ante riforma, la tematica dell'invalidità della sentenza solitaria in caso di omesso contraddittorio su questioni rilevate ex officio aveva dato origine nel tempo ad "un'articolata polifonia interpretativa" (Cass. S.U. n. 20935/2009). Un consolidato e risalente orientamento si attestava sulla validità delle sentenze "solitarie" affermando che l'indicazione alle parti di eventuali questioni rilevate d'ufficio, ad opera del giudice istruttore, fosse "attività squisitamente discrezionale, il cui mancato uso, lungi dal poter formare oggetto di un motivo di impugnazione per violazione della legge processuale, comporta soltanto una maggiore attivazione probatoria della parte che avrebbe avuto interesse a rendere i chiarimenti stessi" (v. Cass. n. 2712/1982). Fu la sentenza n. 14637/2001 della S.C., da molti definita "rivoluzionaria" che, riconoscendo la nullità della sentenza solitaria, diede l'avvio al filone interpretativo che la dottrina ha definito "rigorista" o "garantista". La decisione, frutto della riflessione avviata sul nuovo testo dell'art. 111 (come modificato dalla l. n. 2/99), configura un vero caso di scuola sulle questioni rilevate d'ufficio, nella fase decisoria, non sottoposte al previo contraddittorio delle parti. Ritenendo che l'indicazione alle parti delle questioni rilevabili d'ufficio delle quali il giudice ritiene opportuna la trattazione, imposta dal comma 4 dell'art. 183 c.p.c., sia espressione piena del principio del contraddittorio che governa il processo, la corte afferma che si tratta di un principio che "il giudice deve far osservare e deve osservare egli per primo, tant'è che deve significare alle parti le questioni che ritiene rilevino, cosicché esse non possano trovarsi di fronte ad una decisione a sorpresa, adottata sulla base di una terza via rispetto a quelle alternativamente da esse sostenute". Nella stessa direzione si colloca la sentenza della S.C. n. 16577/2005 che afferma la nullità della sentenza "a sorpresa" per violazione del diritto di difesa delle parti, private dell'esercizio del contraddittorio e, dunque, delle facoltà allo stesso connesse di modificare domande ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie sul rilievo che ha condotto alla decisione solitaria, purchè la questione sollevata d'ufficio sia rilevante ai fini dell'invalidità della sentenza stessa: deve trattarsi cioè di questione che "comporti nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti, modificando il quadro fattuale". Emblematica anche la sentenza n. 21108/2005 della terza sezione della S.C. la quale, riconducendo la mancata segnalazione della questione ex officio in una violazione del dovere di collaborazione del giudice con le parti, inerente alla sua posizione super partes, precisa che la regola di cui all'art. 183, comma 4, c.p.c. vale per l'intero corso del processo, essendo intrinseco al corretto svolgimento di un giusto processo il principio del contraddittorio (art. 111 Cost.), interpretando così estensivamente la disposizione del codice di rito, prima della modifica introdotta dal legislatore all'art 101 c.p.c. In contrapposizione all'orientamento "garantista", si pongono le pronunce della giurisprudenza ante riforma aderenti all'indirizzo "sostanzialista", le quali in assenza di una previsione normativa espressa che ne sancisca la nullità, propendono per la validità delle sentenze della "terza via". Rilevante, in tal senso, la pronuncia n. 15705/2005, della II sezione della S.C., la quale, condividendo l'orientamento risalente "secondo cui non è affetta da nullità e non è oggetto di alcuna censura la sentenza che si fonda su una questione rilevata d'ufficio al momento dell'assunzione della decisione e non sottoposta dal giudice al preventivo contraddittorio delle parti" ha affermato che "non può infatti essere pronunciata la nullità di atti del processo se la nullità non è comminata dalla legge: una disposizione in tal senso manca nell'art.183 c.p.c." (in senso conforme Cass. S.U. n. 18128/2005). Infine, giova dare rilievo all'importante sentenza delle sezioni unite n. 20935/2009, la quale, pur collocandosi in linea con l'orientamento predicativo della validità delle sentenze di "terza via", pone rilevanti distinguo, tanto da potersi considerare una sorta di sintesi dei due orientamenti