mercoledì 17 settembre 2014

Corte di Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza n. 18575 del 25 Agosto 2014. ILLEgittime le multe su strisce blu

La Cassazione ribadisce: illegittime le multe su strisce blu se non ci sono aree di parcheggio gratuite Segui: 28 parcheggiodi Licia Albertazzi - Corte di Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza n. 18575 del 25 Agosto 2014. Se è vero che l'art. 7 comma 8 del Codice della strada prevede l'obbligo, in capo al conducente, di esporre il ticket di sosta nelle apposite aree destinate a parcheggio, è altrettanto vero che lo stesso Codice prevede l'obbligo, a carico dell'ente locale, di predisporre aree di parcheggio gratuite laddove ci sono zone di sosta a pagamento. Sono illegittime quindi le contravvenzioni elevate a carico di chi non ha esposto il ticket in un aria di parcheggio a pagamento se mancano aree di parcheggio "free". Nel caso esaminato dalla Cassazione, la ricorrente aveva contestato una multa per mancata esposizione del tagliando. Il giudice di merito non aveva voluto sentire ragione e la donna si era rivolta quindi alla suprema Corte che accogliendo il ricorso ha anche evidenziato come la sentenza impugnata fosse affetta da violazione di legge (nello specifico, violazione delle regole inerenti l'onere della prova). La Cassazione ricorda come, nelle cause di opposizione a sanzione amministrativa (nel caso in cui, quindi, convenuta innanzi al giudice civile sia una pubblica amministrazione) l'amministrazione, anche se formalmente convenuta, di fatto assume il ruolo di "attore sostanziale"; "spetta, quindi, ad essa, ai sensi dell'art. 2697 cod. civ., di fornire la prova dell'esistenza degli elementi di fatto integranti la violazione contestata, mentre compete all'opponente, che assume formalmente la veste di convenuto, la prova dei fatti impeditivi o estintivi". Nel caso di specie la ricorrente, sia in primo grado che in appello, aveva contestato sia la mancanza nella zona di spazi gratuiti adibiti a parcheggio, sia l'assenza di specifica delibera comunale che qualificasse l'area tra quelle esenti da tale obbligo (ad esempio area urbana di particolare valore storico o di particolare pregio ambientale). Allegando ciò l'attrice avrebbe esaurito i propri oneri processuali, avendo dovuto l'amministrazione resistente produrre in giudizio atti o fatti che provassero il contrario (ad esempio, delibera comunale di qualificazione di detta area come sottoposta a eccezione normativa).

martedì 16 settembre 2014

Gli avvocati e le liti si sa vanno a braccetto(((( OCCHIO AI RISARCIMENTI ESEMPLARI ))))

TEMERARI DAL GIUDICE: OCCHIO AI RISARCIMENTI ESEMPLARI Il temerario (1975) Gli avvocati e le liti si sa vanno a braccetto, ma talvolta occorre fermarsi e riflettere per non assumere mandati dall’esito “certamente” incerto, scusate il gioco di parole ma poi capirete, o addirittura dannosi per se stessi (in termini di responsabilità professionale) e soprattutto per i propri patrocinati “temerari” che ogni tanto tacciono circostanze importanti pensando in tal modo di far bene. Chi è intenzionato, infatti, a instaurare giudizi (o resistere a domande giudiziali), con la consapevolezza di non averne diritto, rischia di incorrere in quella che viene definita “responsabilità processuale aggravata”, derivante appunto dall’aver costretto l’avversario ad affrontare un processo infondato, sostenendone le spese e lo stress del faticoso percorso giudiziario. L’argomento è oggetto di numerosi interventi, sia da parte degli studiosi del diritto sia da parte della giurisprudenza. In particolare una recente pronuncia del Tribunale di Roma ci fornisce lo spunto per un approfondimento della materia … UN PRINCIPIO DA NON DIMENTICARE MAI “Chi agisce o resiste in giudizio con mala fede o colpa grave, se soccombente, subisce la condanna al risarcimento del danno cagionato alla controparte”. Il Legislatore ha recepito e tradotto in un’apposita norma questo principio, ovvero nell’art. 96 del codice di procedura civile, ai sensi del quale: 1) Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza. 2) Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente. 3) In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata. I TEMERARI POI PAGANO Con tale norma, dunque, peraltro oggetto di numerosi interventi sia a livello giurisprudenziale che legislativo, l’ordinamento giuridico intende sanzionare direttamente quel comportamento illecito tenuto da una parte processuale, poi risultata soccombente, che abbia dato luogo alla cosiddetta lite temeraria, ossia abbia agito o resistito nel giudizio medesimo con la consapevolezza o l’ignoranza colposa dell’infondatezza della propria pretesa o difesa, danneggiando la controparte in virtù di tale condotta. Tale responsabilità presuppone quindi l’esistenza di tre elementi: 1) la soccombenza dell’avversario; 2) la prova dell’altrui malafede o colpa grave nell’agire o resistere in giudizio; 3) la prova del danno subìto a causa della condotta temeraria della controparte; MA CHI LAMENTA IL DANNO DEVE FORNIRE PROVE In ragione di ciò, quindi, per poter avanzare una richiesta di risarcimento è necessario dimostrare l’esistenza sia dell’elemento soggettivo, consistente nella consapevolezza o nell’ignoranza colpevole dell’infondatezza della propria tesi, sia di quello oggettivo, consistente nel pregiudizio subìto a causa della condotta temeraria della parte soccombente. A tal riguardo chi lamenta il danno subito dalla condotta temeraria, ha l’onere di fornire elementi probatori sufficienti per provare l’esistenza del medesimo. Sul punto il Tribunale di Roma afferma che “deve essere rigettata la domanda di condanna per responsabilità processuale aggravata, per lite temeraria, allorché la parte richiedente non deduca e non dimostri nel comportamento dell’avversario la ricorrenza del dolo o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, o dell’ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell’infondatezza delle suddette tesi, non essendo sufficiente che la prospettazione di tali tesi sia stata riconosciuta errata dal giudice" (Tribunale di Roma, Sezione XIII, Sentenza del 27 novembre 2013). In altra decisione il Tribunale di Palermo ha precisato che “in tema di responsabilità aggravata per lite temeraria che ha natura extracontrattuale, la domanda di cui all’art. 96, comma 1, c.p.c. richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante sia dell’an e sia del quantum debeatur o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa" (Tribunale di Palermo, Sezione III, Sentenza del 10 ottobre 2013). IL GIUDICE PUÒ CONDANNARE ANCHE SENZA LA RICHIESTA DEL DANNEGGIATO... L’art. 96 del codice di procedura civile ha subito una modifica ad opera della Legge n. 69 del 2009, che ha introdotto l’ultimo comma, allo scopo di sanzionare i comportamenti che rallentino il regolare e rapido svolgimento del processo. Per tale motivo, quindi, in conseguenza della riforma, il giudice, anche d’ufficio (ossia anche in assenza di una specifica istanza di parte in tal senso) può condannare la parte soccombente al pagamento, in favore di quella vittoriosa, di una somma equitativamente determinata (cioè in base a quanto appare giusto al giudice), che prescinde dall’esistenza o meno di un danno documentato e preciso nel suo ammontare, ma che comunque viene riconosciuta quale risarcimento per l’aver dovuto subire un processo infondato. ...E RICHIEDERE UN RISARCIMENTO ESEMPLARE! È proprio su questo aspetto che si è focalizzata la riflessione del Tribunale di Roma, nella sentenza che mi ha indotto a scrivere questo post. Il giudice capitolino ha infatti ritenuto che chi introduce una domanda giudiziaria del tutto infondata può essere condannato a pagare ben tre volte le spese di giudizio, sposando l’attuale orientamento a rigore del quale la liquidazione di tale ulteriore somma a titolo di