principali. Affermando che "il principio della tassatività delle nullità non trova applicazione per le nullità extraformali qual è appunto quella derivante dalla violazione del principio del contraddittorio", il collegio sottolinea il nodo problematico ancora aperto sulla nullità, indefettibile o meno, della sentenza a causa dell'omessa indicazione di questione rilevabile d'ufficio, ritenendo infine che, ferma restando la violazione da parte del giudicante, la nullità processuale non possa essere sempre predicata ipso facto. Gli orientamenti dottrinali In dottrina, anche prima della modifica normativa del 2009, vi era una sostanziale uniformità di intenti sul fatto che di fronte alla palese violazione del contraddittorio nelle vicende processuali, determinata dalla decisione solitaria del giudice, dovesse esservi qualche conseguenza, tuttavia emergevano diverse differenze in ordine a quale dovesse essere detta conseguenza e alle ipotesi applicabili, dando luogo, come in giurisprudenza, ai due orientamenti contrapposti dei "rigoristi" e dei "sostanzialisti". Da una parte, infatti, illustri autori propendevano per la nullità della sentenza (tra cui F.P. Luiso, L. Montesano, G. Tarzia, ecc.); dall'altra si affermava che non fosse possibile utilizzare tale sanzione, pur ritenendo auspicabile un intervento del legislatore (v. Taruffo), ovvero che fosse illegittimo colpire l'atto con il rimedio radicale della nullità (v., su questa posizione, S. Chiarloni; C. Consolo; E.F. Ricci). Tra i primi ad affrontare la tematica delle sentenze di "terza via", anticipando quelli che saranno i successivi interventi legislativi e collocandosi in quella corrente dottrinaria denominata "garantista", fu L. Montesano ("La garanzia costituzionale del contraddittorio e i giudizi civili di terza via", Riv. Dir. Proc., 2000, 929 e ss.), secondo il quale, dall'art. 111 della Costituzione, riformato dalla legge n. 2/1999, nonché dall'essenzialità della garanzia del contraddittorio e del principio di difesa ex art. 24 Cost, si desume chiaramente il divieto delle sentenze di terza via, con la conseguente invalidità del provvedimento. Anche per altro illustre autore (F.P. Luiso, "Questioni rilevate d'ufficio e contraddittorio: una sentenza rivoluzionaria?", in Giust. Civ., 2002), le decisioni fondate su questioni rilevabili d'ufficio e non segnalate alle parti integrano la violazione del principio del contraddittorio, indipendentemente dalla natura delle questioni stesse. Luiso sostiene infatti che "ritenere che la decisione solitaria non produca la lesione del contraddittorio perché esse (le questioni rilevate d'ufficio) sono pur sempre conoscibili dalle parti è argomento che prova troppo: in tale direzione, si potrebbero eliminare le comparse conclusionali e le repliche (con le quali non si può ampliare la quaestio facti), oppure eliminare in cassazione, le memorie e la discussione orale". Per l'autore, la valenza del contraddittorio, andando oltre la garanzia per le parti di addurre nuovi elementi o domande, è quasi "etica", essendo una questione discussa "decisa meglio di una questione solitariamente affrontata". Su posizioni opposte si colloca altro interprete (S. Chiarloni, "La sentenza della terza via in Cassazione: un altro caso di formalismo delle garanzie?", Giur. It., 2002, p. 1363-1364), il quale abbraccia l'orientamento sostanzialista, affermando che pur in presenza di una violazione del giudice del preciso dovere di stimolare il contraddittorio delle parti sulla questione ex officio, la sentenza della "terza via" è "perfettamente valida". In particolare, non si può parlare di nullità della sentenza se la questione, pur rilevata d'ufficio e non sottoposta al previo contraddittorio delle parti, sia stata decisa correttamente; viceversa, la sentenza può considerarsi viziata ma non già per avere omesso il contraddittorio. In realtà, giova sottolineare come vi fosse, ante riforma, una sostanziale armonia di opinioni in dottrina relativamente all'obbligo (e non alla facoltà) per il giudice di sollevare il contraddittorio sulle questioni rilevabili d'ufficio. In merito, lo stesso Chiarloni, sostenitore della validità delle sentenze "a sorpresa", ha puntualizzato come esista "uno stringente dovere del giudice, sanzionabile anche in via disciplinare, di