risarcimento per responsabilità processuale aggravata deve essere necessariamente determinata in via equitativa, ossia in base a quanto appare giusto al giudice, non dovendo quest’ultimo necessariamente ancorare la decisione a danni quantificati in modo certo. Nel liquidare la somma anzidetta, vero e proprio strumento nelle mani del giudicante per scoraggiare le azioni giudiziarie infondate, lo stesso dovrà tener conto di una serie di criteri, quali ad esempio lo stato soggettivo del responsabile (in ragione del fatto che il dolo, ossia la cosciente volontarietà della condotta censurabile, è indubbiamente più grave della colpa), nonché la qualifica e le caratteristiche del responsabile, oltre al grado di preparazione dello stesso e la sua concreta possibilità di pervenire a decisioni consapevoli in termini di azione o di resistenza. In altre parole, si tratta di capire se e quanto sia scusabile la condotta di chi abusa del processo, dovendo ovviamente tener presente che tale ulteriore condanna si aggiunge alle conseguenze sanzionatorie che tipicamente discendono dall’azione giudiziaria risultata infondata (Tribunale di Roma, Sentenza del 19 giugno 2014, n. 13416). DIFESA: DIRITTO VS ABUSO In conclusione, ciò che preme maggiormente sottoporre all’attenzione dei lettori è quanto sia diverso, giuridicamente parlando, in termini di conseguenze, l’esercizio del diritto di difesa, assolutamente legittimo e sacrosanto, dall’abuso del medesimo diritto che, invece, comporta responsabilità, anche importanti, in termini sanzionatori, per aver dato vita ad una lite infondata con la consapevolezza che così fosse o con la colpevole ignoranza che tale sarebbe stata, comportamento questo palesemente illecito e assai censurabile. Insomma, per dirla in breve, sfruttare la tipicità del sistema non per l’esercizio di un diritto ma al di là dei limiti determinati dalla funzione che gli è propria e quindi abusando dello stesso diritto non è più cosa consigliabile! Dottoressa Roberta Bonazzoli - Studio Comite Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest Pubblicato da Redazione Giuridicamente Parlando a 10:30 Etichette: ABUSO DEL DIRITTO, COMPORTAMENTO ILLECITO, DANNO, DIRITTO DI DIFESA, GIUDIZIO EQUITATIVO, RESPONSABILITA AGGRAVATA, RESPONSABILITA' CIVILE, RISARCIMENTO, TEMERARI, VIA EQUITATIVA Nessun commento:

Art.96 cpc (Responsabilità aggravata): La Lite temeraria lite temeraria procedura civile

Art.96 cpc (Responsabilità aggravata): La Lite temeraria lite temeraria procedura civile La lite temeraria è disciplinata dall’art.96 cpc, il quale statuisce che “se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza. Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente. In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. La disposizione di cui al primo comma dell’art.96 cpc è considerata una fattispecie risarcitoria con funzione compensativa del danno cagionato dal c.d. illecito processuale del danno derivante dalla proposizione di una lite temeraria. Si configura, quindi, come una fattispecie riconducibile al genus della responsabilità extracontrattuale ex art.2043 cc, di cui l’art.96 cpc, 1 comma, costituirebbe una species. Presupposti imprescindibili ai fini di una condanna per responsabilità aggravata per colpa grave o dolo sono la soccombenza dell’avversario, la prova dell’altrui malafede o colpa grave nell’agire o resistere in giudizio e la prova del danno subito a causa della condotta temeraria della controparte, diverso ed ulteriore rispetto alla necessità di aver dovuto resistere in giudizio. La domanda di risarcimento del danno da responsabilità aggravata ex art.96 cpc può essere proposta solo nello stesso giudizio dal cui esito si deduce l’insorgenza della responsabilità: come ogni risarcimento, anche quello da responsabilità aggravata è ottenibile solo su istanza di parte (sebbene la L.69/2009 con l'introduzione del comma terzo ha previsto la possibilità di