obbedire al comando dell'art. 183 terzo comma c.p.c." che impone di sollecitare il contraddittorio sulle questioni ex officio, riconducendo tuttavia tale obbligo al principio di collaborazione tra i soggetti processuali e non alla violazione del contraddittorio. La riforma legislativa L'intervento del legislatore, con la l. n. 69/2009, ha sanzionato con la nullità le sentenze "a sorpresa" o della "terza via", aggiungendo all'art. 101 c.p.c. un secondo comma secondo cui "Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione". Rafforzando così l'esigenza di giustizia posta a fondamento del "principio del contraddittorio", il legislatore ha inteso porre un punto fermo sui "disorientamenti" esistenti sulla questione della validità o invalidità delle decisioni di terza via (G. Costantino, "Questioni processuali tra poteri del giudice e facoltà delle parti", Riv. dir process. 2010), risolvendo la "querelle" sull'alternativa tra l'obbligo o la facoltà del giudice di indicare le questioni rilevabili d'ufficio, muovendosi chiaramente verso la prima ipotesi e optando, altrettanto chiaramente, per la sanzione della nullità. Tuttavia, residuano i dubbi, posti anche prima della novella, sulla portata applicativa dell'obbligo, ovvero se la nullità della decisione a sorpresa debba essere comminata comunque, indipendentemente dalla circostanza che ne sia derivato o meno un pregiudizio concreto alla parte e sui rimedi esperibili. Gli imperativi costituzionali (ex artt. 24 e 111 Cost.) e la funzione del contraddittorio conducono ad interpretare lato sensu l'obbligo del giudice, con il limite della rilevanza effettiva della questione della lite rispetto alla sentenza in linea con l'interpretazione della sentenza delle S.U. n. 20935/2009 e di diverse pronunce post riforma, e a condizionare la nullità al solo ricorrere di una concreta lesione del diritto di difesa delle Fonte: La nullità delle sentenze "a sorpresa" o della "terza via" (www.StudioCataldi.it)

martedì 13 maggio 2014

INSIDIA STRADALE

INSIDIA STRADALE e FATTO DEL CONDUCENTE che esclude il nesso causale - Cass., Sez. III, 10.3.2014, n. 5494 - Pres. Est. PETTI 20 diventa fan di Paolo M. Storani - Già con la pronuncia n. 5910 dell'11 marzo 2011, Pres. Mario Finocchiaro ed Est. Maurizio Massera, che aveva riguardato il Comune di Sassari, si era affermato il principio dell'onere a carico del danneggiato di provare il nesso causale tra la cosa ed il danno. Ora torna in argomento con altre precisazioni Cass., Sez. III, 10 marzo 2014, n. 5494, Pres. e Rel. Giovanni Battista PETTI, con Marco Rossetti, Giovanni Carleo, Giuseppina Luciana Barreca e Francesco Maria Cirillo a completare il Collegio, e si occupa della tragica vicenda di un automobilista, iniziali R.T., che, alla guida di una potente Bmw, perdeva la vita per l'asserita inidoneità della barriera protettiva della scarpata sovrastante un bacino Il pilota, nell'effettuare una curva pericolosa, usciva di strada, urtava il muretto di protezione, lo infrangeva e sfondava e precipitava nel lago sottostante, decedendo. Gli eredi, vedova e figli, convenivano avanti al Tribunale di Rieti la Provincia, ente custode e manutentore del tratto viario, e ne chiedevano la condanna al risarcimento di tutti i danni derivati dal decesso del congiunto. Gli istanti, infatti, sostenevano che il muretto posto a protezione della curva pericolosa fosse inadeguato. Si costituiva l'Amministrazione reatina contestando il fondamento della domanda. Il Tribunale di Rieti rigettava le richieste dei familiari dell'automobilista deceduto nel sinistro, condannandoli alla refusione delle spese del grado. Gli attori non si rassegnavano ed adivano la Corte d'Appello di Roma per la riforma della decisione di prime cure. Con sentenza di data 30 gennaio 2007 la Corte distrettuale capitolina rigettava l'impugnazione con ulteriore condanna degli appellanti agli oneri del secondo grado per le spese sopportate dalla Provincia di Rieti. La vicenda, per la giustificata ostinazione degli istanti, perveniva alla Corte Suprema; quella che segue è la sintesi dei motivi che ne fa l'autorevole e prestigioso Estensore. Tale esposizione risulta estremamente utile anche per chi si trovasse ad affrontare un analogo, problematico ricorso per cassazione, pur con gli opportuni adattamenti conseguiti alle novità dei recenti interventi riformatori sulla disciplina del giudizio di legittimità (sui quali si rimanda, a mo' d'esempio, all'agile volume a cura di Luigi LEVITA, giudice del Tribunale di Nocera Inferiore, "Il ricorso per cassazione", edito da Nuova Giuridica, Matelica, nel febbraio 2014). Infatti, il S.C. ha sì recepito il terzo motivo, sovvertendo in tal modo il responso della doppia conforme, Tribunale Rieti + Corte di Appello Roma, ed ha affermato a chiare note che sussisteva l'obbligo per l'ente gestore di custodire e manutenere quel tratto viario pericoloso. Ma, purtroppo per i ricorrenti, la correzione della motivazione nel punto in cui esclude la responsabilità per custodia, in relazione all'inesigibilità del dovere di manutenzione e di tenere la strada in condizione di sicurezza, non dà esiti concreti e fausti ai fini dello statuire. In ultima analisi, il risultato della statuizione - che pure inverte l'onere della prova a svantaggio della Provincia reatina - in ordine al fattore determinante della condotta umana, equivalente al caso fortuito, in concreto non rende la decisione correggibile e non permette, quindi, l'accoglimento delle richieste dei congiunti di R.T., deceduto nell'occorso. 'Nel primo motivo del ricorso si deduce error in iudicando per violazione e falsa applicazione del D.L. Lavori pubblici 4 maggio 1990,del D.M. 18 febbraio 1992, n. 233; dell'art. 41 c.p.; degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione allo art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè il vizio della motivazione, omessa contraddittoria o insufficiente su punto decisivo. I quesiti ai fogli 10 ed 11 del ricorso sono espressi nei seguenti termini: "Ai sensi del D.Lgs. n. 285 del 1992, artt. 13 e 14, e del D.M. n. 233 del 1992, artt. 1 e 3, sussiste uno specifico dovere giuridico dell'ente pubblico, proprietario e gestore della strada, di installare apposite barriere di sicurezza,progettate ed omologate secondo le norme tecniche dettate dalla legge, nei tratti viari che si sviluppano su scarpate ad andamento discendente che arrivano fino ad un lago o ad altri corsi di acqua al fine di garantire per quanto possibile il contenimento di veicoli che tendano ad uscire dalla carreggiata?" "Una strada curvilinea, sviluppata lungo una scarpata discendente verso il lago, è soggetta alla applicazione del D.M. 2 febbraio 1992, n. 233, e conseguentemente all'obbligo dell'ente gestore di provvedere all'adeguamento delle barriere di sicurezza a margine della carreggiata attraverso la istallazione di guard rail progettati ed omologati secondo istruzioni tecniche predisposte in allegato al suddetto decreto?" Con il secondo motivo si deduce error in iudicando per violazione degli artt. 40 e 41 c.p., e degli artt. 112, 115 e 115 c.p.c., nonchè l'omessa motivazione su punto decisivo della controversia. Il quesito al foglio 15 recita: "Una barriera stradale inadeguata ed incapace di resistere all'urto di una vettura ad una velocità di 20 km orari può costituire causa autonoma e sufficiente della morte per annegamento del conducente del veicolo che, perdendo il controllo della vettura fuoriesca dalla carreggiata e precipiti nelle acque sottostanti dopo avere infranto la suddetta barriera?". Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2697 c.c., del D.M. n. 233 del 1992, 3 e 3, il D.Lgs. n. 285 del 1992, artt. 13 e 14, degli artt. 40 e 48 c.p., degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione allo art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè il vizio della motivazione su punto decisivo delle controversia. I quesiti sono formulati ai fogli 18 e 19 configurando la responsabilità della pubblica amministrazione con riferimento al bene demaniale di cui ha il controllo e la prevenzione delle situazioni di pericolo e sostenendo la tesi della responsabilità a norma dello art. 2051, con inversione dell'onere probatorio in caso di danno cagionato a terzi dalla cosa in custodia. Con il quarto motivo si deduce: violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c., del D.M. sopraccitato e del D.Lgs. n. 285 del 1992, artt. 13 e 14, artt. 40 e 41 c.p., artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 350 c.p.c., n. 3, ed inoltre il vizio della motivazione su