iniziativa ex officio di cui si dirà meglio infra) potendo in seguito il giudice, ai sensi del terzo comma dell’art.96 cpc, liquidare ex officio, ed in via equitativa il quantum del danno anche ove quest’ultimo non fosse stato provato nel suo ammontare. Con riguardo all’onere della prova del quantum del danno, in giurisprudenza, si sono delineati due orientamenti. Secondo il primo, il quantum è generalmente determinabile dal giudice in base a nozioni di comune esperienza ed è accertabile sulla base di presunzioni, a seguito dell’assolvimento, da parte dell’istante, dell’onere della prova concernente l’an del pregiudizio e la malafede o la colpa grave dell’agente. Secondo il secondo filone giurisprudenziale, il giudice potrebbe effettuare la quantificazione del danno in via equitativa ex officio solo allorquando il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare. A tal riguardo, la Suprema Corte, con sentenza n.17902 del 30-07-2010 ha statuito che la facoltà concessa al giudice ex art.96 cpc di liquidare d’ufficio il danno da responsabilità aggravata risponde al criterio generale di cui agli artt.1226 e 2056 cc, senza alcuna deroga all’onere di allegazione degli elementi di fatto idonei a dimostrarne l’effettività: tale facoltà, invero, non trasforma il risarcimento in una pena pecuniaria, né in un danno punitivo disancorato da qualsiasi esigenza probatoria, restando esso connotato dalla natura riparatoria di un pregiudizio effettivamente sofferto senza assumerne invece carattere sanzionatorio o afflittivo. Nell’ambito della giurisprudenza di merito, vige il principio di diritto secondo il quale la condanna per responsabilità aggravata ex art.96 cpc richiede non soltanto la totale soccombenza e la mala fede, o quanto meno la colpa grave, della parte di cui si chieda la condanna, ma anche che la controparte deduca e dimostri la concreta sussistenza di un danno in conseguenza del comportamento processuale della parte medesima. Ed infatti, la liquidazione dei danni, ancorchè effettuabile ex officio, richiede pur sempre la prova, gravante sulla parte che richiede il risarcimento, sia dell’an che del quantum o almeno la desumibilità di tali elementi dagli atti di causa. Ne deriva che, in mancanza di siffatta prova, il Giudice non può procedere alla liquidazione di ufficio del danno nonostante la domanda dell’interessato, neppure in via equitativa. I giudici di merito hanno altresì precisato che, trattandosi di una pena privata finalizzata a sanzionare il comportamento particolarmente riprovevole di colui che ha abusato dello strumento processuale, la liquidazione non può prescindere dall’accertamento, da parte del giudice, della sussistenza dell’elemento soggettivo ossia dalla rimproverabilità del comportamento della parte perdente in termini di dolo o colpa grave. La responsabilità processuale aggravata è un istituto ben diverso dall’ordinaria responsabilità aquiliana; l’art.96 cpc si pone con carattere di specialità rispetto all’art.2043 cc di modo che la responsabilità processuale aggravata, – ad integrare la quale è sufficiente nell’ipotesi di cui al secondo comma dell’art.96 cpc la colpa lieve, come per la comune responsabilità aquiliana, – pur rientrando concettualmente nel genere della responsabilità per fatti illeciti, ricade interamente, in tutte le sue possibili ipotesi, sotto la disciplina normativa contenuta nel citato art.96 cpc, né è configurabile un concorso, anche alternativo, dei due tipi di responsabilità; e la decisione in ordine a detta responsabilità è devoluta in via esclusiva al giudice cui spetta conoscere il merito della causa. La Legge 69/2009 ha, poi, introdotto il terzo comma dell'articolo in commento, il quale deduce un ulteriore strumento di deflazione del contenzioso che si differenzia dalle ipotesi di responsabilità aggravata di cui ai primi due commi, in quanto può essere attivato anche d'ufficio prescindendo da un'esplicita richiesta di parte, al fine di scoraggiare l'abuso del processo e preservare la funzione del sistema giustizia. Tale innovazione all’art.96 ha destato non poche perplessità circa gli ambiti applicativi e i confini operativi della suddetta norma. In particolare, con sentenza Rizzoli pronunziata dal Tribunale di Milano, i rapporti tra il primo e il terzo comma dell’art.96 cpc si sono rivelati particolarmente nebulosi. Ed infatti, il Tribunale di meneghino, con tale sentenza, nell’applicare l’art.96, comma 1, cpc, lo ha interpretato alla luce del sopravvenuto terzo comma, ravvisando nel primo comma una disposizione avente intento meramente compensativo, ricollegandovi una funzione anche, se non del tutto, sanzionatoria. Con riguardo all’interpretazione dell’art.96 cpc si sono delineati in dottrina diversi orientamenti. Secondo un primo filone giurisprudenziale, l’art.96 cpc è finalizzato ad agevolare la condanna al risarcimento dei danni, pur in assenza di prova circa la relativa ricorrenza. Pertanto, ai fini della sua applicazione, dovrà sussistere comunque la fattispecie della lite temeraria, dovendosi ritenere, altresì, esistente un conseguente pregiudizio: è, quindi, alla misura dello stesso che andrà parametrata la condanna pecuniaria . Secondo un secondo filone giurisprudenziale, deve riconoscersi maggior autonomia al dettato normativo di cui all’art.96 cpc, atteso che il danno potrebbe essere risarcibile anche in caso di colpa lieve, da riscontrarsi nella semplice violazione dei doveri di lealtà e probità di cui all’art.88 cpc. In entrambe tali ipotesi la fattispecie rimarrebbe delimitata al terreno aquiliano con la conseguenza che, ai fini della determinazione della somma dovuta, il giudice dovrebbe esaminare le ripercussioni negative patite dalla parte vittoriosa, rispettivamente il danno non patrimoniale. Infine, secondo altro ulteriore filone giurisprudenziale, l’art.96 cpc deve intendersi come una norma tesa ad attribuire al giudice poteri repressivi e sanzionatori in quanto la stessa avrebbe ad oggetto non un illecito civile, ma un illecito a rilevanza pubblica: di conseguenza, la condanna verterebbe sul risarcimento di un vero e proprio danno punitivo, da determinarsi a prescindere dalla verificazione di un pregiudizio concreto a carico della parte vittoriosa e dalla sussistenza di un illecito caratterizzato da dolo o colpa grave. In tale prospettiva, la condanna non sarebbe diretta a fronteggiare i pregiudizi patiti dal danneggiato, ma a sanzionare la parte soccombente in ragione del suo comportamento processuale scorretto; si tratterebbe, perciò, di un vero e proprio danno punitivo. Ed infatti, l’art.96 cpc non sarebbe più inteso solo come tradizionale strumento risarcitorio posto a tutela di interessi privatistici, inserendosi nel contesto della disciplina del danno aquiliano, ma avrebbe altresì una funzione sanzionatoria di una condotta riprovevole e dannosa per l’interesse della collettività. La soluzione interpretativa senza dubbio più convincente è quella di configurare l’istituto come uno strumento sanzionatorio da utilizzarsi come mezzo repressivo e deflattivo del contenzioso inutile, tipico dell’abuso del processo; in tale ottica si profila una ipotesi di condanna punitiva con piena e totale discrezionalità del giudice nella determinazione del quantum. Si segnalano le ben 13 decisioni pubblicate sulla rivista. 