punto decisivo. Il quesito al foglio 21 recita: "Può escludere il giudice di merito aprioristicamente la sussistenza di una responsabilità ai sensi dello art. 2043 c.c., per mancanza degli elementi di insidia e trabocchetto, senza neppure procedere alla analisi del comportamento del danneggiante al fine di considerarne il carattere eventualmente colposo?". "La mancata sostituzione, da parte del proprietario della strada, di una barriera stradale vetusta e costruita con materiali e tecniche inidonee a resistere allo impatto di una autovettura in marcia ad una velocità di venti km orari, può costituire comportamento colposo ai sensi dello art. 2043 c.c., ove dalla collisione con la suddetta barriera consegua la caduta nel lago sottostante della vettura e il conseguente decesso per annegamento del conducente?". Con il quinto motivo si deduce error in iudicando per la violazione degli artt. 92 e 112 c.p.c., ed il vizio della motivazione in punto di mancata compensazione delle spese in presenza di giusti motivi come dedotti sin dal primo grado. Il quesito è in termini al foglio 25. A tutti i motivi ha replicato il controricorrente anche con memoria. CONFUTAZIONE IN DIRITTO. Il ricorso, pur articolandosi in cinque motivi, di cui i primi quattro attengono alla ricostruzione della dinamica del sinistro ed alla imputazione alla Provincia della responsabilità civile, ai sensi dell'art. 2043 c.c., avendo la Corte escluso l'obbligo di custodia per le particolari estese dimensioni della strada provinciale, non può trovare accoglimento, in quanto i motivi, pur dotati di quesiti sufficientemente specifici, non appaiono congrui, i primi quattro, a dimostrare la erroneità della motivazione della Corte di appello in tema di ricostruzione della dinamica, del nesso di causalità e della condotta del conducente del mezzo che guidava in stato di ebbrezza, senza indossare le cinture di sicurezza, in un tratto di strada che recava ben visibili i segnali di pericolo, anche in ora notturna. Al foglio 7 della motivazione si legge dunque che R.T. non era in grado di guidare in condizioni di sicurezza una potente autovettura e che uscì di strada, sfondando il muretto e precipitando nella scarpata, mentre avrebbe potuto evitare tale evento se fosse stato compos sui, tanto più che le caratteristiche della strada che frequentava abitualmente, gli erano note. Pur dovendosi correggere la motivazione nel punto in cui esclude la responsabilità per custodia, in relazione alla inesigibilità del dovere di manutenzione e di tenere la strada in condizione di sicurezza, il risultato della statuizione in ordine al fattore determinante della condotta umana, equivalente al caso fortuito, in concreto non rende la decisione emendabile con l'accoglimento del terzo motivo, essendo ormai consolidato lo indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, secondo cui, pur dovendosi applicare alla provincia, quale custode e manutentore della strada, il criterio della inversione dell'onere della prova, nel caso di specie è stato accertato il fattore esterno costituito dal fatto dello stesso danneggiato che ha rotto il nesso eziologico tra la cosa in custodia e lo evento lesivo. Vedi in tal senso le recenti Cass. 11 marzo 2011, n. 5910, e Cass. 13 febbraio 2006, n. 22284. Orbene, la chiara ratio decidendi della motivazione non risulta oggetto di specifica impugnazione in nessuno dei primi quattro motivi del ricorso, che risultano pertanto incongrui rispetto alla fattispecie considerata dai giudici del merito, a base del rigetto delle pretese risarcitorie. Resta inammissibile il quinto motivo posto che le spese di lite seguono il criterio della soccombenza, che sussiste anche in questa sede. Il ricorso deve essere pertanto rigettato per la incongruità dei primi quattro motivi e la inammissibilità del quinto. I ricorrenti sono tenuti a rifondere alla Provincia di Rieti le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo." Per dovere di cronaca, gli istanti hanno dovuto sopportare per la terza volta il carico delle spese legali che la decisione del S.C., adottata nella camera di consiglio del 17 ottobre 2013, ha quantificato in € 3.200,00. Fonte: INSIDIA STRADALE e FATTO DEL CONDUCENTE che esclude il nesso causale - Cass., Sez. III, 10.3.2014, n. 5494 - Pres. Est. PETTI