1).ART.96 CPC: È CONDANNATO CHI RIPROPONE LA STESSA DOMANDA DECISA CON SENTENZA SFAVOREVOLE La riproposizione della medesima azione integra l’abuso del processo con condanna ex art.96 terzo comma cpc. La parte che, nonostante sentenza di sfavore passata in giudicato, riproponga la medesima domanda giudiziale, con lo stesso oggetto e verso lo stesso convenuto, deve essere condannata d’ufficio ai sensi dell’art.96, comma III cpc, per lite temeraria. Sentenza|Tribunale di Trento, Giudice dott. Carlo Ancona|11-06-2013|n.199 2).LITE TEMERARIA: L’ART.96 CPC È APPLICABILE AL PROCESSO TRIBUTARIO Il giudice tributario può condannare l’Amministrazione finanziaria al risarcimento del danno per lite temeraria ex art.96 cpc. Il ricorrente aveva chiesto non soltanto l’annullamento della propria obbligazione tributaria ma anche la condanna delle intimate Agenzia delle Entrate ed Equitalia al risarcimento del danno per lite temeraria ex art.96 cpc, in virtù dell’ingiusta perdita di tempo sottratto alla propria attività professionale. Ordinanza|Cassazione civile, sezioni unite|03-06-2013|n.13899 3).LITE TEMERARIA: L’INGIUSTIFICATA INIZIATIVA DELLA PARTE È CONDANNATA EX ART.96 CPC La temerarietà della lite si rileva anche dalla dinamica degli accadimenti della vicenda. Quando dal tenore complessivo della controversia e dalle motivazioni esposte, si evince che le parti hanno agito alla stregua di una iniziativa concretizzatasi in un ingiusto danno per la controparte che si rinviene negli "oneri di ogni genere che questa abbia dovuto affrontare per essere stata costretta a contrastare l'ingiustificata iniziativa dell'avversario e dai disagi affrontati per effetto di tale iniziativa, danni la cui esistenza può essere desunta dalla comune esperienza” il Giudice le condanna ex art.96 cpc. Sentenza|Tribunale di Lecce, Giudice dott. Paolo Moroni|09-05-2013|n.1534 4).FIRMA FALSA SU CONTRATTO: CONDANNA EX ART.96 CPC La condanna per lite temeraria non necessita della instaurazione del contraddittorio essendo posterius e non prius logico delle decisioni di merito. Il Giudice ha così ritenuto, che ricorresse il requisito della mala fede o della colpa grave atteso che, dopo aver falsificato la firma sul contratto l’operatore di telefonia ha ignorato la denuncia penale e il tentativo di conciliazione, condannando per l’effetto la parte convenuta ex art.96, terzo comma, cpc. Sentenza|Giudice di Pace di Gaeta, avv. Marianna Oliviero|13-04-2013|n.1870 5).ART.96 CPC: IL PRETESTUOSO DISCONOSCIMENTO DELLA FIRMA INTEGRA LA RESPONSABILITÀ AGGRAVATA FINALMENTE emessa condanna di ufficio ex art.96 cpc pari al 4% del capitale del decreto ingiuntivo. Il Tribunale di Lodi in persona del dottor Sergio Rossetti con sentenza del 04/04/2013 ha respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo, condannando d’ufficio l’opponente (il quale aveva proposto una opposizione meramente dilatoria contestando tra l’altro l’autenticità delle proprie sottoscrizioni), al pagamento di euro 33.280,00 giusto il disposto del riformato art.96, comma 3, cpc, di una somma pari al 4% del capitale come indicato in decreto. Sentenza|Tribunale di Lodi dottor Sergio Rossetti|04-04-2013 6).LITE TEMERARIA: SUSSISTE NEL CASO DI OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE SUGLI STESSI MOTIVI DELL’OPPOSIZIONE A PRECETTO La mera riproposizione dei motivi di opposizione a precetto innanzi al Giudice dell’Esecuzione integra la lite temeraria. Su tali comportamenti processuali si è pronunziato il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 25/2/2013, emessa dal Giudice dell’Esecuzione, Dott. Massimo Giunta, che ha qualificato TEMERARIA la condotta tenuta dal debitore. Ordinanza|Tribunale di Bologna, Giudice dell'esecuzione dott. Massimo Giunta|21-02-2013 7).ART.96 CPC: MALA FEDE E COLPA GRAVE QUALI COMPORTAMENTI SPECIFICI DELLA PARTE La parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave può essere condannata dal giudice, anche di sua iniziativa, al pagamento di una somma, equitativamente determinata in favore della parte vittoriosa, alla quale, proprio per il carattere officioso della pronuncia, ben può attribuirsi natura sanzionatoria. I convenuti avevano proposto domanda riconvenzionale di condanna dell’attrice ai sensi, rispettivamente, dell’art.89 primo comma cpc e dell’art.96 cpc ai fini della determinazione della condanna ex art.96 cpc il principale criterio è quello della gravità della condotta temeraria, qualificabile come colpa grave sfociante nella male fede. Sentenza|Tribunale di Verona, sezione IV Civile, dott. Massimo Vaccari|25-01-2013 8).LITE TEMERARIA: IL DISCONOSCIMENTO DI SOTTOSCRIZIONE AUTOGRAFA È FONTE DI CONDANNA Il disconoscimento della sottoscrizione autografa esprime un oggettivo connotato di mala fede da parte dell’autore del disconoscimento. Il Tribunale di Monza, con sentenza del 9 gennaio 2013 ha disposto la condanna d’ufficio ex art.96, comma terzo, cpc, nei confronti della resistente, proprietaria di un immobile ad uso abitativo, soccombente in un procedimento relativo alla richiesta di restituzione di spese condominiali avanzata dalla conduttrice. Sentenza|Tribunale di Monza, Giudice dott. Manuela Laub|09-01-2013 9).LITE TEMERARIA: LA DOMANDA EX ART.96 CPC È SVINCOLATA DALLE PRECLUSIONI ASSERTIVE la domanda risarcitoria non altera il thema decidendum della lite e può essere avanzata sino all'udienza di precisazione delle conclusioni. Con la decisione emessa in data 03.01.2013, il Tribunale di Monza ribadisce un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui la domanda ex art.96 cpc è svincolata dalle preclusioni assertive tipiche del giudizio di cognizione. Sentenza|Tribunale di Monza, sezione seconda|03-01-2013 10).DANNO PUNITIVO NELL’OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO L’atteggiamento processuale può indurre la condanna d’ufficio ex art.96 cpc. Il tenore dell’opposizione e l’atteggiamento processuale della parte, palesemente dilatorio, possono indurre i Giudici a far uso del potere officioso loro previsto dall’art.96 comma terzo cpc. Sentenza|Tribunale di Milano, Giudice Unico dott. Federico Rolfi|04-12-2012 11).CLAUSOLA COMPROMISSORIA – MANCATA ADESIONE – CONDANNA PER LITE TEMERARIA La mancata adesione all’eccezione di incompetenza per clausola compromissoria può comportare la condanna per lite temeraria. La mancata adesione ad una eccezione di incompetenza per effetto di una clausola compromissoria sulla base di argomenti pretestuosi, ed in parte contraddetti da un orientamento giurisprudenziale consolidato, senza farsi carico di addurre le ragioni di controparte per cui deve essere disatteso, induce a ritenere la difesa connotata da mala fede per cui può essere adottata la condanna ai sensi dell’art.96 cpc. Sentenza|Tribunale di Verona, Giudice Unico dott. Massimo Vaccari|22-11-2012 12).RIASSUNZIONE DEL GIUDIZIO INTERROTTO: CONDANNA PER LITE TEMERARIA Condannato il creditore che riassume il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo interrotto per fallimento. Deve essere condannato al risarcimento del danno per lite temeraria ex art.96 cpc il creditore che attivi personalmente la riassunzione del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo ex art.546 cpc, nonostante sia intervenuta la dichiarazione di fallimento del proprio debitore. Sentenza|Tribunale di Brescia, Sezione Commerciale, Giudice dott. Adalberto Stranieri|02-08-2012 13).LITE TEMERARIA: E’ PUNITO EX ART.96 CPC CHI AGISCE SOLO PER SOTTRARSI AD UNA LEGITTIMA ESECUZIONE Il giudice che accerta la pretestuosità e la infondatezza dell’azione condanna la parte al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza. Nel caso di specie, il Tribunale di Taranto ha condannato, ai sensi dell’art.96 cpc la parte soccombente al pagamento di una somma di denaro determinata in via equitativa, tenuto conto del credito oggetto della lite, per aver quest’ultimo perseguito maliziosamente il solo scopo di sottrarsi ad una legittima esecuzione e stante la manifesta ed evidente pretestuosità e infondatezza della sua azione. Sentenza|Tribunale di Taranto, Sezione III, Giudice dott. Pietro Genoviva|08-06-2012

venerdì 12 settembre 2014

Tribunale di Ascoli Piceno: Equitalia non può notificare la 'cartella esattoriale' senza l’intermediazione di un ufficiale della riscossione.)

Tribunale di Ascoli Piceno: Equitalia non può notificare la 'cartella esattoriale' senza l’intermediazione di un ufficiale della riscossione